la temibile Gamonda
Inviato: dom 24 mag, 2009 7:39 pm
LA TEMIBILE GAMONDA
la temibile Gamonda non è l’ennesimo mostro partorito dalla fantasia dei “cartonist” jap, come il celeberrimo “Godzilla” apparso in centinaia di film e cartoni animati, ma un molto più anonimo monte di 1000 m.l.m. nelle Prealpi Venete, anche se le affilate creste rocciose che ne disegnano la dorsale sommitale potrebbero ben ricordare le creste squamate che qualche mostro preistorico portava sulla schiena.
In uno dei volumi della mia biblioteca, nel capitolo riservato a tale montagna, lo scrittore riportava una leggenda raccolta in loco, che recitava più o meno così: “Il senato veneziano, stanco di sentire che sul rupestre monte Gamonda continuavano a succedere disgrazie per frane e slavine, dette ordine di … spianarlo!” Ma l’ordinanza della Serenissima non deve essere stata eseguita, in quanto il monte è ancora al suo posto! Però la storiella illustra con efficacia la natura aspra e forte di questa montagna, e da sola vale ad incuriosirmi e a progettare un giro in quelle balze.
Se a questo va ad aggiungersi la presenza di fortificazioni e camminamenti italiani in vetta, eretti nel 1915-18, la faccenda del Gamonda si ancora più intrigante.
Allo scoppio del conflitto il monte era ben addentro alle retrovie del fronte, ma nella primavera 1916 fu conquistato dagli austriaci durante la famosa “Spedizione Punitiva”, in cui ebbero quasi la sorte di raggiungere la pianura; nel corso della controffensiva italiana ripiegarono di una decina di km dalla linea di massima penetrazione e si arroccarono su di una serie di crinali imprendibili alti 1500 m.l.m. e oltre, e li mantennero fino alla fine, mentre gli italiani il Gamonda divenne prima linea.
Verso il passo di Val Massara.
Ma c’è un ultimo più prosaico aspetto che mi spinge a salire sul monte.
Dividendo quest’ultimo 2 valli contigue, la Valposina e la Valle dello Zara, costituisce una formidabile barriera ai miei giri con la moto da enduro, e difatti mi ero sempre limitato a percorrere sentieri che poi morivano a metà nel bosco, senza portarmi da nessuna parte. Col trial mi proponevo di esplorare i suoi sentieri, per cercare un passaggio con la moto a “sella alta”.
È per questo che ho comprato il trial!
Ma, anticipando la conclusione, non è che con questo mezzo ho trovato risposta ai miei dilemmi: con la moto da trial finisco sempre su percorsi da trial o da moto alpinismo non adatti all’enduro, ma va bene così, alla fine tutto è una scusa per vivere una avventura in mezzo ai boschi, con qualsiasi mezzo.
Affronto la scalata del monte dal versante nord-est, il più boscoso ed ombroso; 2 sentieri ne percorrono le balze, per congiungersi al passo di Val Massara, la prima delle 3 selle che segnano la scalata alla vetta; le altre sono la selletta delle Are e la Sella di Val Granda.
Queste valli non sono vere valli, ma sono larghi svasi sui fianchi della piramide montuosa: in altri luoghi detti “vaj” oppure “boali”.
Finalmente in “sella”.
La mia avventura inizia su una facile sterrata che conduce ad un piccolo pianoro, occupato da antiche baite; alcune sono ruderi, altre sono riattate a dimora rurale: fin qui ero già arrivato con l’enduro, ma non ero riuscito ad andare oltre. E, inaspettatamente, con il trial è lo stesso! Cerco e ricerco nel bosco una qualche traccia che mi permetta di guadagnare quota, ma niente da fare, la foresta appare vergine di sentieri: tutte le tracce che trovo sono percorsi di boscaioli che muoiono nella piazzola di taglio. Sconfitto ma non domo, ritorno a valle, sulla strada asfaltata, e mi porto con breve trasferimento alla base dello spigolo nord est del monte, dove un altro sentiero taglia in diagonale tutto il pendio del Gamonda fino al passo di Val Massara.
E così è: parte ben tracciato e largo, poi salendo si fa sempre più labile ed incerto, più volte mi pare di perderlo ma con un po’ di fiuto ne ritrovo la scia; un’ultima serie di tornanti e guadagno la sella del passo di Val Massara, e il versante sud ovest del Gamonda.
L’ambiente non è dei più ciclabili … notare sulla dx una trincea.
Dopo una lunga sosta in cui mi godo il tepore della primavera, curiosando dentro vecchie trincee semicancellate dal tempo, riprendo la salita per la mulattiera di arroccamento.
Il sentiero non presenta particolari difficoltà, anzi sarebbe affrontabile anche don una enduro, e così raggiungo velocemente il secondo passo, la piccola sella delle Are.
Panorama.
In salita sulla mulattiera di arroccamento.
Ora mi aspetta il tratto finale della scalata, e la musica cambia.
