DISPATRIO VII: PELLER
Inviato: gio 18 dic, 2008 11:27 am
VII ed ultima puntata, finalmente:
ENDURO DEL DISPATRIO VII: PELLER
Il monte Peller è la cima più settentrionale del gruppo delle Dolomiti del Brenta, ed una delle più basse; deve essere per questo che non è così nota come altre vette, e sempre per questo ti lasciano ancora andarci fin quasi in cima con dei mezzi motorizzati, cosa inaudita nell’ipocrita Trentino ambientalista.
Avevo sentito parlare più volte di questa lunga sterrata che dal paese di Cles in val d Non saliva fino al rifugio omonimo, ma non avevo mai trovato foto del percorso: una perfetta scusa per andare a curiosare, e per macinare un po’ di km nelle Alpi: si prospettava un giro simile al “Dispatrio n°5”, la gita al Maniva Croce Domini.
Un giro che sarebbe stato quasi del tutto stradale, ma che almeno fosse per strade secondarie.
LA BORCOLA
Misconosciuto valico stradale tra Veneto e Trentino, tra Provincia di Vicenza e Trentino, tra valle del Posina e Val Terragnolo; nei secoli si è guadagnata la fama di percorso difficile ed aspro, finda tempi della Serenissima Repubblica di Venezia.
Gli echi di questa percorribilità faticosa e pericolosa sono giunti quasi sino al 2000; negli anni 90 il valico era ancora sterrato, almeno sul versante veneto. Su quello Trentino non so, non ci sono mai transitato prima dell’asfaltatura. Prima che l’asfaltassero erano più i giorni che il passo era chiuso per smottamenti, pericolo di frane, neve, ecc., ecc., che i giorni in cui era aperto.
Allora ero ancora un novellino dell’enduro, e quando, in sella al mio 125, arrivavo al Griso, l’ultima contrada della Val Posina, dove l’asfalto lasciava posto al bianco ghiaino, mi intimorivo alla vista dei cartelli tondi di divieto, triangolari di pericolo, alle transenne di traverso sulla carreggiata, e non proseguivo mai la marcia, anche se magari vedevo scendere auto o moto assolutamente stradali, magari con targa tedesca.
Ero proprio un pivello, ma a mia discolpa, avevo così paura di prendere una multa, la quale avrebbe messo a terra le mie magrissime finanze di studente, che preferivo fare retromarcia!
Infine ci pensò la Provincia a risolvere i miei amletici dubbi, asfaltando del tutto la strada!
Ma non risolvendone la problematica percorribilità; i soldi sono quelli che sono, e ancora adesso spesso e volentieri il monte frana, e la strada è chiusa; e poi in inverno, la neve non viene spazzata, e il valico, sebbene sia appena 1.200 m.s.l.m., rimane ufficialmente chiuso.

Passo della Borcola.
Resta comunque un piacevole itinerario, poco frequentato e suggestivo.
Nella solitudine del primo mattino affronto i 19 tornanti del versante veneto; allo scollinamento qualche banale cartello moderno in lamiera, qualche vecchio cippo in pietra dei tempi andati, subito oltre il confine la solitaria chiesetta Alpina e la malga Borcola, con la sorpresa del servizio ristoro, cosa assente negli anni passati.

Malga Borcola e val Terragnolo.
La discesa verso i paesi della Val Terragnolo è ancora più selvaggia, anche se l’asfalto trentino è migliore, posso immaginarmi che suggestiva dovesse essere prima del bitume.
In assoluta solitudine discendo tutta la vallata fino a Rovereto.
AUTOSTRADA
In Vallagarina prendevo l’Autostrada del Brennero a Rovereto Nord, per uscirne a San Michele all’Adige, 37 km a monte.
L’autostrada mi fa schifo, ma questo era un test, volevo provare il comportamento dell’Elefant alle alte velocità, capire se era possibile fare un più o meno lungo trasferimento autostradale per raggiungere località dove praticare l’off; ad esempio fare l’A13 per andare sull’Appennino bolognese, oppure spararmi la A4 per andare in Friuli o in Slovenia.
Il risultato è stato negativo. Fino ai 100 km/h la moto è controllabile, ma a me premeva sperimentare il suo comportamento a 120-130 km/h: a questa velocità media si che in un paio d’ore si raggiungono luoghi interessanti.
A 110 km/h la stabilità era incerta, ma ancora tollerabile per una marcia in sicurezza; a 120 già c’era da farsela addosso da come la moto serpeggiava, non parliamo di superare i 130! Paura!
Poi mi sono consolato ragionando che il mezzo era nelle condizioni peggiori per questa prova:
-Il mono ammortizzatore completamente sfrenato nel precarico per cedimento del circuito idraulico di regolazione della molla;
-il parafango anteriore da trial non sufficientemente rigido da resistere alla pressione dell’aria senza fare “effetto vela”;
-le molle anteriori flaccide;
-il casco da cross,che a momenti mi vola via;
-Soprattutto, le valige laterali che frenano tantissimo (ma queste servono se voglio viaggiare!);
-le gomme tassellate, ma finite;
Ora che ho le molle progressive, sto per montare l’Ohlins posteriore, vorrei riprovare, magari con gomme nuove e casco da strada, per vedere se i 120 km/h di crociera sono possibili.
Il motore Ducati non aiuta; ha solo 5 marce e sono molto corte, per andare a 120 il motore deve girare ad almeno 7.000 rpm su 8.500 di range utile!
UNA GITA AL PELLER
Per fortuna che 37 km di purga autostradale passano presto, mi riprometto che mai e poi mai al ritorno farò la stessa strada, piuttosto la statale con tutti i paesi.
A Mezzocorona entro nella Val di Non, ma il piacere di guida rimane a livelli bassi.
Il traffico fino a Cles, in questo giorno feriale, è assai intenso, grossi camion dei cementifici della zona creano lunghe code di autoveicoli. Attorno a me infine coltivazioni di mele tipo “golden” le famose “Melinda”.
Un amico milanese che “la sa lunga” su questa valle, frequentandola da tantissimo tempo, mi raccontava che qui se ne fregano dell’ambiente: tra dighe artificiali, coltivazione intensiva della mela, impianti da sci, ecc., l’ambiente originario è assai mutato negli anni; poi, ovviamente, se passi con una moto da enduro sei additato come il vandalo distruttore della natura!
L’amico si era offerto di accompagnarmi, fuori stagione, in mirabolanti traversate fuoristradistiche tra la valle di Non e la Val di Sole, ma siamo ad agosto, e sono col 750, mi accontento di fare il permesso.
Giunto a Cles, non senza qualche difficoltà trovo la strada per il Peller; un picoclo cartello in legno avverte “Rifugio Peller Aperto”, bene, so già dove mangerò.

