5.IN SUSY VALLEY V° SOMMEILLER E COLOMION
Inviato: mer 31 mar, 2010 8:13 am
HONDA NON FAR LA STUPIDA
Sono le 13.00 circa quando arrivo in zona Bacini; le strade sono sterrate fangose, inizia a piovere ma soprattutto l’XR comincia ad avere gli stessi disturbi del giorno prima in Francia: motore che va a strappi, tentativi di spegnimento, ingolfamento; mi fermo e dalla solita cannetta esce un fiotto di benzina! Provo lo stesso rimedio, percuotere la vaschetta del carburatore, ma senza esito, e non mi sembra il caso di mettermi a smontare il carburatore sotto la pioggia e nella fanga! E non posso guidare in quelle condizioni, la perdita è troppo consistente: qui rischio di “mangiarmi” la salita al ghiacciaio.
Dalla zona in cui mi trovo c’è una strada boschiva, la Decauville, che, mantenendosi in quota, raggiunge la diga di Rochemolles, sulla strada per il rifugio Scarfiotti e il colle Sommeiller; potrei tentare di raggiungere la diga, poi o provare la riparazione o comunque salire al colle nonostante la perdita e quindi fare la discesa a motore spento; una volta a Bardonecchia avrei visto il da farsi, a seconda delle condizioni della moto.
Rantolando nel bosco arrivo alla Decauville, ma c’è una sbarra, un divieto e oltre una sterrata di aghi di pino e terra soffice che non vede tasselli da secoli; sarebbe una effrazione palese passare da lì, ma se poi mi abbasso di quota fino a Bardonecchia sono sicuro, con la moto malfunzionante, di riuscire a salire ancora?
Nel frattempo arrivano i primi 2 motociclisti della giornata, uno col CRE 2T, l’altro col DRZ400S: parlano francese, e mi chiedono se si può andare avanti; nel mentre arriva un Land Rover da cui scende un signore molto country che ci fissa con evidente fare minaccioso.
Al volo dedico cosa fare: torno indietro, dicendo ai francesi che non si passa, sfilo a fianco del ranger ed prendo una stradella sterrata in discesa con indicata Bardonecchia.
I Francesi poi non li vedrò più, non credo abbiano fatto la Decauville perché altrimenti poi li avrei incontrati al Sommeiller, probabilmente si sono girati e sono andati verso lo Jafferau.
La discesa verso Bardonecchia sarebbe molto bella, costeggiando piste da sci, immersi nel bosco, attraverso piccoli borghi, ma ho l’angoscia del motore. In fondovalle trovo un lungo rettilineo asfaltato dove tiro la 3° marcia al fuorigiri, sperando che il carburatore si risistemi, ma la moto continua a singhiozzare; però, congetturo, se tengo il gas abbastanza aperto da far si che il motore aspiri abbastanza benzina in modo che nella vaschetta il carburante non raggiunga il livello di troppo pieno e tracimi dai tubi di sfiato, allora posso continuare a guidare! Idea Geniale!
Unico contrappunto: devo tenere il gas aperto, alla faccia della francescana filosofia turistico-contemplativa che ho finora adottato nella guida!
SOMMEILLER
Supero a gran gas l’ingresso del traforo del Frejus, passando di slancio 2 XR 600 targate Germania, che a loro volta mi ripasseranno in sterrato durante una mia sosta controllo benzina.
La strada prende quota in un punto molto stretto della valle, poi diventa dal borgo di Rochemolles diventa un largo sterrato, sale ancora con una serie di tornanti, infine compare la diga.

Sterrato verso la diga “arato” dalle XR600 tedesche.

La diga di Rochemolles.
Passato il lago la valle è ancora stretta, ma in pochi minuti giungo al Plan du Fond, dove sorge il rifugio Scarfiotti.

Verso il rifugio Scarfiotti.

Rifugio Scarfiotti.

Plan du fond.
Il rifugio sorge al centro dell’ampia conca del Plan du Fond, coronato da imponenti pareti di roccia da cui cadono numerose cascate; nei pressi del rifugio 2 laghetti color smeraldo sono i resti delle cave che servirono alla edificazione della diga più a valle; di fronte al rifugio sorgono dei resti in cemento: sono ciò che resta di una ferrovia a scartamento ridotto, appunto la Decauville, che negli anni 20 portava i turisti dalla zona deI Bacini allo Scarfiotti; ecco perché la strada vietata si chiamava Decauville, era la ex-ferrovia.
Come per miracolo l’XR ricomincia funzionare a dovere: nonostante la fame pantagruelica che mi attanaglia lo stomaco, decido di raggiungere il ghiacciaio, finché la fata protettrice della carburazione è al mio fianco.
La strada supera le balze rocciose con una serie di regolari tornanti, sfiorando una stupenda cascata;

Cascata.
Dopo la cascata si entra in un vallone pianeggiante, il Pian dei Morti; il torrente scorre in una profonda gola, sugli ultimi prati le mucche pascolano indifferenti, attorno ghiaioni immensi e cime rocciose; un profondo crepaccio ha “spaccato” la strada per tutta la sua larghezza, niente di difficile in moto, ma qui auto non ne passano più, rifletto.

