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LONGOBARDICA 2016

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SuperHank
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LONGOBARDICA 2016

Messaggio da SuperHank » mer 09 nov, 2016 11:22 am

LONGOBARDICA 2016
Nuove avventure in Lombardia


In questo 2016 che sta per chiudersi ho fatto 2 girate di grande soddisfazione in terra lombarda: la Morenica, motocavalcata per moto vintage nelle colline moreniche del basso Garda, tra le province di Mantova e Brescia; e poi una girata solitaria tra la Valcamonica e il lago d'Idro. Ora vi racconto la seconda.

LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA

Chi è iscritto ad un motoclub della FMI riceve sicuramente le news sulla posta elettronica, e non gli sarà sfuggita la forte spinta che è stata data, anche a livello federale, alla disciplina dell'adventouring, sulla scia dell'enorme successo che hanno manifestazioni come la HardAlpiTour ed altre simili che stanno nascendo in giro per l'Italia. Dalla presentazione del sito: “
Da sempre la moto è strumento per esprimere la voglia di libertà e conoscenza propria della natura umana.  Con la moto si alimenta il sogno del viaggio, dell’incontro, della scoperta. Se poi si ha a disposizione una moto adventure gli spazi si dilatano. Guidare immersi nella natura, è un’esperienza unica, un privilegio per chi ha voluto arrivare lì.
Questo è l’Adventouring, quel modo particolare ed unico di andare in moto verso l’esplorazione di luoghi non facilmente accessibili, naturali ed autentici, con un occhio anche alla loro storia e tradizione.  Un misto di guida, turismo, natura ed avventura dai valori eccezionali, per chi vuole rigenerare corpo e spirito”
Accidenti, è da quando ho 16 anni che pratico adventouring e non lo sapevo! Nessuno è profeta in patria.
Scherzi a parte, la definizione soprastante calza a pennello con il mio modo di intendere l'andare in fuoristrada; pertanto, che adventouring sia!

WE WANTED TO CROSS THEW MOUNTAINS, SO WE WENT TO THE MOUNTAINS ...

Ricapitolando … mi serve una destinazione, vaga quanto si voglia, ma che dia lo stimolo per andare (“Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare” On the Road, Jack Kerouac); mi serve una moto (e qui sono ormai a quota 6 nel garage, dai 75 cc ai 750 cc, ma non ditelo a mia moglie, non lo sa!); mi servono degli amici, disposti a tutto, pochi ma buoni; mi servono 2 giorni di ferie, e a ferragosto ci sono. La filosofia del viaggio sarà quella espressa nel cortometraggio “Long Lives The Kings” dei Blitz; non li conoscete? Eccoli:

https://vimeo.com/49445992

Loro, i Blitz, sono dei francesi preparatori di special cafè racer, simil scrambler, ecc. ecc., tutte quelle motociclette fighettose che si immagina più facilmente davanti al bar all'ora dell'aperitivo che ad infangarsi fra le montagne. Il filmino sarà pure uno spot pubblicitario, ma riesce lo stesso ad emozionarmi.
Della partita sarà il mio amico Hurricane, colui che mi ha fatto conoscere questo aspetto del motociclismo, in sella al Beamer giallo nero, la BMW Boxer 2 valvole. Di conseguenza il sottoscritto lascerà a casa moto più o meno racing, optando per l'Elefantone 750, con tanto di valige in alluminio e gomme stradali. Terzo “Kings”, il Faga, con una delle sue pregevoli Yamaha XT. Il gruppo c'è, le moto anche … la meta? Quella la scelgo io, e propongo una vaga traccia nella Lombardia orientale, a caccia di strade sterrate ancora tali ed aperte al traffico, liberamente o con pass a pagamento: Croce Domini, Campelli, rifugio Colombè, Piateda, Val Grande, Dordona, e qualunque altra si trovasse sotto le nostre ruote: libertà massima di fare quello che più ci aggrada.