Tornantone.
Pochi centinaia di metri sopra il paese e l’asfalto lascia il posto allo sterrato, che si manterrà in condizioni pressoché perfette fino al parcheggio del rifugio; tanto largo da permettere il passaggio di 2 autovetture, dal fondo compatto e livellato, con una leggera spolverata di polvere e sabbiolina sopra, canalette di scolo numerose e ben tenute: si vede che siamo in Trentino! È un tragitto alla portata anche di moto stradali.
Col 750 enduro è più bello, i lunghi rettilinei nella foresta invitano ad aprire il gas, i tornanti così larghi sono una istigazione alla spazzolata; un certo affollamento della strada, operai stradali e boscaioli, consiglia però prudenza.
Poi lo sterrato esce dal bosco e si porta sulla costa del monte, regalando splendide vedute a volo d’uccello di Cles e del lago di Santa Giustina; occhio a non fare un dritto però, gli esiti sarebbero poco raccomandabili …

Sterratone compatto.

Il lago di Cles.
Successivamente la strada guadagna il ciglio di un piccolo altipiano, carinissimo; la carreggiata si fa più stretta, e percorre indolente i corrugamenti del terreno; piccoli salti, curve e controcurve sempre piacevoli; attorno pascoli, pozze d’alpeggio, fontanelle, diramazioni verso altre malghe, qualcuna vietata, altre no.
La strada continua a salire, supera una dorsale rocciosa intagliata nella parete, ed oltre appare un secondo altipiano, dominato da un panettone erboso su cui si intravede minuscola la sagoma del Rifugio, e dietro ancora un enorme acrocoro di nuda roccia, che pare voler inghiottire il rifugio e il suo colle, ma che a sua volta appare e scompare fra nere nuvole.

1° altipiano.

Scogliere di montagna.

Il Peller fra le nebbie.

Immensamente bello.
Mi piace questo nome, “Peller”; la elle è una consonante lieve come un soffio di brezza, sul lungo occhiello della lettera in corsivo mi pare di staccarmi dalla riga, pardon, dalla terra, e prendere il volo, e la gambetta della “P”, che scende in basso, è l’ovvia rincorsa per spiccare il balzo verso il cielo.
Perso nelle mie elucubrazioni grafologico-poetiche ecco che arrivo al rifugio. Per le auto ci sarebbe il parcheggio alla base del viottolo di accesso alla struttura, 200 metri poco più, ma io non lascio la mia moto incustodita, la conduco fino alla staccionata dell’edificio, come i cowboy legavano il loro cavallo fuori dalla porta del saloon: “noblesse oblige”!
Il rifugio è deserto, il che mi piace; dalla cucina fa capolino una grossa e grassa cuoca, una ragazzina carina che non mi pare oriunda italiana serve i tavoli, il padrone sorveglia; c’è solo una tavolata di uomini, non sono appassionati di trekker in gita, ma lavoratori forestali, boscaioli, malgari dei dintorni, che sono venuti qui a mangiare un piatto caldo, pieno di calorie e grassi, accompagnati da generose bevute di vino rosso: vita vera, mica bau bau micio micio!
Ed io mi adeguo: gnocchi di patate in burro fuso, salsicce in umido e polenta a palate, vin rosso e caffè corretto, il pranzo di chi non teme nulla, in particolare lipidi e colesterolo!

Alves al Peller.
Sto talmente bene, o sono talmente “inciucato”, che mi stendo a leggere sullo sdraio nella terrazza del rifugio; mi concedo il sottile piacere di telefonare alla mia ex-ditta per rompere un po’, di quando pensano di darmi il TFR… gli affari mi perseguitano anche in ferie.

