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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

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SuperHank
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da SuperHank » lun 01 dic, 2008 12:20 pm

Puntuale come ogni lunedì ecco il nuovo capitolo della saga:

ENDURO DEL DISPATRIO IV: LE FORTEZZE DELL’ADIGE


Ci sono, nella vita, piccole decisioni, oppure piccole indecisioni, che ti condizionano grandemente tutto il resto dell’esistenza, o almeno buona parte. Ho vissuto 4 anni a Verona, proprio nel capoluogo, per sudarmi l’agognato quanto inutile pezzo di carta che si chiama laurea.
In una calda giornata del luglio 1993 scesi a Verona in moto, col mio fido e allora ancora fresco Cagiva Tamanaco 125, per iscrivermi al I° anno del corso di laurea in Economia e Commercio.
I miei amici di Schio, e anche le conoscenze che avevo già a Verona, mi additarono come un alieno, per tale “impresa”.
Fu l’unica volta che ci andai in moto, in 5 anni di studi.
Il Cagiva prima e l’XR600 poi rimasero tutti quegli anni nel vicentino, ma non di certo inutilizzati! Appena scattava il W-E, o qualsiasi altro ponte, io ero a casa per scorrazzare sulle mie montagne.
Non considerai mai l’ipotesi di tenere la moto a VR; aldilà di problemi logistici come un garage dove metterla, avevo paura che fosse fonte di distrazione per il mio impegno scolastico. Probabilmente avevo un sesto senso che inconsciamente aveva già rilevato che meraviglia di percorsi ci fossero alle spalle della Città Scaligera, partendo direttamente da quelle colline che quasi cadevano sulla riva settentrionale dell’Adige.
Chissà … se mi fissi portato la moto, forse mi sarei metaforicamente perso nelle lunghe vallate, localmente chiamate vaj, che dalla pianura risalgono fino al confine col Trentino e costituiscono, come denti di un pettine, la morfologia dell’altipiano dei 13 Comuni; distratto dall’enduro, non mi sarei laureato e avrei costruito il mio futuro in altro modo. O forse mi sarei laureato, ma invece di tornare ogni settimana a Schio, mi sarei fermato nel veronese, e magari sarebbe stata la mia vita privata a prendere altre strade …

WALTER SBIROLI SUPERSTAR

Per tutti gli anni 90 non considerai mai quelle terre, a parte l’unica eccezione della traversata Schio-Alta Lessinia-Baldo-Garda-Tremalzo del 1996 con il fido Ru. Ma anche quella volta rimanemmo molto a nord, in pratica percorremmo la bellissima alta via della Lessinia, il facile e panoramico sterrato che collega S. Giorgio al passo Fittanze, per poi scendere in Vallagarina e affrontare senza troppo successo il monte Baldo.
Ma le cose che devono accadere accadono; dopo l’università, dopo la laurea, dopo tutto il periodo veronese arrivarono le occasioni giuste. Motore di tutto il web, con l’esplosione dei siti amatoriali di enduro a fine anni 90.
La prima occasione fu la conoscenza con Walter Sbiroli, il signore della Valpolicella. La “longa manus endurensis” del figuro in questione si estende dalla bassa Valpolicella fino all’Alta Lessinia e oltre, spaziando alla Vallagarina e al Baldo, con la dependance della natia Cortina.
Ai più il suo nome non dirà niente, ma dico solo che stato protagonista, cito ora a memoria, di almeno 3 servizi di Motociclismo e/o Fuoristrada, e uno dei capitoli del libro di Polpo è dedicato a lui!
Walter è un vero cane da tartufo del tassello, un endurista esploratore come piace a me. Fu lui per primo a farmi scoprire le meraviglie della bassa Val d’Adige: mulattiere secche, polverose, di sasso “ovalizza cerchioni”, a picco sul fiume, fra fortezze incredibilmente arroccate alle cenge.
Ricordo con particolare piacere il primo giro con lui, un W-E da globetrotter del tassello, come ora non mi è più possibile.
Arrivai da lui nel pomeriggio, con il 400 incastrato nel vano posteriore di un FIAT Fiorino avuto in prestito; chiacchiere, libri di montagna, cartine topografiche a iosa, poi la sera stessa ci facemmo 200 km per andare in una cascina della campagna pavese per partecipare a una delle prime cene del sito “Soloenduro”, c’era il mitico GiorgioXT, direttamente da Padova in sella alla XT600, c’era Ziki, di cui 8 anni dopo avrei rilevato il trial, e molti altri. Rientro a Vr a ore innominabili, qualche ora di sonno e poi via sulle mulattiere della Val d’Adige, tra cui la temibile “Figa di Pietra”, un solco quasi verticale tracciato nelle rocce sul fianco di una cava del monte Pastello!
Fu un giro talmente bello che poco dopo replicai la zingarata con i miei amici Diego e Paolo, recuperando un carrello in prestito che non aveva nulla di legale per circolare, a partire dalla targa ripetitrice in cartone; quella volta non fummo altrettanto fortunati, Diego spaccò quasi subito la moto e dovette rinunciare al giro, ma noi 3 riuscimmo lo stesso a replicarne una parte, e fu magnifico comunque. Per paura di pattuglie che ci controllassero, o perché i fari del carrello non andavano, o tutte e 2, invece di rientrare per l’autostrada (80 km) ci facemmo le montagne per il passo di Pian delle Fugazze, 140 interminabili km!

