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ALLA RICERCA DELL’ENDURO PERDUTO III°

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SuperHank
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ALLA RICERCA DELL’ENDURO PERDUTO III°

Messaggio da SuperHank » gio 06 set, 2007 4:03 pm

ALLA RICERCA DELL’ENDURO PERDUTO III°:
IL BELUMAT (Bellunese)


IL PIU’ GRANDE CICLISTA DI TUTTA LA BLIBLIOTECA

Quando ero ancora uno studente sfaccendato e bivaccavo tutto il dì alla biblioteca pubblica (salvo pausa caffè alla pasticceria dirimpetto), una delle mie letture preferite, e frequentissimo prestito, era scorrere tutti i vari volumi e volumetti dedicati ai percorsi per mountain bike, e in sott’ordine quelli per i trekking a cavallo e a piedi.
Ovviamente ricercavo spunti ed incitazioni per giri in moto, arrivando anche a fotocopiare interi capitoli; di sicuro i bibliotecari pensavano che fossi un atleta in preparazione per le Olimpiadi, vista la mole di strada che apparentemente avrei dovuto pedalare!
L’interpretazione di itinerari ciclistici applicati alla moto non è cosa semplice: tratti difficilmente ciclabili a pedali, possono essere effettivamente impossibili in moto (tipo strettissimi sentieri pedonali) oppure al contrario facili ( ripide rampone dove proprio le gambe non ce la fanno mentre i pistoni si!). L’abilità sta nell’interpretare le informazioni ed individuare sul terreno alternative in modo da poter “chiudere” il giro anche in moto.
Le cose si complicano quando le cartine di corredo agli itinerari non sono riproduzioni della zona, ma schizzi, disegni tracciati dall’autore, senza alcuna indicazione delle zone limitrofe: questo era il mio caso delle Prealpi Bellunesi e Trevigiane.

IL VIAGGIO DEL 2000: 1° GIORNO

Avevo letto e riletto il volumetto, vi avevo trovato interessanti spunti di sterrate da percorrere, ma non ero riuscito a trovare nei negozi della mia zone mappe dell’area.
Finalmente nel 2000 ebbi l’occasione di recarmi con calma in quelle bande, a seguito di un invito ricevuto dal mio ex-compagno di università Paolo, di essere ospite a casa sua, a Sedico (BL).
Così una mattina partii buonora verso Belluno, con l'idea di percorrere le strade in quota del monte Grappa e il crinale che dal monte Cesen arriva fino al Col Visentin.
Superata Bassano, attraversai il massiccio del Grappa, fino a scendere ad Alano di Piave; passato il “Fiume Sacro alla Patria”, iniziai a risalire il monte Cesen, dapprima su asfalto fino al borgo di Milies, da lì in poi su un ampio sterrato. Arrivato ad una malga, lì terminava la carrabile: l'unica alternativa per continuare a salire era una mulattiera piuttosto accidentata che percorreva il fianco del monte e con un po’ di timore mi ci buttai.