Arrivederci Peller.
LA FREGATURA DI CAURIA
Ma è ora di ripartire.
Gironzolo un po’ attorno al monte, fin dove è permesso.
La strada termina a malga Clesera, da dove carrarecce e sentieri ridiscendo a valle: sono i percorsi di cui mi parlava l’amico “milanes”.
Si sta bene quassù, c’è pace, silenzio, aria fresca, profumo di pioggia e di montagna.
Ripercorro al contrario la stessa strada della ascesa, e non mi dispiace; lo sterrato misura 17 km, con le varianti e il ritorno sono stati una 40ina di km su terra, non male, molto meglio di quella volta che, in un giro simile, sono andato sul Maniva Croce Domini e i km di off sono stati solo 7!

Malga Clesera.

Chiesetta Alpina.

Passo della Forcola.
Mentre guido da Cles verso Mezzocorona studio mentalmente la strada per il ritorno.
Potrei ridiscendere la Vallagarina fino a Trento, e rientrare in Veneto per il valico della Frica; oppure potrei scendere a Rovereto, e rientrare di nuovo per la Borcola o per il passo del Pian delle Fugazze; ma però che noia il fondovalle dell’Adige! E che barva rifare per l’ennesima volta questa estate i soliti valichi vicentino-trentini!
Una lampadina si accende: Manghen!
Il passo del Manghen, un bel 2.000 metri che collega la valle di Fiemme con la Valsugana; dalla Valsugana poi in un attimo salgo a Lavarone per la SP133, la stupenda “Kaisejagerweg”, e da li passare in Valdastico.
Ma … l’attacco del Manghen è ben addentro la val di Fiemme, per raggiungerlo dovrei scendere a Lavis, praticamente Trento, risalire la tortuosa val di Cembra fino a Molina di Fiemme: troppa strada.
Ma … se da Mezzocorona risalgo la Vallagarina fino a Salorno, e attraverso il monte Corno, che la divide dalla val di Cembra, posso scendere a Capriana, a 2 passi da Molina e dal Manghen.

Cauria .. la fregatura.
Questo tratto, Salorno-Capriana, è segnato sulla mia DeAgostini 1:200.000 come strada secondaria, passante per il borgo di Cauria. La si vede anche su Google Earth, e per giunta, anche se definizione della foto non era molto chiara, sembrava, dico sembrava, che fosse sterrata!
Dovevo andare a vedere.
Mi dirigo verso nord, in direzione BZ, indi attraverso Salorno e trovo subito l’indicazione per Cauria, sono una decina di km immersi nella foresta di conifere, perfettamente asfaltati, che sfociano in un minuscolo altipiano al cui centro c’è la frazione di Cauria, un grappolo di case raccolto attorno alla chiesa.
L’asfalto termina proprio in paese, tutte le alternative possibili sono sterrate, ma sono (ovviamente) vietate! Mi guardo meglio attorno, niente da fare, non vedo prosecuzioni lecite; nel parcheggio c’è un persona, non è del luogo ma di Trento, gli chiedo informazioni ma non sa dirmi. Sinceramente di chiedere ai tedeschi non ne ho voglia, me ne vado dal paese maledicendo la De Agostini e tutti i suoi cartografi; poco priam del paese c’è una deviazione sterrata, la imbocco, avanzo un po’ nella foresta, immensa e maestosa, ma ogni diramazione termina in cancelli, divieti od avvisi di strada privata.