NON VAL SAPER A CHI HA FORTUNA CONTRA

Così sta scritto sull'asso di Denari delle carte trevisane; e quando la fortuna è contra, contraria, nulla valgono gli sforzi dell'uomo. Dovevano essere 3 uomini per 2 gg, si ridurrà ad un uomo (e mezzo) per un giorno! Andiamo con ordine: prima molla il Faga, problemi tecnici, poi Hurricane fa fatica a star via la notte … pur di salvare il salvabile, si decide di partire noi 2.
Bellissimi, il primo mattino ci si ritrova per un caffè all'ombra del Duomo e poi si parte in direzione west, verso il lago di Garda; indossiamo entrambi originali giacche cerate inglesi anni 70, guidiamo gloriose moto anni 80, montiamo enormi casse in alluminio: i pochi passanti ci osservano ammirati, a qualcuno, di certo un motociclista, spunta un sorriso sul viso con un pizzico di invidia, magari pensano che stiamo partendo per una traversata intercontinentale … magari!
Fuori dalla città facciamo rifornimento, e già abbiamo i primi contrattempi al BMW: è ridicolo, ma diventiamo matti per gonfiargli le gomme: la pistola del distributore è fatta in modo tale da essere difficilmente incastrabile fra i raggi tangenziali della moto tedesca, si prova di tutto, ci si sdraia per terra, si smolla il freno a tamburo … 10 minuti persi, ma alla fine si riparte con le gomme gonfiate. Velocemente svalichiamo in Trentino al passo Pian delle Fugazze, quindi discesa su Rovereto per quella assoluta università della curva, accademia della piega che è la Vallarsa. Sfuggiti ad autovelox e pattuglie dei vigili urbani, rapidamente passiamo Rovereto e raggiungiamo la sponda nord del Lago di Garda. E qui la BMW comincia a fare le bizze: Hurricane dice di sentire strane sensazioni provenire dalla ruota posteriore; effettivamente, con la moto sul cavalletto, girando la ruota a mano si sente ad intervalli regolari un arco di cerchio in cui il movimento è “impuntato”; Hurricane non è un esperto meccanico, io ne so meno di lui di cardani e BMW, proviamo ad andare da Sembenini, concessionario Honda di Riva del Garda. Naturalmente di BMW non sanno nulla, scopriamo solamente che il mago delle vecchie BMW, in Trentino, sta a Pergine Valsugana, 60 km da noi, decisamente fuori strada. Coraggiosamente Hurricane decide di procedere; saliamo fino al lago di Ledro, lo costeggiamo, ma il mio compagno cala il ritmo vistosamente. A Bezzecca, dove un Garibaldi vittorioso, ma costretto al ritiro, scrisse il suo celebre telegramma “Obbedisco”, il GS invece, a modo suo, ci dice un triste “Disobbedisco”. Anch'io provo la moto, si sente che c'è qualcosa che non va, non mi sento di spingere Matteo a seguirmi, lui la pensa uguale, per limitare i danni si ritira verso casa. Sono solo.

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Adieu, mon ami!

LONESOME COWBOY – BAREMONE

Non è la prima volta che giro in solitaria, e non sarà l'ultima; di sicuro ora devo riparametrare il giro che avevo in mente, adottare più stringenti standard di sicurezza, ma si va, comunque. Dopo il passo dell'Ampolla, di cui costeggio l'omonimo stagno, un susseguirsi di ripidi tornanti mi fa scendere verso la valle del Chiese ed il lago d'Idro. La mia prima meta è il passo Maniva; ci ero già stato, ma mai per la strada alpina che sale da Anfo, passando per il passo Baremone; tutte le volte che ero transitato in zona avevo trovato il transito interdetto per frane. In fatti tale strada, pur se quesi interamente asfaltata, si inerpica, con pendenze variabili dal 9% al 16% (!) in un ambiente quanto mai selvaggio ed aspro, con tratti privi di qualsiasi parapetto, affacciati su pericolosi precipizi. Qualche buia galleria aggiunge altro fascino alla rotabile: una strada in pieno adventouring style!
Purtroppo la foschia a livello del lago si trasforma sopra i 1200 m.s.l.m. In una fastidiosa nebbia che poco mi lascia ammirare del panorama:

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I ripidi traversi iniziali della strada.

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Fondo accidentato con precipizio a lato; notare la sicurezza dei paracarri: se non muori cadendo di sotto muori sventrato dalla putrella in ferro!

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Galleria.

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Esempi di antropizzazione montanara.

Questa dozzina di km merita i 120 km di trasferimento fatti per raggiungerla: l'accogliente rifugio in cui non mi fermo per colpa del tempo tiranno, gli alpeggi dall'immagine così antica e avulsa dal mondo 2.0, le rocce, le pozzanghere, perfino il freddo e i mille spilli della sottile pioggia che mi punzecchiano la faccia, tutto concorre ad aumentarne il fascino.
A passo più che turistico la gusto metro dopo metro, finché appare il rifugio Maniva all'omonimo passo. Ed il primo obiettivo è raggiunto.