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Walter Sbiroli, il Principe della Walterpolicella; in fondo si intravede il forte di Monte.

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No, non stavo facendo quello, ero solo accecato dal solleone walterpolicelliano! Monte Baldo in sfondo.

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Rampa alle cave del Monte Pastello, altresì detta “Figa di Pietra”!

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Stessa location, altro evento: I° raduno mondiale XR-ITALIA: credo fossimo in11 partecipanti, compresi gli indigeni.

Sempre in quegli anni altre occasioni mi riportarono da quelle bande.
I primi raduni del sito xr-italia si svolsero più o meno sui percorsi di Walter, magari tagliati dei pezzi peggiori. Si partiva da S.Pietro in Cariano, praticamente pianura, prendendo quota sui dolci rilievi collinari della Valpolicella, fino alle pendici del Pastello, dove la mulattiera dal tornante di pietra inclinata e la “Figa di Pietra” mietevano le prime vittime. Poi dal Pastello all’abitato di Fosse c’era una piacevole alternanza di sterrate e carrarecce anche impegnative come fondo, per finire con l’ultimo tratto fino al Fittanze fatto di veloci sterrate d’alta quota.
Conoscendo già alla perfezione i punti ostici, li passavo senza colpo ferire, facendo la figura del gran manico, addirittura consigliando e portando su moto di altri radunisti meno smaliziati.
Dopo questo exploit veronese di inizio secolo, passarono alcuni anni senza che ritornassi da quelle parti: troppi, era ora di ritornarci!

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Ciak di XR-ITALIA impegnato sulla rampona.

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Passo Fittanze: II° raduno mondiale XR-ITALIA. Da sx a dx: Marcello (Walter sbiroli’s friends), Lancillotto (Alves’friends), Alves, Walter Sbiroli, Lucmen (Walter sbiroli’s friends).
Notare la mia moto con ancora il n° di gara di qualche prova del triveneto, seminascosta da una ignota XR600 (forse quella di Lancillotto?) il DR 650 di Lucmen (un mito a fare enduro con quel bisonte!), sullo sfondo altre moto partecipanti al raduno.