È la fine del giro.
Non ho più tempo di gironzolare attorno a Cauria invano.
Scendo a Salorno e mio malgrado, per guadagnare tempo, prendo ancora la detestata autostrada del Brennero fino a Rovereto, e per la Vallarsa ritorno a casa.
Un altro gran giro nel carniere!
IL RITORNO DAL DISPATRIO
Ma la Valleogra mi manca, eccome se mi manca; ho una voglia pazza di calcare i suoi sentieri, percorsi 1000 volte ma mai noiosi e scontati, sempre affascinanti ed emozionanti!
Di rinvio in rinvio la data definitiva diventa il 1° novembre.
Classico giro di mezza giornata, radunando un po’ di amici bruconi, oltre all’immancabile Diego.
È il tempo a fare le bizze., con una perturbazione che sembra voler allentare la presa sul nord Italia.
Ma si andrà comunque, non c’è dubbio, o quasi!
Sabato mattina:
ore 7.10: mi alzo e diluvia, governo ladro!
Ore 7.15: do il biberon a mia figlia.
Ore 7.20: telefono a Diego’s house, avamposto meteorologico in Valleogra: diluvia; ci si accorda di sentirci dopo.
Ore 7.30: telefono ad Hurrycane; non risponde in nessun cellulare; dirà poi che aveva paura che fosse il suo capo che lo precettava al lavoro: un uomo un mito!
Ore 7.35: continua a piovere, passo al cambio pannolino.
Ore7.50: la baby sitter, mia mamma, mi telefona per dirmi che visto che piove va al cimitero.
Ore 8.10: continua a piovere, e un indomito Hurrycane esce di casa per andare al ritrovo! Io sono in pigiama sul divano che coccolo mia figlia.
Ore 8.20: non piove più! Ne a Schio ne Torre! Giro di telefonate: avverto mia mamma di arrivare, Diego di aspettarmi a casa sua, Hurrycane…chi lo rintraccia?
Ore 8.45: arriva mia mamma; l’XR, ferma da mesi, non parte!
Ore 8.55: finalmente parto da casa, pronto all’avventura.
Ore 9.00 al distributore trovo Hurrycane in attesa da 45 minuti; ma non sta aspettando solo me: pochi secondi ed appare Alberto Sukisuki, e manca ancora Ruggero, non si sa bene dove sia.
Hurry ha un problema: il TTE beve più olio che benzina e vuole andare a comprare un chilo d’olio al supermercato; gli dico di lasciar perdere, tropo tempo, vado a casa mia a prendergli una latta, poi chiamo Diego e gli dico di aspettarci in una contrada.
Ore 9.15: finalmente arriva Ruggero col K450, possiamo partire; ahimè, mi accorgo che ho le batterie scariche della digitale, addio foto!
Ore 9.30: un paio di sentieri e sterrati ci conducono al rendez-vouz con Diego. Da li in avanti saranno 2 ore entusiasmanti sui sentieri e le mulattiere della Valleogra; un continuo dentro fuori dal bosco, col al massimo qualche attraversamento di spazi aperti dove “riveder le stelle” come disse il sommo poeta Dante.
Niente di troppo tecnico, ma il fondo era micidiale: a un primo abbondante strato di foglie marce faceva seguito un secondo di terriccio umido, infine sotto sassi viscidi e scivolosi come sapone.
Diego, che mi seguiva, dirà che sembrava facessi lo “speedway” in una mulattiera in discesa!
L’unico stop nella nostra corsa è stato circa verso le 11,quando abbiamo affrontato un lungo sentiero che corre sul fianco della montagna, il fondo come descritto sopra, al peggio.
Io e RuggeroK passavamo, gli altri non si vedevano; tornavo indietro e c’era Diego fuori dal brutto, Sukisuki e Hurry piantati inesorabilmente a metà salita.
Lo zio avrebbe voluto anche spingere, e si poteva fare, ma un bagno di sudore simile era da lasciare perdere; come nei migliori quiz tivu, avevo la tripla scelta, A, B, C.
A come asfalto, per le femminucce.
B come bosco;
C come campo;
provavamo la B; dalla vicina contrada una mulattiera alternativa entrava nel bosco e saliva la valle; purtroppo 2 alberi caduti ostruivano la via; troppa fatica e tempo ad alzare 3 moto: rinunciavamo.
Tornati alla contrada provavo la C, ossia risalire lungo il campo per prendere la mulattiera iniziale più a monte. Lo zio correva verso l’asfalto, per colpa di Sukisuki che non aveva fatto bene l’elastico; si correva a riprendere lo zio e poi tutti su per il campo (ma in traccia segnata, non in libera).
Sono di poco passate le 11, decidiamo di cambiare versante della valle per tornare verso Schio facendo sempre off. Si sale ancora un po’ per sterrate e sentieri, poi giro verso una contrada, oltre cui c’è l’asfalto.
La mulattiera, entrando fra le case, diventa di “saliso”, selciato ma ricoperto di fanghetto e acqua.
Nonostante la velocità ridotta la moto mi sbanda a destra, facendo il pelo al muro di una casa; riesco a tenerla ed a riallinearla, ma nella manovra mi si spegne il motore!
La moto si intraversa irrimediabilmente a sinistra, tento di tenerla con una zampata con la gamba destra ma la moto è più veloce a cadere, e mi trascina giù la gamba, torcendomi in ginocchio oltre il limite fisiologico!
Rotolo sul selciato tenendomi il ginocchio un male cane, a malapena riesco a rialzarmi e a sedermi in uno sgabello nel portico della casa.
I ragazzi mi raccolgono la moto, nessun danno.
Il dolore è forte, mi son fatto qualcosa.
Poi si attenua, tanto che la discesa verso Valli la facciamo in fuoristrada, ma il mio ritmo non è più quello di prima.
È proprio in questo tratto che lo zio incappa in 2 voli.
Il primo, innocuo, in diretta TV; il sentiero fa una specie di cavatappi e scende in una contrada, dal basso lo vediamo sdraiare la moto in un tornante stretto; gran fatica a tirarla su, ma niente di che.
Il secondo, che non ho visto, capita in un sentiero che corre a picco sul Leogra, in parte sostenuto da travi di legno, umidissime.
È proprio in queste ultime che vola a terra, piegando pedana e leva freno.
Ore 12: il giro si conclude di fronte ad una birra a Valli.
Nel corso del pomeriggio non sentirò troppo male, ero ancora caldo; doccia, cimitero, pranzo dai miei, ancora cimiteri, supermercato.
Ma a cena con i parenti della moglie cominceranno le fitte dolorose anche da fermo, e in tarda serata anche un po’ di febbre.
Domenica ore 11.03: entro in Pronto Soccorso.
Ore 18.22: esco dal Pronto Soccorso: per fortuna che è “pronto”!
Diagnosi: distorsione e distrazione del ginocchio.