MANIVA, CROCE DOMINI E DINTORNI

Tosto mi dirigo dentro il rifugio a rifocillarmi, ma prima assisto ad un spettacolo che definire indecoroso è poco, offertami da una compagnia di quaddisti; non provo molta simpatia per i quad, finché sono confinati negli ambiti lavorativi hanno una loro ragion d'essere, ma come veicoli ricreativi mi sembrano assolutamente fuori luogo nelle nostre montagne, a causa di dimensioni, peso, potenza ed oggettiva difficoltà di guida, difficoltà che spesso si traduce in incidenti gravi (leggi ribaltamento) quando alla guida ci sono inesperti che tanto dicono “cosa vuoi che sia, hanno 4 ruote!” devo però ammettere che i quad (solitamente a noleggio) che incontro sono guidati da coppiette che vogliono provare il “brivido” del fuoristrada, e tanti danni non fanno.
Ma questi al Maniva … saranno stato almeno 15-20, tutti con quad sportivi, TUTTI con marmitte aperte ad un livello che nemmeno le moto da GP raggiungono … erano in partenza, qualcuno doveva ancora prepararsi, gli altri in sella acceleravano in folle facendo schizzare i decibel nella stratosfera, e non contenti suonavano pure le trombe (elaborate, a giudicare dalla tonalità!!); quando a Dio piacque, se ne andarono verso valle in un valzer di derapate: da riaprire i manicomi, per dementi di siffatta statura!

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Nebbia al Maniva.

A pancia piena riprendevo la salita verso il passo Croce Domini, passando per il GP della Montagna di questo giro, il Giogo della Bala, a 2.162 m.s.l.m.; sono 17 km in un ambiente di alta montagna, fra pascoli e laghetti alpini: è la famosa ex SS 345 delle 3 Valli, ora SP omonima, una delle rare sterrate italiane legali e per giunta catalogate nel demanio dello stato. Purtroppo di questi 17 km di sterrati ne rimangono solo una mezza dozzina, quelli sul versante del Croce Domini. Rimane comunque un itinerario di grande fascino, con la strada che si dipana attraverso verdi pascoli d'alta quota, alpeggi annessi, ampi valloni che precipitano a fondovalle, rocce dai colori opachi e scuri; il meteo così difficile accentua tali sensazioni, gli sparuti raggi di sole accendono i colori dell'erba e dei laghi, ma poi arcigni nuvoloni tingono la scena di grigio ed nero.

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Gemme incastonate nella montagna.

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Base militare abbandonata.

Sopra tutto dominano inquietanti gli enormi ripetitori del centro radar della NATO; abbandonata da anni, la base era facilmente avvicinabile, e difatti l'interno è devastato da vandalismi di ogni tipo: ora una robusta cancellata ai piedi del colle inibisce l'accesso, almeno ai mezzi motorizzati.
Il clima peggiora sempre più, una fitta nebbia a banchi mi impone di viaggiare quasi a passo d'uomo, la stessa strada non è più del tutto visibile nella sua interezza. Poi la nebbia cede il passo ad una sottile ma insistente e fredda pioggia; già dal Baremone la vintage Belstaff in cotone cerato ha lasciato il posto ad una più performante giacca da enduro tecnico (i bauloni in alluminio dovranno pur contenere qualche cosa!) ma qui mi serve indossare anche il tutone antipioggia. Non rinuncio però a qualche divagazione sterrata verso le malghe dal lato della Valcamonica, non si sa mai che trovi una alternativa sterrata alla discesa asfaltata dal Croce Domini … ma non ho fortuna, e le ben pù impegnative carrarecce, rispetto alla SP 345, sempre muoiono nelle malghe o sono sbarrate da un divieto.
Non mi resta che tornare sui miei passi, scendere al Croce Domini e da lì a Breno in Valcamonica, dove il maltempo cessa finalmente di tormentarmi.

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Mucche ...

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... e mucche!

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Crocedomini.