LA MIA PERSONALE UTOPIA

La combinazione famiglia-lavoro-poco-tempo-per-andare-in-moto e l’arrivo del 750 sono stati 2 fattori deleteri nella programmazione dei miei giri.
Quando giravo col 600 ad esempio, andare nel bellunese o nella sponda bresciana del lago di Garda lo consideravo un viaggio irrealizzabile senza un pernotto fuori casa, inimmaginabile farsi 300 km al dì per andata più ritorno. Anche perché cercavo di stare il più possibile su sterrate e mulattiere, e li i tempi di percorrenza sono drammaticamente bassi.
Ma ora che ho il 750, chi mi ferma? I sentieri bastardi non li faccio, e se ho da fare asfalto, sai che media di viaggio con una moto che fa i 160 km/h? Povero illuso! Sulle strade di montagna, secondarie, si va piano: paesi da attraversare, traffico in fondovalle, sorpassi difficili, … poi bastano pochi km di fondo naturale ad abbassare drasticamente le medie di viaggio, anche perché in off non si mai … una piccola frana, un albero caduto, un divieto inaspettato, è un attimo perdere tempo.
Ma comunque mi ritrovo sempre a progettare giri assurdamente lunghi, che per rientrare in tempo a casa mi devo sorbire tappe forzate in sella; anche perché nei guai vado sempre a cacciarmi!
Stavolta volevo niente popò di meno che: attraversare tutta la Lessinia fino al Fittanze; piegare sud lungo il suo bordo occidentale fino alla Valpolicella; attraversare l’Adige ed eventualmente passare per il Baldo (per fortuna che qualcosa di eventuale c’è!); andare a Torri del Benaco e prendere il Traghetto per Maderno; sulla sponda bresciana fare il passo Ca dell’Ere e magari pure il Tremalzo; ritornare a casa per la Rovereto e la Vallarsa. Nel 1996 col 600 ci misi 2 gg a fare questo giro .. pensa un po’!
Fiducioso come sempre mi incamminavo verso ovest.

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Chiare, dolci e fresche acque nella valle del Chiampo.

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La Lessinia si avvicina.

Puntavo velocemente verso il veronese, attraversando le valli in senso trasversale, tagliando in linea retta il più possibile i crinali discendenti verso la pianura, asfalto o sterrato indifferentemente.
Valle dell’Agno, Crespadoro, Gaiga, Selva di Progno, Velo Veronese: e sono in Lessinia!
Da Velo la strada si alza verso i pascoli, i boschi scemano via via lungo al strada e fanno spazio alle brughiere d’alta quota.
Appare l’orrida stazione turistica di S. Giorgio, ma per fortuna è anche il segnale che tra poco ci sarà lo sterrato!


FELICE SUL FITTANZE

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Finalmente Lessinia; tipica architetura locale, con i tetti in lastre di ardesia.

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Sugli sterrati dell’alta Lessinia.

Cosa dire di questa superba strada che no sia già stato detto? Nulla, e se non la conoscete andate a percorrerla, non se ne rimane mai delusi, ne sotto il sole estivo ne nelle nebbie d’autunno.
Oggi è una giornata ideale quassù: fresco ma non freddo, cielo terso, visibilità ottima; dietro di me il massiccio del Carega si allunga verso passo Buole e Coni Zugna per coi calare su Rovereto, davanti a me la muraglia del Baldo cela alla vista le acqua blu smeraldo del Garda, alla mia sinistra le vallate dell’alta Lessinia si spingono fin al ciglio della strada, mentre a destra ci sono ancora malghe e pascoli, ma si intuisce il profondo canyon della valle di Ronchi.
In mezzo, la sottile linea bianca della sterrata corre serpeggiante fra i dossi e le malghe, indolente come un veliero che segue le correnti dello spazio, senza potere e volere andare in linea retta.
Sterrata facile, dal fondo poco accidentato, larga: si viaggia che è un piacere, sembra fatta misura di enduro stradali come la mia.

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Cartolina 1.

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Cartolina 2.

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Verso passo Fittanze; il monte Baldo, la meta finale.

Il passo Fittanze arriva troppo presto, purtroppo.
Ma il divertimento riprende poco dopo, anzi “l’affare si ingrossa”; una carrabile dal fondo decisamente più accidentato, serrata dalle caratteristiche lastre di pietra che ne delimitano il percorso e la separano dai pascoli, mi fa perdere quota verso il paese di Fosse. A seguire altre carrozzabili, percorse con i raduni XR, mi fanno arrivare giusto in centro al paese.


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Scendendo dal Fittanze.

Da fosse non ricordavo perfettamente il percorso off road fino al Pastello; con un po’ di pazienza lo avrei ritrovato di sicuro, ma la fretta mi comandava di andare oltre. Però il primo pezzo lo ricordavo bene, e mi ci ficco dentro con il 750: la prima pirlata della giornata!
È una mulattiera ripida e stretta, dal fondo di pietre rotolanti e gradini, che in salita potrebbe creare problemi anche ad un monocilindrico, infatti al raduno la facevamo sempre in discesa! Riesco a salire qualche decina di metri, ma di fronte ad un quasi tornante di scalini a strati per un dislivello di almeno un metro, (praticamente un muro!) mi fermo, con tutto il corollario di lacrime e sangue per riuscire a girare la moto!