Il mio ginocchio distorto!
Dalle radiografie non risultano fratture, mi hanno dato 10 gg di prognosi, ma se il dolore non passerà entro questo termine dovrò fare la risonanza magnetica per vedere se i legamenti sono a posto.
Ma la cosa che mi rompe di più è chissà quando potrò tornare in sella!
Ciao
Alves
P.S.: Eh, Eh, la vita va più veloce della penna, in sella ci sono già tornato, vedi "Bruconata dell'Immacolata"!
ENDURO DEL DISPATRIO VII: PELLER
Il monte Peller è la cima più settentrionale del gruppo delle Dolomiti del Brenta, ed una delle più basse; deve essere per questo che non è così nota come altre vette, e sempre per questo ti lasciano ancora andarci fin quasi in cima con dei mezzi motorizzati, cosa inaudita nell’ipocrita Trentino ambientalista.
Avevo sentito parlare più volte di questa lunga sterrata che dal paese di Cles in val d Non saliva fino al rifugio omonimo, ma non avevo mai trovato foto del percorso: una perfetta scusa per andare a curiosare, e per macinare un po’ di km nelle Alpi: si prospettava un giro simile al “Dispatrio n°5”, la gita al Maniva Croce Domini.
Un giro che sarebbe stato quasi del tutto stradale, ma che almeno fosse per strade secondarie.
LA BORCOLA
Misconosciuto valico stradale tra Veneto e Trentino, tra Provincia di Vicenza e Trentino, tra valle del Posina e Val Terragnolo; nei secoli si è guadagnata la fama di percorso difficile ed aspro, finda tempi della Serenissima Repubblica di Venezia.
Gli echi di questa percorribilità faticosa e pericolosa sono giunti quasi sino al 2000; negli anni 90 il valico era ancora sterrato, almeno sul versante veneto. Su quello Trentino non so, non ci sono mai transitato prima dell’asfaltatura. Prima che l’asfaltassero erano più i giorni che il passo era chiuso per smottamenti, pericolo di frane, neve, ecc., ecc., che i giorni in cui era aperto.
Allora ero ancora un novellino dell’enduro, e quando, in sella al mio 125, arrivavo al Griso, l’ultima contrada della Val Posina, dove l’asfalto lasciava posto al bianco ghiaino, mi intimorivo alla vista dei cartelli tondi di divieto, triangolari di pericolo, alle transenne di traverso sulla carreggiata, e non proseguivo mai la marcia, anche se magari vedevo scendere auto o moto assolutamente stradali, magari con targa tedesca.
Ero proprio un pivello, ma a mia discolpa, avevo così paura di prendere una multa, la quale avrebbe messo a terra le mie magrissime finanze di studente, che preferivo fare retromarcia!
Infine ci pensò la Provincia a risolvere i miei amletici dubbi, asfaltando del tutto la strada!
Ma non risolvendone la problematica percorribilità; i soldi sono quelli che sono, e ancora adesso spesso e volentieri il monte frana, e la strada è chiusa; e poi in inverno, la neve non viene spazzata, e il valico, sebbene sia appena 1.200 m.s.l.m., rimane ufficialmente chiuso.
Passo della Borcola.
Resta comunque un piacevole itinerario, poco frequentato e suggestivo.
Nella solitudine del primo mattino affronto i 19 tornanti del versante veneto; allo scollinamento qualche banale cartello moderno in lamiera, qualche vecchio cippo in pietra dei tempi andati, subito oltre il confine la solitaria chiesetta Alpina e la malga Borcola, con la sorpresa del servizio ristoro, cosa assente negli anni passati.
Malga Borcola e val Terragnolo.
La discesa verso i paesi della Val Terragnolo è ancora più selvaggia, anche se l’asfalto trentino è migliore, posso immaginarmi che suggestiva dovesse essere prima del bitume.
In assoluta solitudine discendo tutta la vallata fino a Rovereto.
AUTOSTRADA
In Vallagarina prendevo l’Autostrada del Brennero a Rovereto Nord, per uscirne a San Michele all’Adige, 37 km a monte.
L’autostrada mi fa schifo, ma questo era un test, volevo provare il comportamento dell’Elefant alle alte velocità, capire se era possibile fare un più o meno lungo trasferimento autostradale per raggiungere località dove praticare l’off; ad esempio fare l’A13 per andare sull’Appennino bolognese, oppure spararmi la A4 per andare in Friuli o in Slovenia.
Il risultato è stato negativo. Fino ai 100 km/h la moto è controllabile, ma a me premeva sperimentare il suo comportamento a 120-130 km/h: a questa velocità media si che in un paio d’ore si raggiungono luoghi interessanti.
A 110 km/h la stabilità era incerta, ma ancora tollerabile per una marcia in sicurezza; a 120 già c’era da farsela addosso da come la moto serpeggiava, non parliamo di superare i 130! Paura!
Poi mi sono consolato ragionando che il mezzo era nelle condizioni peggiori per questa prova:
-Il mono ammortizzatore completamente sfrenato nel precarico per cedimento del circuito idraulico di regolazione della molla;
-il parafango anteriore da trial non sufficientemente rigido da resistere alla pressione dell’aria senza fare “effetto vela”;
-le molle anteriori flaccide;