Mi ritrovai su una sterrata in discesa che avrebbe dovuto portare a Marziai, cioè nella valle del Piave, non volendo scendere tentai di rimanere in quota imboccando una pista forestale molto fangosa, che percorsi con prudenza. Mi andò bene: finii su una bella strada sterrata che mi portò fino alla malga Mariech, presso la cima del monte Barbaria; fa freddo, un pallido sole illumina la vetta, mi accoccolai sotto il monumento ai caduti ad osservare la pianura sottostante coperta da un mare di nuvole bianche.
Dalla malga Mariech inizia l'asfalto, non mi garbò per cui tornai sullo sterrato da dove ero venuto, ai vari bivi che incontrai cercai di tenere direzione nord-est, ossia di seguire la dorsale Cesen - Col Visentin. In prossimità di un impluvio vallivo abbandonai la strada per una traccia dal fondo costituito di lisci lastroni di roccia; arrancando un po’ in mezzo al bosco, finalmente ad una malga ritrovai lo sterrato ed in breve scollino sul versante trevigiano, nei pressi del rifugio Posa Puner dove unico avventore mi fermai a consumare un panino.
La strada, sterrata ma in ottime condizioni, si snodava alta sulle pendici dei monti ma la nebbia persistente nascondeva tutta la pianura e anche qualche divieto: arrivato sul monte Crep, nei pressi della casera omonima, un divieto impediva il proseguimento ma a causa della nebbia fitta "non vedi" il cartello e andai oltre.
Attraversai pascoli a me invisibili, è una sensazione surreale non sapere com'è il luogo che si sta attraversando; fino a giungere al passo Praderadego, un luogo incantevole. Via di comunicazione fra la valle del Piave e la Marca Trevigiana fin dai romani e prima, ancora al momento del mio passaggio aveva mantenuto l'aspetto che dovevano avere le vie di comunicazione nel passato: una stradina sterrata valica il passo, attorno una foresta mista pini e latifoglie, alcune casare in pietra grigia appena prima del valico, l'immancabile bar rifugio specializzato in piatti tipici locali; peccato che questo durerà ben poco, infatti un cartellone giallo annunciava i lavori di asfaltatura della rotabile.
Scendetti quindi il versante bellunese, attraverso la dolce zona collinare fino al Castello di Zumelle, da visitare: arroccato su un cocuzzolo, è postazione militare fin dai tempi antichi; si dice che il re ostrogoto Teodorico vi fece rinchiudere la moglie Amalasunta.
Ripresa la strada, mantenendomi in quota sulle colline, percorsi altre strade asfaltate e sterrate fino ad incrociare la SS 635 che scende da Passo di San Boldo; direzione Belluno e la casa del mio amico.