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Verso Fosse.

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XR yes, Elefant no!

Sfatto dalla fatica, abbandono le velleità fuoristradistiche e vado verso il paese di Monte per asfalto.



IL CALVARIO DELLE FORTEZZE PART I

Il sonnolento paesino di Monte veniva destato dal suo torpore estivo dal possente rombo del desmodromico Ducati; facendo battere le dentiere dei vecchi abitanti del luogo al ritmo delel vibrazioni del mio bicilindrico, attraversavo le poche vie per portarmi verso il forte di Monte.
Già arrivarci è emozionante: si percorre una comune via di questa bella località, poi le case si diradano, anche la vegetazione si riduce a stentati cespugli (è un pendio costantemente assolato, dal fondo carsico quindi povero d’acqua, l’ambiente è una pietraia quasi desertica), l’asfalto cede il passo ad uno sterrato sconnesso, finchè si stagliano davanti al viaggiatore gli spigoli acuti della fortezza:

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Forte di Monte.

Un po’ di storia:

Il Forte di Monte, il cui effettivo nome sarebbe “Mollinary”, assieme al Forte Chiusa, situato sul fondo della gola sulla sinistra idrografica dell’Adige ed a quello di Ceraino, arroccato circa 100 m più in basso e 300 m circa più a nord rispetto a quello di Monte, vennero costruiti dagli Austriaci fra il 1849 ed il 1852 per difendere la strada del Brennero e lo sbocco della Val d’Adige. Chiudeva ad est questa linea difensiva il Forte di Rivoli, edificato nel medesimo periodo sul Monte Castello, ad ovest dell’Adige. Essendo molto vicine le une alle altre, queste quattro fortificazioni permettevano di effettuare eventuali tiri incrociati di sbarramento agli eserciti che volessero “forzare” in un senso o nell’altro il passaggio attraverso la gola dell’Adige.
Il Forte di Monte è situato a 410 m di quota sul costone di roccia che, dal Monte Pastello, si allunga sino all’Adige strapiombando infine con pareti alte più di un centinaio di metri, sulla Chiusa di Ceraino. Dopo il 1866, anno di annessione del Veneto al Regno d’Italia, in virtù della sua posizione strategica venne utilizzato anche dall’esercito italiano che lo mantenne in attività per molti anni. Venuta meno la sua utilità bellica, esso venne poi utilizzato come deposito di esplosivi Nella primavera del 1945, abbandonato dai Tedeschi in fuga, venne in buona parte distrutto dallo scoppio degli esplosivi che vi erano contenuti. Oggi è di proprietà privata e versa in stato di abbandono con buona parte delle strutture pericolanti.”


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Il panorama è unico: Valle dell’Adige e lago di Garda.

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Interno 1: l’arco sospeso.

Pericolante, pericolo di crolli, ruderi, questi i primi aggettivi per definire le rovine del Mollinary.
Reti metalliche poco possono contro gli abusivi che entrano nella fortezza; c’è chi, come me, si limita a respirare il fascino di questi mura di bianca pietra, spessa metri, a sbirciare dalle brecce aperte nei fianchi della fortezza, ad osservare scale che terminano nel nulla, ad immaginare strade e sentieri fin dove arriva la vista da questo belvedere eccezionale; ci sono altri che ci vengono per fare improbabili feste, rave party, solenni “imbriagate”, calarsi di acidi e fumo, o lasciare improbabili messaggi ai posteri con la bomboletta spray.
Un peccato che vada tutto in malora? Forse si.
Forse no; il fascino romantico delle rovine sparirebbe in un forte restaurato con tanto di biglietteria, guida e bar ristoro con gadget all’uscita.

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Interno 2: il piazzale d’armi.

Dalle feritoie del forte vedo benissimo le mie prossime mete, i suoi fratelli sull’altro lato dell’Adige:

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Forte di Rivoli.