-il casco da cross,che a momenti mi vola via;
-Soprattutto, le valige laterali che frenano tantissimo (ma queste servono se voglio viaggiare!);
-le gomme tassellate, ma finite;
Ora che ho le molle progressive, sto per montare l’Ohlins posteriore, vorrei riprovare, magari con gomme nuove e casco da strada, per vedere se i 120 km/h di crociera sono possibili.
Il motore Ducati non aiuta; ha solo 5 marce e sono molto corte, per andare a 120 il motore deve girare ad almeno 7.000 rpm su 8.500 di range utile!
UNA GITA AL PELLER
Per fortuna che 37 km di purga autostradale passano presto, mi riprometto che mai e poi mai al ritorno farò la stessa strada, piuttosto la statale con tutti i paesi.
A Mezzocorona entro nella Val di Non, ma il piacere di guida rimane a livelli bassi.
Il traffico fino a Cles, in questo giorno feriale, è assai intenso, grossi camion dei cementifici della zona creano lunghe code di autoveicoli. Attorno a me infine coltivazioni di mele tipo “golden” le famose “Melinda”.
Un amico milanese che “la sa lunga” su questa valle, frequentandola da tantissimo tempo, mi raccontava che qui se ne fregano dell’ambiente: tra dighe artificiali, coltivazione intensiva della mela, impianti da sci, ecc., l’ambiente originario è assai mutato negli anni; poi, ovviamente, se passi con una moto da enduro sei additato come il vandalo distruttore della natura!
L’amico si era offerto di accompagnarmi, fuori stagione, in mirabolanti traversate fuoristradistiche tra la valle di Non e la Val di Sole, ma siamo ad agosto, e sono col 750, mi accontento di fare il permesso.
Giunto a Cles, non senza qualche difficoltà trovo la strada per il Peller; un picoclo cartello in legno avverte “Rifugio Peller Aperto”, bene, so già dove mangerò.
Tornantone.
Pochi centinaia di metri sopra il paese e l’asfalto lascia il posto allo sterrato, che si manterrà in condizioni pressoché perfette fino al parcheggio del rifugio; tanto largo da permettere il passaggio di 2 autovetture, dal fondo compatto e livellato, con una leggera spolverata di polvere e sabbiolina sopra, canalette di scolo numerose e ben tenute: si vede che siamo in Trentino! È un tragitto alla portata anche di moto stradali.
Col 750 enduro è più bello, i lunghi rettilinei nella foresta invitano ad aprire il gas, i tornanti così larghi sono una istigazione alla spazzolata; un certo affollamento della strada, operai stradali e boscaioli, consiglia però prudenza.
Poi lo sterrato esce dal bosco e si porta sulla costa del monte, regalando splendide vedute a volo d’uccello di Cles e del lago di Santa Giustina; occhio a non fare un dritto però, gli esiti sarebbero poco raccomandabili …
Sterratone compatto.
Il lago di Cles.
Successivamente la strada guadagna il ciglio di un piccolo altipiano, carinissimo; la carreggiata si fa più stretta, e percorre indolente i corrugamenti del terreno; piccoli salti, curve e controcurve sempre piacevoli; attorno pascoli, pozze d’alpeggio, fontanelle, diramazioni verso altre malghe, qualcuna vietata, altre no.
La strada continua a salire, supera una dorsale rocciosa intagliata nella parete, ed oltre appare un secondo altipiano, dominato da un panettone erboso su cui si intravede minuscola la sagoma del Rifugio, e dietro ancora un enorme acrocoro di nuda roccia, che pare voler inghiottire il rifugio e il suo colle, ma che a sua volta appare e scompare fra nere nuvole.
1° altipiano.
Scogliere di montagna.
Il Peller fra le nebbie.
Immensamente bello.
Mi piace questo nome, “Peller”; la elle è una consonante lieve come un soffio di brezza, sul lungo occhiello della lettera in corsivo mi pare di staccarmi dalla riga, pardon, dalla terra, e prendere il volo, e la gambetta della “P”, che scende in basso, è l’ovvia rincorsa per spiccare il balzo verso il cielo.
Perso nelle mie elucubrazioni grafologico-poetiche ecco che arrivo al rifugio. Per le auto ci sarebbe il parcheggio alla base del viottolo di accesso alla struttura, 200 metri poco più, ma io non lascio la mia moto incustodita, la conduco fino alla staccionata dell’edificio, come i cowboy legavano il loro cavallo fuori dalla porta del saloon: “noblesse oblige”!
Il rifugio è deserto, il che mi piace; dalla cucina fa capolino una grossa e grassa cuoca, una ragazzina carina che non mi pare oriunda italiana serve i tavoli, il padrone sorveglia; c’è solo una tavolata di uomini, non sono appassionati di trekker in gita, ma lavoratori forestali, boscaioli, malgari dei dintorni, che sono venuti qui a mangiare un piatto caldo, pieno di calorie e grassi, accompagnati da generose bevute di vino rosso: vita vera, mica bau bau micio micio!
Ed io mi adeguo: gnocchi di patate in burro fuso, salsicce in umido e polenta a palate, vin rosso e caffè corretto, il pranzo di chi non teme nulla, in particolare lipidi e colesterolo!
Alves al Peller.