Di fronte a me le scogliere rocciose del Lusengarte non promettono niente di buono, par quasi che solo ora il monte si sia deciso a mostrarmi di cosa è capace. Il sentiero che sale la Val Granda si fa duro; la traccia è evidente e ben segnata, ma la pendenza aumenta, i tornanti s susseguono serrati uno all’altro, alberi e pietre fanno a gara ad intralciare la mia risalita.
In una curva urto un sasso delle dimensioni di un pallone da calcio con la ruota posteriore, quello si mette in moto e comincia a rotolare verso valle: STOCK! CRACK! STUMP! … e via così, fino a perdersi nella vallata! Spero non ci sia nessuno, accidenti!
Continuo a salire, faccio un primo cappottone da cui riesco a ripartire senza perdere troppa energia, perché adesso fa caldo, molto caldo, il sole picchia duro sopra la testa. Il sentiero è sempre peggio, e nell’affrontare una rampa accidentata che precede l’ennesimo tornante faccio un back flip involontario, il Fantic si impenna su di un masso, io sono troppo arretrato e non riesco a recuperare, la moto fa un 180° sull’abisso di val Granda e per fortuna si ferma sospesa sopra un masso.
Basta!
Getto la spugna, sono stanco, e il futuro non riserva niente di buono.
Gli scogli rocciosi del Lusengarte.
Cappotto in Val Granda.
Torno alla sella delle Are, dove un altro sentiero scende a valle.
La via della ritirata.
Anche questo sentiero si rivelerà tosto; in discesa nessun problema con trial, ovviamente, ma con una enduro sarebbe un massacro di fatica scenderlo. Quanto a salirlo, non so se sarei in grado di farlo col trial, ma con l’enduro certamente no!
Qua con l’enduro non ci si passa …
… no, no!
Fatta, sono di nuovo nella civiltà.
Fusine e il monte Novegno ancora innevato.
Contrà Pui sotto l’incombente Lusengarte.
Contra Pui dal fondovalle. Sono sceso da quella sella sulla destra in cui campeggia un solitario albero.
Lui si che può andare dove gli pare, non ha i limiti delle ruote!
Finalmente in fondo valle, tentavo il quarto e ultimo sentiero della giornata, per risalire al passo di Val Massara dal versante sud ovest; anche questo si rivelava una brutta bestia: dalla contrada partiva subito cattivo ed incazzato, ripido e scivoloso, OK col trial, difficilotto con una enduro; ma poi una doppia trincea rendeva molto rischioso il passaggio di una 2 ruote, di qualunque tipo, e mollavo il colpo.
E qui si ferma il secondo tentativo di ascesa.
Nulla da eccepire, la Gamonda ha mantenuto fede alla sua fama!
Ciao
Alves
la temibile Gamonda non è l’ennesimo mostro partorito dalla fantasia dei “cartonist” jap, come il celeberrimo “Godzilla” apparso in centinaia di film e cartoni animati, ma un molto più anonimo monte di 1000 m.l.m. nelle Prealpi Venete, anche se le affilate creste rocciose che ne disegnano la dorsale sommitale potrebbero ben ricordare le creste squamate che qualche mostro preistorico portava sulla schiena.
In uno dei volumi della mia biblioteca, nel capitolo riservato a tale montagna, lo scrittore riportava una leggenda raccolta in loco, che recitava più o meno così: “Il senato veneziano, stanco di sentire che sul rupestre monte Gamonda continuavano a succedere disgrazie per frane e slavine, dette ordine di … spianarlo!” Ma l’ordinanza della Serenissima non deve essere stata eseguita, in quanto il monte è ancora al suo posto! Però la storiella illustra con efficacia la natura aspra e forte di questa montagna, e da sola vale ad incuriosirmi e a progettare un giro in quelle balze.
Se a questo va ad aggiungersi la presenza di fortificazioni e camminamenti italiani in vetta, eretti nel 1915-18, la faccenda del Gamonda si ancora più intrigante.
Allo scoppio del conflitto il monte era ben addentro alle retrovie del fronte, ma nella primavera 1916 fu conquistato dagli austriaci durante la famosa “Spedizione Punitiva”, in cui ebbero quasi la sorte di raggiungere la pianura; nel corso della controffensiva italiana ripiegarono di una decina di km dalla linea di massima penetrazione e si arroccarono su di una serie di crinali imprendibili alti 1500 m.l.m. e oltre, e li mantennero fino alla fine, mentre gli italiani il Gamonda divenne prima linea.
Verso il passo di Val Massara.
Ma c’è un ultimo più prosaico aspetto che mi spinge a salire sul monte.
Dividendo quest’ultimo 2 valli contigue, la Valposina e la Valle dello Zara, costituisce una formidabile barriera ai miei giri con la moto da enduro, e difatti mi ero sempre limitato a percorrere sentieri che poi morivano a metà nel bosco, senza portarmi da nessuna parte. Col trial mi proponevo di esplorare i suoi sentieri, per cercare un passaggio con la moto a “sella alta”.
È per questo che ho comprato il trial!