IL VIAGGIO DEL 2000: 2° GIORNO

Il giorno successivo ripresi la strada delle montagne fino al passo Praderadego, ma scesi il versante trevigiano; ritornai verso Belluno per il Passo di San Boldo, principale via di comunicazione tra le 2 province: non è molto alto, 701 s.l.m., però nella parte finale si arrampica su una scarpata rocciosa attraverso una serie di tornati molto stretti, scavati all'interno della montagna; in alcuni troppo stretti si passa a senso alternato.
Rientrato in territorio bellunese, scesi per qualche km fino alla località di Ponte delle Donne dove giro a destra, verso nord-est e il Col Visentin..
La strada seguiva il profilo della serie di valli discendenti dal crinale, trovai qualche tratto sterrato che si inoltra all'interno di queste valli attraverso boschi lussureggianti, per poi ridiscendere sull'asfalto.
Io invece volevo trovare un passaggio per scollinare e montare sulla rotabile per il Col Visentin, che si trova sul versante opposto.
Sulla cartina vedo una traccia che porta fino al Pian delle Femene, località a cavallo della dorsale da cui sembra si possa collegarsi alla strada del Col Visentin. Imboccai la stradina bianca che percorreva la valle, fino ad una malga immersa nel verde: da lì una traccia di mulattiera proseguiva tra il pascolo e il bosco; la ruota posteriore slittava sul fondo roccioso e umido ma per fortuna, data la pendenza ridotta, riuscii a proseguire. Ero dentro al bosco, la valle si restringeva sempre più, mi trovai davanti una rampa che superai facilmente e fui in cima, all'imbocco di una carrabile che scendeva dall'altra parte.
Al Pian delle Femene, a dispetto del nome, non trovai nessuna "femena" ma solo tanti cacciatori appostati nei roccoli e nei casali. Purtroppo sbagliai strada e, invece di collegarmi in quota con la strada del Col Visentin, mi ritrovai in fondovalle.
Non mi restò che risalire il monte e finalmente iniziò lo sterrato: larghissimo, pendenza lieve, fondo abbastanza liscio, grandi tornati dove potrebbe girarsi una corriera; sono 12 km che feci a tutta manetta, sfruttando la larghezza dei tornanti per non perdere velocità.
Arrivai ai 1763 s.l.m. della cima giusto in tempo per rifugiarmi dentro il rifugio 5° Art. Alpina mentre si scatenava la furia degli elementi. Questo in rifugio sarà uno dei momenti più belli della gita: dalla finestra a fianco del tavolo vedevo la pioggia cadere fittissima e violenta e le nuvole muoversi intorno alla montagna; al calduccio mi ritemprai con pastasciutta, formaggio fuso, polenta e vino guardando la F1 in TV.
Aspettai che il tempo si calmasse ma invano per cui, dopo essermi vestito come un palombaro, uscii ed affrontare la bufera. Poche decine di metri bastarono a bagnarmi fino al midollo, un freddo bestiale, forse era meglio stare in rifugio fino a che smetteva, anche se ci avesse voluto una settimana su la non si stava poi male!
Per tutto il viaggio di ritorno sarò accompagnato da simpatici scrosci di acqua fino a casa: costeggiai i bei laghetti di Revine e di Lago (di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza) e poi via attraverso l'Alta Marca. Quando sulla cartina vidi segnata,, sulla sponda del Piave, una località dal sinistro nome di "Isola dei morti", vado a curiosare.
L'"Isola dei morti" è un sacrario militare della Grande Guerra, ma a differenza di Redipuglia, non è un enorme monumento, ma un parco in riva al Piave con al suo interno piccoli sacelli e simboli della guerra: è il primo luogo, credo, dove gli italiani guadarono con successo il Piave nell'ottobre del 1918, presso Moriago della Battaglia.
Dal centro del sacrario merita passeggiare fino all'argine del Piave per ammirare le "grave" ghiaiose e la collina del Montello, simile ad un dorso di balena che si innalza dalla piatta pianura: lungi dal mancare di rispetto per i caduti, ma il posto sarebbe veramente adatto per un sano enduro fluviale!
Ritorno senza storia per le trafficate statali della pedemontana e, umido e felice, fui finalmente a casa.

ANNO DOMINI 2007

7 anni dopo, mi torna la voglia di ripassare da quelle parti.
Nessun rimpianto, nessuna “pezza da mettere”, ad un giro che non era riuscito allora, anzi! Guardando quanto fatto in quei 2 giorni, mi rendo conto che pur con informazioni ridotte avevo percorso tutto il percorribile, o almeno p tratti più accessibili ed attraenti.
Voglio ripetermi, in un giorno solo però. Posso farcela: adesso conosco i posti, ho alcune mappe che allora non avevo, ho raccolto informazione sui forum di enduro, ho un 750 che i trasferimenti se li beve come aperitivo.
Si va.
La superstrada Gasparona mi fa raggiungere rapidamente Bassano, oltre il Grappa scorgo già la massiccia sagoma del monte Cesen.
Non troppo veloce, infatti per paura degli autovelox annidati nei bussolotti di metallo non supero gli 80 km/h: considerando che la velocità di crociera dell’XR400 è 70 km/h, mi domando che senso abbia penare in fuoristrada con 200 kg di bicilindrica, per avere solo 10 km/h in più!
Al trotto percorro la pedemontana del Grappa, scorro Borso, Possano, Pederobba, a Fenr attraverso il Piave e da Segusino inizia la scalata al monte Cesen

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Il borgo di Stramare indugia nella penombra del mattino