PASSO DEI CAMPELLI

Assodato che, con una solo giornata disponibile, raggiungere gli spot fuoristradistici in Valtellina, Dordona e Piateda, è umanamente impossibile, mi rimanevano nel mirino il Rifugio Colombè, il Dosso Isiga e il passo dei Campelli.
Il primo l'avevo scoperto per mio conto, in rete: trattasi di un rifugio a circa 1,700 m.s.l.m. raggiungibile con strada sterrata (e forse anche una seconda) sulla sinistra orografica della valle; pedaggio da pagare nel rifugio stesso. Gli altri 2 itinerari erano stati riportati alcune volte su Motociclismo, che vi aveva fatto anche un servizio. Il Campelli, in particolare, permetteva di passare, a quasi 2.000 metri, in val di Scalve, nel Bergamasco, sempre previo acquisto del permesso. Esso lui è il mio obiettivo principale.
Le informazioni che avevo raccolte sul web, riviste e da amici erano discordanti: permesso si, permesso no, permessi sospesi, divieto ... non c'è che una soluzione, fare come quelli della “vecchia scuola”, ossia chiedere informazioni al benzinaio del paese! Ed ovviamente tutto sapeva: il permesso c'è, si acquista, in comune, all'ufficio postale o al bar centrale, costa 5 €, vale un giorno per tutte le strade silvo pastorali dei 4 comuni del comprensorio, Campelli incluso.
Tosto mi recavo al bar ed il permesso era mio: il Campelli non poteva sfuggirmi.
A scanso di equivoci, devo effettivamente spiegare che il passo costituisce confine con il comune di Schilpario; quindi il permesso vale solo fino al valico, ma non è chiaro (e tenderei a rispondere in modo negativo) se si possa scendere nel bergamasco; anche un montanaro incontrato sul versante bresciano mi diceva che “di là” non sa se si può passare. Aggiungo che, nel breve tratto fino all'asfalto (3 km massimo) nessuno delle molte persone incontrate, turisti ma anche malgari, ha recriminato sul mio passaggio; effettivamente però, la sterrata, al suo sbocco sulla strada asfaltata, presenta un bel cartello di divieto …

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Piccolo villaggio d'alpeggio sulla salita al Campelli, il Bait del Mela; c'è perfino una cappella con minuscolo campanile.

La salita è abbastanza lunga, d'altronde Ono San Pietro, dove parte la rotabile, è in fondovalle, ed il passo scollina a ben 1.892 m.s.l.m.: sono circa 1.500 metri di dislivello spalmati su 12 km di slaita, mica male! La prima metà, e forse anche un po' di più, è asfaltata, ma ciò non deve trarre in inganno, il divertimento nella guida c'è, ed anche l'impegno. È stretta e con tratti molto ripidi, anche col bicilindrico occorre tenere le marce basse; l'asfalto è malamente steso, fitto di buche e crepe, e cosparso di ghiaino e detriti: l'aderenza non è delle migliori, e per fortuna siamo in piena estate, non 'c'è umido, foglie marce e quant'altro peggiora il grip. Ci sono frequentissimi, profondi scoli delle acque, a cui seguono immediatamente altrettanto pronunciati dossi … per la serie, prima le flaccide sospensioni del Cagiva vanno a pacco in uno stridore di boccole straziate, poi, se esagero con l'acceleratore, la moto viene sparata in aria, con un atterraggio altrettanto deleterio per le povere sospensioni! Se questa salita fosse sterrata, sarebbe una mulattiera ben difficile per moto dual sport. Unico punto dolente è il panorama, che si lascia desiderare, in quanto si è sempre dentro un fitta foresta. Tante sono le deviazioni ai lati, ma è già metà pomeriggio, e corro “Fiso alla meta” citando il D'Annunzio.

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Al Bait del Mela termina l'asfalto ed il bosco ed iniziano l'acciottolato ed i pascoli.

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Qui si vede meglio.

Anche per questo acciottolato vale il discorso fatto per lo “sgarrupato” asfalto che lo ha preceduto; nella foto la pendenza è lieve, ma ci sono tratti e curve in cui è ben maggiore; i sassi sono lisci e fortemente infissi nel terreno, ed il centro della strada è percorso dalla scia d'erba. Oggi, col secco, non ci sono problemi, ma col brutto tempo sarebbe un'altra storia. Ma visto che non ho problemi di guida mi godo queste praterie d'alta quota, l'accavallarsi di crinali e vallate erbose che vanno a morire nei canaloni ghiaiosi alla base delle guglie rocciose che si confondono tra le nuvole.

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Un 4x4 mi insegue ... non mi prenderà!

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Il tratto sommitale è finalmente a fondo naturale.

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Passo dei Campelli, 1.892 m.s.l.m..

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La soddisfazione dell'endurista motoalpinista!

Il colle in se non è particolarmente affascinante, una modesta insellatura trasformata in carrabile; la visuale sul versante bergamasco invece è altrettanto seducente di quello bresciano: ampi pascoli, chiusi da festoni rocciosi, punteggiat idi qualche alpeggio.