Ma, anticipando la conclusione, non è che con questo mezzo ho trovato risposta ai miei dilemmi: con la moto da trial finisco sempre su percorsi da trial o da moto alpinismo non adatti all’enduro, ma va bene così, alla fine tutto è una scusa per vivere una avventura in mezzo ai boschi, con qualsiasi mezzo.
Affronto la scalata del monte dal versante nord-est, il più boscoso ed ombroso; 2 sentieri ne percorrono le balze, per congiungersi al passo di Val Massara, la prima delle 3 selle che segnano la scalata alla vetta; le altre sono la selletta delle Are e la Sella di Val Granda.
Queste valli non sono vere valli, ma sono larghi svasi sui fianchi della piramide montuosa: in altri luoghi detti “vaj” oppure “boali”.
Finalmente in “sella”.
La mia avventura inizia su una facile sterrata che conduce ad un piccolo pianoro, occupato da antiche baite; alcune sono ruderi, altre sono riattate a dimora rurale: fin qui ero già arrivato con l’enduro, ma non ero riuscito ad andare oltre. E, inaspettatamente, con il trial è lo stesso! Cerco e ricerco nel bosco una qualche traccia che mi permetta di guadagnare quota, ma niente da fare, la foresta appare vergine di sentieri: tutte le tracce che trovo sono percorsi di boscaioli che muoiono nella piazzola di taglio. Sconfitto ma non domo, ritorno a valle, sulla strada asfaltata, e mi porto con breve trasferimento alla base dello spigolo nord est del monte, dove un altro sentiero taglia in diagonale tutto il pendio del Gamonda fino al passo di Val Massara.
E così è: parte ben tracciato e largo, poi salendo si fa sempre più labile ed incerto, più volte mi pare di perderlo ma con un po’ di fiuto ne ritrovo la scia; un’ultima serie di tornanti e guadagno la sella del passo di Val Massara, e il versante sud ovest del Gamonda.
L’ambiente non è dei più ciclabili … notare sulla dx una trincea.
Dopo una lunga sosta in cui mi godo il tepore della primavera, curiosando dentro vecchie trincee semicancellate dal tempo, riprendo la salita per la mulattiera di arroccamento.
Il sentiero non presenta particolari difficoltà, anzi sarebbe affrontabile anche don una enduro, e così raggiungo velocemente il secondo passo, la piccola sella delle Are.
Panorama.
In salita sulla mulattiera di arroccamento.
Ora mi aspetta il tratto finale della scalata, e la musica cambia.
Di fronte a me le scogliere rocciose del Lusengarte non promettono niente di buono, par quasi che solo ora il monte si sia deciso a mostrarmi di cosa è capace. Il sentiero che sale la Val Granda si fa duro; la traccia è evidente e ben segnata, ma la pendenza aumenta, i tornanti s susseguono serrati uno all’altro, alberi e pietre fanno a gara ad intralciare la mia risalita.
In una curva urto un sasso delle dimensioni di un pallone da calcio con la ruota posteriore, quello si mette in moto e comincia a rotolare verso valle: STOCK! CRACK! STUMP! … e via così, fino a perdersi nella vallata! Spero non ci sia nessuno, accidenti!
Continuo a salire, faccio un primo cappottone da cui riesco a ripartire senza perdere troppa energia, perché adesso fa caldo, molto caldo, il sole picchia duro sopra la testa. Il sentiero è sempre peggio, e nell’affrontare una rampa accidentata che precede l’ennesimo tornante faccio un back flip involontario, il Fantic si impenna su di un masso, io sono troppo arretrato e non riesco a recuperare, la moto fa un 180° sull’abisso di val Granda e per fortuna si ferma sospesa sopra un masso.
Basta!
Getto la spugna, sono stanco, e il futuro non riserva niente di buono.
Gli scogli rocciosi del Lusengarte.
Cappotto in Val Granda.
Torno alla sella delle Are, dove un altro sentiero scende a valle.
La via della ritirata.
Anche questo sentiero si rivelerà tosto; in discesa nessun problema con trial, ovviamente, ma con una enduro sarebbe un massacro di fatica scenderlo. Quanto a salirlo, non so se sarei in grado di farlo col trial, ma con l’enduro certamente no!
Qua con l’enduro non ci si passa …
… no, no!
Fatta, sono di nuovo nella civiltà.
Fusine e il monte Novegno ancora innevato.
Contrà Pui sotto l’incombente Lusengarte.
Contra Pui dal fondovalle. Sono sceso da quella sella sulla destra in cui campeggia un solitario albero.
Lui si che può andare dove gli pare, non ha i limiti delle ruote!
Finalmente in fondo valle, tentavo il quarto e ultimo sentiero della giornata, per risalire al passo di Val Massara dal versante sud ovest; anche questo si rivelava una brutta bestia: dalla contrada partiva subito cattivo ed incazzato, ripido e scivoloso, OK col trial, difficilotto con una enduro; ma poi una doppia trincea rendeva molto rischioso il passaggio di una 2 ruote, di qualunque tipo, e mollavo il colpo.
E qui si ferma il secondo tentativo di ascesa.
Nulla da eccepire, la Gamonda ha mantenuto fede alla sua fama!
Ciao
Alves