“Il Forte di Rivoli si trova nel territorio comunale di Rivoli Veronese, nella stretta dell’Adige, a 227m di quota sull’altura del monte Castello nell’omonima località.
Tra le opere fortificate recuperate e aperte al pubblico, è ora possibile visitare questa struttura, uno dei gioielli fortificati delle Alpi. Il paese di Rivoli è già entrato nella storia grazie alla grande battaglia fra Francesi e Austriaci avvenuta il 14 gennaio 1797, che consacrò la vittoria di Napoleone Bonaparte. Sul luogo dello scontro, tra il 1850 e il 1851, gli Austriaci costruirono il forte che doveva proteggere le strade tra Rivoli e l’Adige, incrociando il suo tiro con i vicini forti Ceraino e Monte: l’opera prese il nome di Forte Wohlgemuth, in onore di un generale austriaco distintosi nella campagna del 1848 contro gli Italiani. Nel 1866, passato con il Veneto al Regno d’Italia, fu ristrutturato in modo da modificarne il fronte, rivolto ora verso le provenienze dalla Val d’Adige.
Al complesso venne aggiunta in seguito la Batteria Bassa (1884), una caserma e una polveriera. Le opere sono state dismesse dall’Esercito qualche anno fa e sono ora giunte a noi in perfetto stato di conservazione. Il Forte ospita ora un museo sulla Grande Guerra e di Radio d’epoca.


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Forte San Marco.

“Forte San Marco
Il Forte San Marco è situato nel Comune di Caprino Veronese, in località Lubiara.
Si tratta di una massiccia struttura interamente realizzata in pietra locale e dalla forma caratteristicamente allungata in direzione sud-nord per adattarsi alla morfologia del monte su cui sorge. E’ sorretta ad est da una compatta fascia rocciosa e poi da boschi e ghiaie intervallate da salti di roccia che terminano poco a nord dell’abitato di Canale, in località I Tessari. Ad ovest, vale a dire in direzione di Lubiara, il terreno scoscende fra magri arbusti e cave di pietra dismesse, dalle quali sono state estratte le pietre utilizzate per la costruzione del Forte medesimo.
L’edificio venne costruito dagli Italiani fra il 1888 ed il 1913. Scopo di questa fortificazione, che si compone di due cortili interni, sale, caserme, depositi per le munizioni e postazioni per le batterie, era di rappresentare un ulteriore elemento di difesa, con i Forti Cimo, Masua, Ceraino e Rivoli, della bassa Val Lagarina. Durante la Prima Guerra Mondiale venne apprestato per la difesa ma, lontano dai fronti “caldi” , il suo impiego fu assolutamente marginale. Visitabile liberamente versa oggi in stato di parziale abbandono. Sulla parete che sottostà al fianco orientale del Forte è presente una piccola ma interessante palestra di roccia.”


Bene, fatta la lezione di storia, andiamo in gita, andiamo a visitarle.
Ma per scendere? C’è ascensore, eccolo:

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Mulattiera di Monte 1.

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Mulattiera di Monte 2.

La ricordavo bene, questa mulattiera, l’avevo fatta con Walter e poi mai più percorsa, non vedevo l’ora di rifarla. A picco sulla gola dell’Adige, che sembra non finire mai, bellissima.
Ma non la ricordavo poi così bene.
Nella memoria mi era rimasta classificata come facile, pericolosa solo per l’esposizione al precipizio. Ma non mi ricordavo dei cancelli!
Il primo, quasi in cima.
Una sbarra verde, con un po’ di attenzione si riesce a passare di lato anche con l’Elefant dotato di borse rigide. Anche se non ci fosse il passaggio laterale, una leggera enduro o trial si potrebbe trascinare sotto o sollevare sopra la sbarra (ma essendo almeno il 2 o 3 persone).
Beffa, dopo esser passato mi accorgevo che la sbarra era senza lucchetto, bastava sfilare il perno ed alzarla!
Secondo, a metà.
Segna l’ingresso nel forte di Ceraino (vedi descrizione del forte di Monte; praticamente è più una batteria di artiglieria che un vero forte). È un vero cancello, una barriera di ferro insuperabile, e chiuso.
A sinistra si passa oltre, ma per un pelo, inclinando il mezzo al limite del ribaltamento; di qui non torno indietro, mi dico.
Terzo, a metà.
Segna l’uscita dal forte di Ceraino. Anche questo è un vero cancello, una barriera di ferro insuperabile, e chiuso.
Per fortuna un ampio passaggio a sinistra mi fa passare oltre senza nemmeno inclinare il mezzo.
Dopo la batteria di Ceraino la mulattiera si addolcisce e si allarga, praticamente è una strada, entra nel bosco, già si intravede la SS di fondovalle, è fatta.