Pian dei Morti- il torrente.

Ghiaioni bianchi.

Ghiaioni neri.
In fondo al Pian dei Morti la strada si inerpica sul fianco glabro della montagna, fino ad un colletto; al di là la strada scende in un vallone smisurato, il Pian dei Frati.

Pian dei Frati.
Sono commosso dallo splendore del luogo, questa sterrata è solenne, grandiosa, maestosa; quando si è nel Pian dei Morti e nel Pian dei Frati non si vede più il rifugio Scarfiotti e le grange, solo ne scabre montagne e la pista di ghiaia bianca; con la fantasia pare veramente di esplorare qualche zona desolata del globo, che so, la Patagonia, la Siberia, la Mongolia; inoltre, come usuale in questa gitona, le vette sono immerse nelle nubi, per cui non so dentro la coltre nebbiosa ci sono altri 100, 500, 1000 metri di ascesa: favoloso!

Pian dei Frati.

Tornanti verso il Pian di Patarè.
In fondo al Pian dei Frati la sterrata si inerpica nel pendio con zig-zaganti tornanti; il fondo si fa più smosso ed instabile, non mancano piccoli smottamenti del pendio.
Qui inaspettatamente incrocio una autocolonna tedesca, non della Whermacht, ma di 4x4 fuoristrada (almeno una dozzina), messi giù da battaglia, ruote strette e tassellate, sospensioni alte, paracoppe, roll bar, taniche, ecc.; non pensavo che le auto fossero in grado di superare il crepaccio al Pian dei Morti, ma questi sono piloti avvezzi al fuoristrada, lo noto osservando la tecnica con cui superano le piccole frane sulla carreggiata: non è un percorso da SUV fighetto, ci si lascerebbe il sottocoppa.
Al mio passaggio i crucchi della prima auto si agitano e mi fanno segni non amichevoli: bohh??
Cautamente li supero.
Pensavo che questa serie di tornanti fosse l’ultima prima del Colle Sommeiller, ma con mia grande sorpresa mi ritrovo in un altro piccolo pianoro, il Pian di Patarè, dove a seconda dello scioglimento delle nevi si forma il piccolo omonimo lago; a fianco della strada corrono limpidi ruscelli, la vegetazione scompare del tutto, la nebbia dissolve le forme delle rocce, e le prime tracce di neve compaiono ai bordi della pista!
Mi ricordo, e provo le stesse sensazioni, descritte da Baypiss nel suo giro qui:
“…un posto che sembra uno scampolo di luna appoggiato in piemonte…é davvero mistica questa salita. il posto mi ricorda le prime scene del Pianeta delle Scimmie quando Charlton Eston (era lui??) scendeva i ghiaioni del new jersey post atomico, pensando di essere ai confini della galassia conosciuta...Sono al limite della commozione”

Pian di Patarè.

Paesaggio lunare.

Neve!
Sono gli ultimi tornanti, velati di un soffice strato di neve bagnata, e la strada termina al Colle Sommeiller, a 3.009 metri sul livello del mare; è la massima altezza che ho mai raggiunto in moto, ed anche in assoluto. Non sembra assolutamente di essere così alti: il colle è piccolo, circondato da cime che scompaiono nella nebbia, non c’è il senso di vertigine che si ha in alcuni punti dell’Assietta e dello Jafferau.
Sono in sintonia con quanto il buon Baypiss scrisse l’anno scorso:
”In cima speri si apra un ghiacciaio immenso a perdita d'occhio. come se
finissi in Groenlandia di colpo. Il ghiacciaio c'è, ma non è immenso e il
punto dove arrivi è abbastanza chiuso. non è che non sia bello, anzi...è
solo che era troppa la meraviglia della salita che ti aspetti l'eden di
ghiaccio in cima....”
Il ghiacciaio mi illudo di vederlo, ma le nubi sono molto basse e distinguo a malapena le collinette pietrose che fanno da quinta ad un minuscolo laghetto; la zona prospiciente il lago è una spianata di sassi e terra smossa, sembra pestata da una mandria di 1.000 bufali inferociti, molto singolare, sul momento spero che non sia il risultato delle sgasate di moto e auto.
La spiegazione la troverò nei giorni successivi su internet:
“La strada del Sommeiller venne realizzata dalla VARO (Società per l'incremento turistico del Vallone di Rochemolles) all'inizio degli anni '60 per raggiungere gli impianti per la pratica dello sci estivo sul ghiacciaio Sommeiller (furono gli unici nelle Alpi Cozie), da decenni abbandonati a seguito del ritiro del medesimo. La stessa società realizzò anche un rifugio con funzione di alberghetto. Il transito sulla strada era soggetto al pagamento di un pedaggio (un tot a persona).”
“Si arriva finalmente al Colle Sommeiller (ad essere pignoli si tratta di quello est), posto sul confine italo-francese, tra la Rognosa d'Etiache e la Punta Sommeiller. Qui troviamo anche un grazioso laghetto mentre e' stato completamente abbattuto il vecchio rifugio Ambin (nome col quale era indicato un tempo il colle) che rappresentava un ottimo riparo in caso di maltempo. La stradina prosegue in salita ancora per trecento metri arrivando ai bordi del ghiacciaio, dove sono ancora visibili i resti dei vecchi impianti di risalita.”
Quindi, a differenza delle altre strade della zona, questa non è militare ed anche molto più recente; probabilmente il riporto in terra copre i resti dell’ex rifugio; causa neve non distinguo quei 300 metri di stradina che arrivano al bordo del ghiacciaio, e comunque per rispetto preferisco rimanere dove sono.