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Verso Schilpario.

La breve discesa mi impegna assai di più della salita, il fondo è un tripudio di sassi smossi e scalini dove la moto scarta di continuo ed il rischio di finire chiappe a terra è concreto. Comunque troppo presto riappare l'asfalto, e ritorno a salire verso il passo del Vivione.

DAL VIVIONE ALLA CONCARENA

Questo passo collega la valle di Scalve alla Valcamonica, sfiorando i 2.000 metri; avendo in realtà perso poca quota rispetto al Campelli, non percorro tanta strada sul versante bergamasco, ma è un percorso di sostanza; asfaltato, ovvio, ma dalla carreggiata strettissima, intagliata nelle rocce di pendii quasi verticali, stretta e con molte curve senza visibilità, che 2 moto rischiano di non passarci. Ed infatti rischio il frontale con un BMW 1200 cassoni laterali dotato: fra le sue casse e le mie impegniamo quasi tutta la strada. Sul passo la strada spiana per qualche centinaio di metri, mi fermo ad osservare il laghetto popolato da una singolare specie endemica di alga, leggere le varie tabelle esplicative del luogo, mangio uno snack e riprendo la lunghissima discesa verso la Valcamonica.

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Al Vivione.

Giunto in fondovalle che ormai è tardo pomeriggio; dovrei pensare al ritorno, sono ad oltre 150 km da casuccia; ma mi rode aver centrato solo uno dei 3 percorsi che mi proponevo. Il più vicino, e sulla via di casa, è l'Isiga. Tentiamolo!
In effetti il nome “Dosso Isiga”, che corrisponde ad un poggio sulla destra orografica della valle, non denomina esattamente la strada che intendo percorrere, ma cos' mi era stata venduta dall'amico che me ne aveva parlato. In loco è nota come “strada del monte” o “Sentiero dei Partigiani”, e la meta principale a cui conduce è un piccolo pianoro, puntellato di baite, i Piani di Concarena, sotto l'omonimo massiccio montuoso. Anche l'imbocco non è così immediato da individuare, ma so dove trovare le giuste informazioni:

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Al''interno non c'è un cavernicolo, ma una graziosa cameriera che in stretto accento bresciano mi spiega tutto quello che mi serve!

E così faccio mio anche questo percorso, ciliegina finale di una giornata da incorniciare; c'è il piacere di guida, perché mi conduce fino ai 1.400 m.s.l.m. Dei Piani di Concarena senza l'usuale teoria di traversi e tornanti, ma prendendo leggermente quota seguendo il profilo della montagna, con un fondo sterrato di sassolini e sabbietta nera dal grip notevole, dove mi diverto anche con le gomme stradali. Alla mia sinistra, negli squarci della vegetazione, si aprono panorami a volo d'uccello sulla vallata sottostante; ma quello che mi affascina maggiormente è il valore sociale e storico della via: oltre agli usuali capitelli che marcano il territorio, antichi simboli di devozione popolare, c'è tutto un percorso costituito di cippi, monumenti, tabelle che ricordano gli episodi di lotta partigiana che infuriò in zona nel 1943-45. in un paio mi fermo, ma il tempo è tiranno, e devo scappare via.

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Capitello sulla strada del monte di Cerveno.

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Landscape.

Scollino ai Piani di Concarena, in un deserto bar alpino, talmente piccolo e raccolto che pare una casa privata, il solitario oste mi conferma della via gisuta da percorrere, ed imbocco la discesa verso Lozio, dove passai nel lontano 1997, durante una delle ultime edizioni della Cavalcata delle Valli Orobiche. Pennello le curve con gioia, ma nell'enduro il rischio è sempre lì che ti aspetta: nascosto da rigogliosi ciuffi d'erba c'è un mozzicone di tronco, e lo centro in pieno con il cassone destro: il posteriore della moto mi scarta violentemente a sinistra, sbalzandomi dalla seduta, ma miracolosamente riesco a stare sulle pedane e tenere fermamente il manubrio, rimettere la motocicletta in linea retta e non cadere! Anche oggi mi sono giocato il jolly! Nessun danno di rilevo, a parte la cassa crepata ed il telaietto portaborse talmente storto da far si che la valigia strisci l'asfalto nelle pieghe appena pronunciate.

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L'Elefant indorata dal sole, pochi istanti prima dello schianto.