Attraverso il piccolo borgo di Stramare ancora addormentato nella penombra della stretta valle che si incunea fra i contrafforti del Cesen, finché la strada non approda nel piccolo pianoro dove sorge l’abitato di Milies, inondato di luce abbacinante.
Un minaccioso cartello che 7 anni fa non c’era mi accoglie alle porte del paese:”Divieto alle moto su tutti i sentieri e mulattiere carrabili e non del territorio comunale”! Terrificante, ma non mi sorprende.
Queste sono zone rinomate per l’enduro, l’MC “La Marca Trevigiana” da sempre organizza toste gare del regionale a Tarzo, Possano, Cavaso, Monfumo, ecc.; addirittura ci sono stati campionati italiani europei e pure mondiali, coma ad Alano nell’82. Valdobbiadene e dintorni sono le prime montagne che trevigiani e veneziani incontrano salendo dalla pianura.
Ma un divieto così generico, è valido? Quel “carrabili” come si applica? Se sono su una sterrata carrabile, sono in infrazione? Ai tutori dell’ordine l’ardua sentenza, e ai motociclisti le multe da pagare.
Effettivamente incontrerò pochissimi cartelli in giro, con il divieto generale all’ingresso del paese si sono messi la coscienza a posto, bastardi!

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Wanted endurista, dead or alive

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Addirittura i vigilantes volontari!

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Le vie di Milies

Milies è un delizioso borgo attraversato dalla strada principale asfaltata, attorno a questa le rustiche case sono disposte a pettine, inframezzate da stradine erbose. In un minuscolo baretto gestito da anziane signore faccio colazione, e finalmente trovo delle cartine della zona, edizioni locali, anzi vocalissime, che mai ero riuscito a rintracciare a Vicenza: gioia e tripudio.
Fuori del paese l’asfalto sfuma nello sterrato, inizia l’avventura.

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Fuori dal bosco

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Verso la Forcella


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Grappa

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Prealpi Bellunesi

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Prime avanguardie delle Dolomiti

La sterrata che percorro è larga e ben tenuta, in grande quantità sono presenti canalette di scolo dell’acqua piovana, ben fatte, di solide pietre cementate fra loro, ideali per tentare di bucare le gomme con il loro profilo acuminato.
Quando i bosco lascia spazio alle praterie d’alta montagna, il panorama attorno si fa magnifico e solenne, con i massicci gruppi montuosi che chiudono la valle del Piave.
Si sale fino ad una forcella sui 1100 metri, da cui si diramano varie sterrate e sentieri; un paio conducono a malghe della zona, e pur panoramiche, sono cieche. C’è poi una mulattiera che porta direttamente verso i 1570 m.s.l.m. della cima del Cesen, ma una catenella sbarra il passaggio.
Infine c’è una quarta traccia che si avvia nel bosco; è proprio il tipo do tracciato che ti fa venire il dubbio, in relazione al cartello di divieto giù a Milies; e anche la via che presi nel 2000, lo ricordo bene, e allora prendiamola anche nel 2007.
È la tipica via di esbosco dei taglialegna, molto ben tenuta, pare tracciata da poco, livellata di recente. Che sia luogo di lavoro dei boscaioli me lo confermano gli enormi tronchi che ingombrano la strada: per un po’ riesco a passare, ma di fronte ad un ammasso informe di fusti appoggiati al pendio mi devo arrendere, passare col 750 è rischiosissimo e impossibile da solo.
Che fare? Vuoi vedere che mi tocca scendere fin in pianura e salire da Valdobbiadene? Nooooo!
Cartina alla mano, individuo una sterrata che a mezza costa gira su tutto il fianco del monte, attraversando alcune malghe: è la mia!
Ridiscendo verso Milies, affrontando le temibili canalette prendendo il profilo con la ruota anteriore di traverso, per evitare il colpo brusco.
Al bivio seguo per malga Solvine: si rivelerà uno spettacolare tratto a mezza costa, con panoramiche visioni del Grappa e del Tomatico.
Numerosi cancelli mi obbligano al fastidioso ferma-apri-passa-chiudi, ma va bene così.
Arrivo alla strada asfaltata che da Valdobbiadene sale al monte Cesen, alle malga Barbaria, splendido balcone sulla pianura trevigiana.