Sto talmente bene, o sono talmente “inciucato”, che mi stendo a leggere sullo sdraio nella terrazza del rifugio; mi concedo il sottile piacere di telefonare alla mia ex-ditta per rompere un po’, di quando pensano di darmi il TFR… gli affari mi perseguitano anche in ferie.
Arrivederci Peller.
LA FREGATURA DI CAURIA
Ma è ora di ripartire.
Gironzolo un po’ attorno al monte, fin dove è permesso.
La strada termina a malga Clesera, da dove carrarecce e sentieri ridiscendo a valle: sono i percorsi di cui mi parlava l’amico “milanes”.
Si sta bene quassù, c’è pace, silenzio, aria fresca, profumo di pioggia e di montagna.
Ripercorro al contrario la stessa strada della ascesa, e non mi dispiace; lo sterrato misura 17 km, con le varianti e il ritorno sono stati una 40ina di km su terra, non male, molto meglio di quella volta che, in un giro simile, sono andato sul Maniva Croce Domini e i km di off sono stati solo 7!
Malga Clesera.
Chiesetta Alpina.
Passo della Forcola.
Mentre guido da Cles verso Mezzocorona studio mentalmente la strada per il ritorno.
Potrei ridiscendere la Vallagarina fino a Trento, e rientrare in Veneto per il valico della Frica; oppure potrei scendere a Rovereto, e rientrare di nuovo per la Borcola o per il passo del Pian delle Fugazze; ma però che noia il fondovalle dell’Adige! E che barva rifare per l’ennesima volta questa estate i soliti valichi vicentino-trentini!
Una lampadina si accende: Manghen!
Il passo del Manghen, un bel 2.000 metri che collega la valle di Fiemme con la Valsugana; dalla Valsugana poi in un attimo salgo a Lavarone per la SP133, la stupenda “Kaisejagerweg”, e da li passare in Valdastico.
Ma … l’attacco del Manghen è ben addentro la val di Fiemme, per raggiungerlo dovrei scendere a Lavis, praticamente Trento, risalire la tortuosa val di Cembra fino a Molina di Fiemme: troppa strada.
Ma … se da Mezzocorona risalgo la Vallagarina fino a Salorno, e attraverso il monte Corno, che la divide dalla val di Cembra, posso scendere a Capriana, a 2 passi da Molina e dal Manghen.
Cauria .. la fregatura.
Questo tratto, Salorno-Capriana, è segnato sulla mia DeAgostini 1:200.000 come strada secondaria, passante per il borgo di Cauria. La si vede anche su Google Earth, e per giunta, anche se definizione della foto non era molto chiara, sembrava, dico sembrava, che fosse sterrata!
Dovevo andare a vedere.
Mi dirigo verso nord, in direzione BZ, indi attraverso Salorno e trovo subito l’indicazione per Cauria, sono una decina di km immersi nella foresta di conifere, perfettamente asfaltati, che sfociano in un minuscolo altipiano al cui centro c’è la frazione di Cauria, un grappolo di case raccolto attorno alla chiesa.
L’asfalto termina proprio in paese, tutte le alternative possibili sono sterrate, ma sono (ovviamente) vietate! Mi guardo meglio attorno, niente da fare, non vedo prosecuzioni lecite; nel parcheggio c’è un persona, non è del luogo ma di Trento, gli chiedo informazioni ma non sa dirmi. Sinceramente di chiedere ai tedeschi non ne ho voglia, me ne vado dal paese maledicendo la De Agostini e tutti i suoi cartografi; poco priam del paese c’è una deviazione sterrata, la imbocco, avanzo un po’ nella foresta, immensa e maestosa, ma ogni diramazione termina in cancelli, divieti od avvisi di strada privata.
È la fine del giro.
Non ho più tempo di gironzolare attorno a Cauria invano.
Scendo a Salorno e mio malgrado, per guadagnare tempo, prendo ancora la detestata autostrada del Brennero fino a Rovereto, e per la Vallarsa ritorno a casa.
Un altro gran giro nel carniere!
IL RITORNO DAL DISPATRIO
Ma la Valleogra mi manca, eccome se mi manca; ho una voglia pazza di calcare i suoi sentieri, percorsi 1000 volte ma mai noiosi e scontati, sempre affascinanti ed emozionanti!
Di rinvio in rinvio la data definitiva diventa il 1° novembre.
Classico giro di mezza giornata, radunando un po’ di amici bruconi, oltre all’immancabile Diego.
È il tempo a fare le bizze., con una perturbazione che sembra voler allentare la presa sul nord Italia.
Ma si andrà comunque, non c’è dubbio, o quasi!
Sabato mattina:
ore 7.10: mi alzo e diluvia, governo ladro!
Ore 7.15: do il biberon a mia figlia.
Ore 7.20: telefono a Diego’s house, avamposto meteorologico in Valleogra: diluvia; ci si accorda di sentirci dopo.
Ore 7.30: telefono ad Hurrycane; non risponde in nessun cellulare; dirà poi che aveva paura che fosse il suo capo che lo precettava al lavoro: un uomo un mito!
Ore 7.35: continua a piovere, passo al cambio pannolino.
Ore7.50: la baby sitter, mia mamma, mi telefona per dirmi che visto che piove va al cimitero.
Ore 8.10: continua a piovere, e un indomito Hurrycane esce di casa per andare al ritrovo! Io sono in pigiama sul divano che coccolo mia figlia.
Ore 8.20: non piove più! Ne a Schio ne Torre! Giro di telefonate: avverto mia mamma di arrivare, Diego di aspettarmi a casa sua, Hurrycane…chi lo rintraccia?