E con la strada del monte si chiude l'ambito fuoristradistico esplorativo di questo giro. Sono le 19 e sono ancora a Breno in Valcamonica. Mi lancio alla scalata del Croce Domini, per poi scendere, attraverso il Goletto di Cadino verso Bagolino ed il lago d'Idro per la valle del Caffaro; bellissimo percorso di alta montagna che affronto in quasi totale solitudine,con il gelo delle notti alpine che istante dopo istante scende verso valle assieme a me.

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Dal Croce Domini verso Bagolino.

Di nuovo la strada del mattino, Anfo, passo dell'Ampolla, Ledro, Riva del Garda dove arrivo che l'oscurità è ormai completa. Ma le emozioni non sono finite; passato l'abitato di Nago, sopra Torbole, la colonna di auto in direzione Rovereto è bloccata, ferma. Con la moto mi porto in testa alla fila e vedo un incidente pauroso: 3, forse 4 auto sono distrutte ed incastrate fra di loro in modo tale che nemmeno in motocicletta si riesce a passare! Mi dicono che non ci sono feriti gravi, ma di sicuro i tempi non saranno brevi; strade alternative non ve ne sono, se non intraprendere lunghissimi giri fra le montagne verso Trento o lungo il lago verso Verona, idee che mi farebbero arrivare a casa in piena notte.
Ma il mio animo pirata trova tosto la soluzione; a fianco della strada, da Nago a Loppio, c'è l'omonimo “lago di Loppio”, in effetti una area umida, biotopo naturale, protetto e quant'altro, attraversato da una pista ciclabile asfaltata; non ci sono tornelli o barriere, per cui riesco ad entrare nella ciclabile, e la percorro tutta, con le sole luci di posizione per non farmi notare, mentre sopra di me, essendo la ciclabile ad un livello inferiore rispetto alla strada, continuano a passare le luci dei mezzi di soccorso e sicurezza; al paese di Loppio finalmente trovo una uscita, e posso riprendere la via di casa. A Rovereto, stremato, mi rifocillo al volo in un Kebab frequentato dai monelli del quartiere in sella a scooter smarmittati; sono stanchissimo ora, e mi restano quasi 50 km di strade di montagna per arrivare. Sono le 23 passate quando entro in garage, dopo 15 ore quasi sempre in sella ed oltre 450 km di montagna percorsi a cavallo di 3 regioni: una sfaticata notevole, ma ne valeva la pena!

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Ultima modifica di SuperHank il gio 01 gen, 1970 1:00 am, modificato 1 volta in totale.

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Messaggio da Michele » mer 09 nov, 2016 11:51 am

belle le foto, ma spettacolare il report :clap:

già dalle prime righe, dopo aver letto questa “Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare” ho capito che sarebbe valsa la pena di dedicare 10 minuti a questa lettura, complimenti!

PS "acceleravano in folle facendo schizzare i decibel nella stratosfera, e non contenti suonavano pure le trombe (......) se ne andarono verso valle in un valzer di derapate: da riaprire i manicomi, per dementi di siffatta statura!"
come non quotare?

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Re: LONGOBARDICA 2016

Messaggio da carlo » mer 09 nov, 2016 2:21 pm

SuperHank ha scritto:Immagine
Il tratto sommitale è finalmente a fondo naturale.
Mi sa che la foto giusta e' questa, o sbaglio?
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Bel report, particolarmente apprezzato perche', per una volta, sono percorsi che
conosco (seppure in piccolissima parte).
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Messaggio da SuperHank » mer 09 nov, 2016 4:45 pm

Grazie della correzione, dovrei assumerti come correttore di bozze! ;)
Dalla Sardegna sei stato in queste zone? Notevole
:clap:

Per l'anno prossimo ho già in programma la "Longobardica" 2017, allora ti faccio un fischio :yes:

Ciao
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Messaggio da carlo » mer 09 nov, 2016 6:02 pm

SuperHank ha scritto:Dalla Sardegna sei stato in queste zone? Notevole
:clap:

Per l'anno prossimo ho già in programma la "Longobardica" 2017, allora ti faccio un fischio :yes:
E' stato prima di avere una moglie e un figlio che ti rinfacciano il tempo che
non passi con loro... :mrgreen:

Ora il menu' tipico e' a base di giri vicino casa con minimo asfalto. Pero'
sento la mancanza dei giri "adventouring".
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Messaggio da SuperHank » mer 09 nov, 2016 6:19 pm

carlo ha scritto: E' stato prima di avere una moglie e un figlio che ti rinfacciano il tempo che
non passi con loro... :mrgreen:
ne so qualcosa :roll: !

Ciao
Alves

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