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Di qui non si passa

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Buona educazione è chiudere il cancello

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Quella strada che intaglia in monte in obliquo dovrebbe essere da URLOOOOOO! Ma al 100% ci sarà un divieto…

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Mucche al pascolo

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Malga Barbaria; non ci crederete ma avevo problemi di campo! Che sia il caso di cambiare cell.?

Aggirato il gobbone sommitale del Cesen, dal passo Mariech (con omonima malga) si riparte con lo sterrato, in discesa verso il Bellunese.
I percorsi sono da urlo: sterrati sempre facili e scorrevoli, con numerose curve e tornanti in cui dare un innocente colpo di gas per divertirsi un po’. Le vedute sono una più bella dell’altra, a tratti in boschi fitti ed ombrosi si succedono aeree sterrate sospese sul crinale tra 2 valli, con un cielo azzurro intenso, dove candidi cumuli di nubi indugiano pigri attorno alle vette più alte.
Pare di volare.

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Passo Mariech


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W L’ITALIA


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Incroci nel bosco


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Percorsi easy, per tutti


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Monte Tomatico, credo…

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Si scende

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Fra terra e cielo

LA DISFATTA

In teoria devo rimanere sempre in quota, cercando di seguire lo spartiacque bellunese-trevigiano verso nord-est, per raggiungere i passi Praderadego, San Boldo e il Col Visentin.
Ma voglio scoprire fino a che quota alcune sterrate scendono verso valle, per capire se vale la pena tracciare anelli off-road dalla valle alle vette.
Pertanto scendo verso Lentiai, ma rimango celermente deluso, l’asfalto lì sale molto in alto; scendo fino a Lentiai, dove imbocco la strada di fondovalle verso Marziai, piccolo paesino da dove parte una delle salite al Cesen.
Non mi lascio sfuggire una piccola divagazione nel greto del Piave, tanto da poter dire “ci sono stato” quindi raggiungo Marziai.
Nel paesello non c’è nessuna indicazione verso il monte Cesen; in realtà la mappa che possiedo non arriva a coprire il paese di Marziai, per cui non so dove effettivamente parta la strada che cerco: ai vari bivi prendo sempre la diramazione a salire, sperando che mi porti fuori dalle case, su per le montagne.
Esco dal borgo, e la strada non si ferma, sale, sale, sale, infilandosi in una valle stretta e boscosa. Il fondo è purtroppo asfaltato, ma di un bitume vecchio, rattoppato, sbrecciato, ricoperto di ghiaino e foglie, con la vegetazione laterale che si protende verso il centro della strada, quasi ad inghiottirla.
E la strada va avanti per km, sempre uguale, senza passare per case, senza incontrare nessuno: non c’è off, ma è avventura anche questa!
All’improvviso un bivio, con entrambe le diramazioni asfaltate, della stessa dimensione, ugualmente non battute: che fare? Prendo a SX.
La pendenza aumenta sempre più, provvidenzialmente incontro degli anziani a funghi a cui chiedo lumi; ho avuto culo: è la strada giusta, prosegue ancora per un po’, poi diventa sterrata e raggiunge il quadrivio del Capitel del Garda, dove ero passato poco prima.
Ma prima di diventare sterrata c’è un pezzo cementato, e stavolta non mi cruccio di non trovare la terra, anzi ringrazio il provvidenziale cemento! La stradina entra in una forra strettissima, chiusa da pareti di umida roccia ricoperta di felci e muschi; il centro della strada è sagomato a guisa di canaletta di scolo, graffi trasversali segnano il cemento per avere aderenza. Quando mi sono fermato a fotografare ho avuto problemi a smontare dalla moto, infatti l’umidità e la pendenza erano tali che tenendo premuto il freno anteriore la ruota pattinava lo stesso sul fondo sdrucciolevole!
Al momento di ritornare in sella non sapevo se sarei riuscito a ripartire.