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Mulattiera di Monte 3.

Quarto, a 50 metri dall’asfalto.
Una sbarra verde, come il primo.
Baldanzoso vado per aprirlo: ha il lucchetto! Merda! Merda! Merda! Merda! Merda! Merda!
A sx appoggia ad una recinzione; a dx arriva fin sotto il pendio del bosco.
Ci sarebbe lo spazio per passare, ma è solo di mezzo metro, è a misura di monocilindrico, e le mie valige sono larghe il doppio: tornare indietro è impossibile, sono in trappola! Merda!
Forse forse potrei passare nel bosco, salire su un piccolo dosso e lasciarmi calare nel pendio di terra vergine, oltre la sbarra.
Ci provo.
Al primo tentativo non sono perfettamente allineato alla salita, e la moto, invece di avanzare, si scava la fossa con la ruota posteriore; con la forza della disperazione riesco a togliere il bisonte dalla sua tana, ma il secondo tentativo è peggio del primo, mi muovo di pochi centimetri; il fondo è troppo inconsistente per reggere il passaggio del 750.
C’è un’unica soluzione: smontare le valige.
Quando le ho montate ho optato per una soluzione rapida da realizzare, ma assai poco pratica da utilizzare: dei bulloni passati in dei fori nel fianco della valigia vanno ad avvitarsi in dei morsetti da elettricista serrati sui tubi del telaietto. 4 bulloni per ogni valigia, da infilare tenendo la valigia sospesa, usando il giusto numero di rondelle che fanno da spessore: uno stillicidio.
Una temperatura insopportabile, sono a petto nudo e il sudore mi cola come torrenti lungo il corpo, gli occhiali mi scivolano dal naso, il sudore mi entra negli occhi e mi irrita l’apparato visivo, i capelli sono un ammasso unto e appiccicoso, e per fortuna che ero all’ombra
45 minuti per smontarle e rimontarle, 45 secondi per passare oltre la sbarra nel passaggio laterale, 45 litri di sudore persi nell’afa del fondovalle.
Ma non era finita.

IL CALVARIO DELLE FORTEZZE PART II

A Ceraino non ci sono ponti per attraversare l’Adige, e guadarlo non è proprio agevole; mi occorreva un ponte, ed ero equidistante sia da quello di Peri che da quello di Domegliara; a quest’ultimo scendevo, percorrendo per un po’ delle fangose sterrate a filo dell’Adige.

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Fiuming dell’Adige.

La discesa dal forte di Monte mi aveva fatto perdere un mucchio di tempo; sono oramai le 13 abbondantemente passate, sono sfatto e disidratato dal caldo, affamato. Andare sull’altra sponda del Garda col traghetto è pura utopia, ma posso sempre dedicarmi al Baldo.
Ma prima c’è il S.Marco, il forte sull’omonimo monte.
Sulla carta è un percorso breve, e pur essendoci stato con Walter non avevo nessun ricordo particolare, se non del bellissimo panorama sulla vetta.
Così, senza far pausa, ho deciso di andarci, tanto ci metto 20 minuti, mi son detto … si, gli ultimi!
Questa maledetta mulattiera si arrampica sul monte con una serie di tornanti che non finiscono mai, uno, due, uno, due, uno due, ti dici “OK, devo essere arrivato” ma poi riparte un’altra serie di curve che ti sfiniscono, si, perché il fondo è tutto a ghiaia grossa, la grossa bicilindrica affonda ad ogni metro, se sei cotto (come me) è un avanzare penoso e faticoso.
Non la ricordavo così faticosa. I tornanti saranno 44, alla fine.
Finalmente l’ultimo tornante e il piazzale del forte.