Ore 8.45: arriva mia mamma; l’XR, ferma da mesi, non parte!
Ore 8.55: finalmente parto da casa, pronto all’avventura.
Ore 9.00 al distributore trovo Hurrycane in attesa da 45 minuti; ma non sta aspettando solo me: pochi secondi ed appare Alberto Sukisuki, e manca ancora Ruggero, non si sa bene dove sia.
Hurry ha un problema: il TTE beve più olio che benzina e vuole andare a comprare un chilo d’olio al supermercato; gli dico di lasciar perdere, tropo tempo, vado a casa mia a prendergli una latta, poi chiamo Diego e gli dico di aspettarci in una contrada.
Ore 9.15: finalmente arriva Ruggero col K450, possiamo partire; ahimè, mi accorgo che ho le batterie scariche della digitale, addio foto!
Ore 9.30: un paio di sentieri e sterrati ci conducono al rendez-vouz con Diego. Da li in avanti saranno 2 ore entusiasmanti sui sentieri e le mulattiere della Valleogra; un continuo dentro fuori dal bosco, col al massimo qualche attraversamento di spazi aperti dove “riveder le stelle” come disse il sommo poeta Dante.
Niente di troppo tecnico, ma il fondo era micidiale: a un primo abbondante strato di foglie marce faceva seguito un secondo di terriccio umido, infine sotto sassi viscidi e scivolosi come sapone.
Diego, che mi seguiva, dirà che sembrava facessi lo “speedway” in una mulattiera in discesa!
L’unico stop nella nostra corsa è stato circa verso le 11,quando abbiamo affrontato un lungo sentiero che corre sul fianco della montagna, il fondo come descritto sopra, al peggio.
Io e RuggeroK passavamo, gli altri non si vedevano; tornavo indietro e c’era Diego fuori dal brutto, Sukisuki e Hurry piantati inesorabilmente a metà salita.
Lo zio avrebbe voluto anche spingere, e si poteva fare, ma un bagno di sudore simile era da lasciare perdere; come nei migliori quiz tivu, avevo la tripla scelta, A, B, C.
A come asfalto, per le femminucce.
B come bosco;
C come campo;
provavamo la B; dalla vicina contrada una mulattiera alternativa entrava nel bosco e saliva la valle; purtroppo 2 alberi caduti ostruivano la via; troppa fatica e tempo ad alzare 3 moto: rinunciavamo.
Tornati alla contrada provavo la C, ossia risalire lungo il campo per prendere la mulattiera iniziale più a monte. Lo zio correva verso l’asfalto, per colpa di Sukisuki che non aveva fatto bene l’elastico; si correva a riprendere lo zio e poi tutti su per il campo (ma in traccia segnata, non in libera).
Sono di poco passate le 11, decidiamo di cambiare versante della valle per tornare verso Schio facendo sempre off. Si sale ancora un po’ per sterrate e sentieri, poi giro verso una contrada, oltre cui c’è l’asfalto.
La mulattiera, entrando fra le case, diventa di “saliso”, selciato ma ricoperto di fanghetto e acqua.
Nonostante la velocità ridotta la moto mi sbanda a destra, facendo il pelo al muro di una casa; riesco a tenerla ed a riallinearla, ma nella manovra mi si spegne il motore!
La moto si intraversa irrimediabilmente a sinistra, tento di tenerla con una zampata con la gamba destra ma la moto è più veloce a cadere, e mi trascina giù la gamba, torcendomi in ginocchio oltre il limite fisiologico!
Rotolo sul selciato tenendomi il ginocchio un male cane, a malapena riesco a rialzarmi e a sedermi in uno sgabello nel portico della casa.
I ragazzi mi raccolgono la moto, nessun danno.
Il dolore è forte, mi son fatto qualcosa.
Poi si attenua, tanto che la discesa verso Valli la facciamo in fuoristrada, ma il mio ritmo non è più quello di prima.
È proprio in questo tratto che lo zio incappa in 2 voli.
Il primo, innocuo, in diretta TV; il sentiero fa una specie di cavatappi e scende in una contrada, dal basso lo vediamo sdraiare la moto in un tornante stretto; gran fatica a tirarla su, ma niente di che.
Il secondo, che non ho visto, capita in un sentiero che corre a picco sul Leogra, in parte sostenuto da travi di legno, umidissime.
È proprio in queste ultime che vola a terra, piegando pedana e leva freno.
Ore 12: il giro si conclude di fronte ad una birra a Valli.
Nel corso del pomeriggio non sentirò troppo male, ero ancora caldo; doccia, cimitero, pranzo dai miei, ancora cimiteri, supermercato.
Ma a cena con i parenti della moglie cominceranno le fitte dolorose anche da fermo, e in tarda serata anche un po’ di febbre.
Domenica ore 11.03: entro in Pronto Soccorso.
Ore 18.22: esco dal Pronto Soccorso: per fortuna che è “pronto”!
Diagnosi: distorsione e distrazione del ginocchio.

Il mio ginocchio distorto!
Dalle radiografie non risultano fratture, mi hanno dato 10 gg di prognosi, ma se il dolore non passerà entro questo termine dovrò fare la risonanza magnetica per vedere se i legamenti sono a posto.
Ma la cosa che mi rompe di più è chissà quando potrò tornare in sella!
Ciao
Alves
P.S.: Eh, Eh, la vita va più veloce della penna, in sella ci sono già tornato, vedi "Bruconata dell'Immacolata"!