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Nel greto del Piave


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Il canyon di Marziai

Fuori dal canyon finalmente c’è lo sterro, bello, con tornantini, ma breve; sfogo la mia esuberanza giovanile con 4 manate di gas, e in un baleno sono al colle del Capitel del Garda.
AMARA SORPRESA! Mi giro e vedo il bauletto a 45° rispetto al terreno; ci vuol poco a capire: 2 dei 4 travi che costituiscono l’ossatura della piastra porta bauletto si sono tranciati di netto, mentre gli altri 2, pur reggendo tutto il peso dell’attrezzatura di scorta, hanno snervato e quasi tranciato le asole direttamente sul telaio posteriore dell’Elefant.
È la 3° volta che spacco il telaietto posteriore porta bauletto dell’Elefant: caricato si con molti kg di roba, ma mica 20, 30., 40! È fatta di ferraccio, questa Moto di Merda!!

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Cagiva, la Moto di Merda!

Ci vuol poco a capire che in queste condizioni non posso proseguire: addio Praderadego, addio San Boldo, addio Col Visentin!
Sistemo tutto il bagaglio nello zaino, con un ragno elastico cerco di fissare il bauletto “basculante”.
Nonostante tutto mi conviene salire ancora, sono molto vicino al crinale e dalla parte trevigiana c’è subito l’asfalto, per una discesa sicura.
Per la nota “legge di Murphy”, ovviamente mi tocca il pezzo peggiore del giorno, con la moto nelle peggiori condizioni; lo sterrato si fa stretto ed accidentato, ripido e con molti sassi smossi che fanno ondeggiare sospensioni e bauletto. Alfine diventa un vero sentiero terroso, con radici a fare il paio con i pochi massi affioranti; per fortuna è secco, le Karro fanno una buona presa e i bassi del Ducati il resto.
È lo stesso bosco che percorsi nel 2000, non è molto lungo; raggiungo una malga in cui arriva lo sterrato, poche centinaia di metri e dietro 2 gobbe mi appare la pianura e il rifugio: sono salvo!
Seguirà lunga e noiosa discesa a Valdobbiadene, però senza inconvenienti.
Per il San Boldo e il Visentin l’appuntamento è rimandato, sarà un’altra pezza da mettere ad un giro non riuscito.

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Tratti un po’ più impegnativi

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In che condizioni mi tocca viaggiare

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Rifugio Posa Puner

Ciao
Alves

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ciccio72
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ALLA RICERCA DELL’ENDURO PERDUTO III°

Messaggio da ciccio72 » lun 17 set, 2007 1:03 am

Accidenti Alves, che sorpresa!!!!!! Ho abitato fino al 2003 a Farra di soligo circa 10 km da Valdobbiadene e appena 4 da Moriago d.b. dove tuttora vado settimanalmente visto che l'azienda per cui lavoro è a Mosnigo, una frazione di Moriago attaccata a Vidor!!!!
Pensa che il primo dell'anno del 2002 alle 7.30 del mattino, dopo un capodanno diverso dal solito, ero su per la stradina di Milies a scarpinare a piedi con zaino in spalla.. Non sono del tutto a posto.......
Il San Boldo invece era la "palestra" per noi smanettoni del sabato pomeriggio seconda solo alla statale che porta al lago di Santa croce. Bei tempi..
Anche il Pianezze che si sale partendo da Valdobbiadene non è male per il fuoristrada.
Le guardie volontarie a cui alludi si chiamano Rengers, e sono tra i più "convinti" OCIOOOO!!!!
L'isola dei morti è davvero carina ma è anche sede provinciale degli alpini che tengono con molta cura quella zona dove si svolgono anche parecchie feste estive: CHE CIUCCHE!!! co tutte che e ombre.... Non te la consiglio di percorrerla in moto ti troveresti diversi Land Defender ben rialzati alle costole in men che non si dica....
Ciao a presto......
guardati in giro e stai sereno

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