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Se è dura questa mulattiera!

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Finalmente il forte … ma le disgrazie non son finite!

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Mio Dio, che sguardo incazzato, che occhi di ghiaccio, che bicipiti, che panza … mi faccio paura da solo!

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La chiusa du Rivoli; a sx la sagoma del forte di Monte, sotto a dx lo sperone con il forte di Rivoli.

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Non c’è che dire, le sapevano scegliere bene le postazioni, i genieri italiani!

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Ponte levatoio del San Marco.

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Interno 1.

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Interno 2.

Dopo una breve ma doverosa esplorazione della struttura cercavo la via del ritorno.
Ricordavo che Walter mi aveva fatto scendere dalla parte opposta del monte; imbocco un sentierino, ma si rivela una semplice traccia che segue il perimetro della fortezza, e si restringe a poche decine di centimetri, impossibile passare col 750!
Ennesimo Calvario: per girare la moto dovrò prima spingerla in retromarcia lungo il sentiero per un paio di metri, quindi sempre in retromarcia spingerla dentro al boscaglia per guadagnare spazio per compiere l’inversione di marcia, ma non bastando ancora lo spazio, tagliare con la sega un paio di alberelli sulla traiettoria del Cagiva; uno stillicidio di fatica.
La trovo, la mulattiera giusta che scende a valle.
Parte bene, ma poi si rivela un torrente di sassi smossi gradini come meloni, che nascondono gradini di roccia a spigolo vivo, su cui è praticamente impossibile guidare la moto: è pane per enduro racing.
Scendo dalla sella e mi metto al fianco della moto, spingendola col motore in folle, gradino dopo gradino, aiutandomi col motore quando l’ostacolo è troppo per le mie residue forze.
Un incubo.
Tanto da non far foto, solo istinto a sopravvivere.
Quando Dio volle, finì anche questo supplizio.
BASTA! Mi dico; oggi sono andato oltre il limite; sono le 3 del pomeriggio, ho fame e sete.
Al primo bar cerco ristoro, ma dalla faticami è pure passato l’appetito.
Il rientro sarà tutto per asfalto, percorrendo la panoramica strada sul versante orientale del Baldo.
Una novità per me; fino a Ferrara di Monte Baldo non mi dirà granché, poi diventa una bella strada di alta montagna, in media 1.400 metri di quota, con momenti alquanti esposti intagliando il ripido pendio. Non arriverò però fino alla Bocchetta di Navene, da dove avrei visto sia il Garda sia l’Adige; ero entrato in riserva già dalle parti di Spiazzi, molto prima di Ferrara, e stavo rischiando di rimanere a secco, per cui scendevo verso Avio, invece di rimanere in quota e passare per Brentonico.
A valle benzina V-power e poi trasferimento fino a casa.
Morale della giornata: mai fidarsi nemmeno della propria memoria!

Ciao
Alves

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max37
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da max37 » lun 01 dic, 2008 3:41 pm

come sempre bellissime le foto.
molto carine quelle vintage
Max37

http://www.tecnicamotori.it/

La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

husqvarna100
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da husqvarna100 » lun 01 dic, 2008 8:06 pm

Bravo Alves.
I tuoi scritti e le tue foto sono,come sempre,molto belli e coinvolgenti.

Ciao.
Claudio.

SuperHank
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da SuperHank » mar 02 dic, 2008 6:29 pm

max37 ha scritto: molto carine quelle vintage
Eh, ma non sono mica vecchie :o Hanno solo 7-8 anni.
Però effettivamente la resa di una macchina a pellicola automatica non è nemmeno paragonabile alla più semplice delle digitali.

Ciao
Alves

zordi
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da zordi » sab 06 dic, 2008 1:07 am

Complimenti per le foto ed il racconto.Io abito a Montorio(VR) e quindi so della bellezza dei posti che hai descritto,infatti ho da poco comprato un alp per scoprirli ancora meglio.

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walterxr
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Dispatrio IV: Le fortezze dell'Adige

Messaggio da walterxr » sab 08 ago, 2009 2:06 pm

Fantastico! Mi sembra ieri ma è quasi passato un secolo..

Walter, il figuro in questione..

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