Laghetto del Sommeiller.

Ghiacciaio?

Alves al Sommeiller, 3.009 m.s.l.d.m.
Resto lì qualche minuto, fino all’arrivo dei due tedeschi con cui ho giocato a rimpiattino durante la salita, un sorpasso io un sorpasso loro; sono in sella a degli splendidi esemplari di XR600, nel mio inglese maccheronico chiacchieriamo del Sommeiller, dell’XR, dei miei problemi di carburatore.
Li saluto, saluto il Sommeiller, e lentamente, scattando le foto, scendo fino al rifugio.
PUNTA COLOMION
Lo Scarfiotti è semideserto, sono le 15.30, ma per fortuna la cucina mi prepara ancora un piatto di polenta con le salsicce; da veneto polentone posso dirlo, questi Piemontesi la polenta non la sanno fare, tutta a grumi, ma li si perdona, almeno finché ci lasceranno andare a 3.000 metri in fuoristrada!
Sono le 16.00, fra me e casa ci sono oltre 400 km di autostrada, ma perché non osare fino in fondo, e provare il percorso della gara cronoscalata di Bardonecchia, che si corre sul percorso Campo Smith-Punta Colomion?
Ed allora giù veloce a Bardonecchia!
Campo Smith è una località alla periferia del paese, dove ci sono impianti sportivi e gli arrivi delle piste da sci; la zona è un casino, strade chiuse, lavori in corso, marea di ragazzini per qualche festa dello sport, poliziotti ovunque; impossibile trovare l’attacco della salita.
Allora provo da un’altra parte; esco da Bardonecchia in direzione Oulx, dopo un paio di km a destra parte una sterrata che sale al forte Bramafam, l’ennesima fortezza della valle, su di un poggio roccioso a guardia di Bardonecchia.
Divertente sterrata nel bosco, in cui incrocio perfino un taxi: mai successo prima, un taxi nel bosco!
Il forte occupa la sommità del dosso, ma gli ultimi 200 metri non sono accessibili ai mezzi motorizzati, perciò rinuncio alla possibilità di ammirarlo da vicino.
Poco oltre si giunge ad un quadrivio di mulattiere: ci sono molte indicazioni di percorsi naturalistici, divieti non ce ne sono, e la direzione giusta per Colomion è a salire.
La pista corre sempre immersa nel bosco, panorama zero, ogni tanto si sfiorano le piste da sci, probabilmente è un strada a servizio di queste; i tornanti si susseguono incessanti, ma la differenza rispetto a tutti gli altri percorsi la fa il fondo: terra, terra vera, soffice, bagnata, imbevuta d’acqua, un fiume marrone di fango colloso nel verde del bosco.
Proprio gli ultimi chilometri di questa 2 giorni mi riservano il pezzo più tecnico ed enduristico: questa fangaia è dilaniata da infinite, profonde carregge e solchi di moto, quad e forse 4x4; nelle curve sbandiero il posteriore a destra e a manca, nei rettilinei, con la gomma posteriore ormai slick, quasi mi manca la trazione per salire. L’ultima fatica piemontese, tanto che ad un certo punto mi domando quando finirà, perché questa salita è lunga, lunga, lunga.
Rifletto anche sul passaggio delle moto: è divertente, ma questo sfregio marrone nel bosco esteticamente è molto brutto, chi ci odia qui ha pane per i suoi denti.

Verso Punta Colomion, la fangazza.
La salita termina a quota 2.054, nei pressi della stazione di arrivo delle seggiovie; al bivio successivo, a sinistra si scende sull’altro versante della montagna verso Puys, Beaulard e Oulx, a destra si sale ancora, fino a raggiungere il passo Mulattiera dove, ai piedi di vette alpinistiche, sorge una incredibile caserma costruita a picco sui ghiaioni:

Caserma di passo Mulattiera, 2.412 m.s.l.d.m. (foto Baypiss).
U n endurista non può non andare ad un passo che si chiama Mulattiera!
Voglio vedere quest’ultimo, incredibile luogo, e senza indugio vado a destra, consapevole di non essere tanto nel giusto; il cartello di divieto non c’è, ma un solitario palo in ferro all’inizio del tratto mi fa dubitare se per caso il segnale non sia stato asportato…
Ma la salita durerà poco: dopo un chilometro, nei pressi di un impluvio, la mulattiera è franata; sulla frana c’è la traccia per passare, ma è stretta, sconnessa, fangosa; con altre persone, in altri momenti non ci penserei due volte a forzare il passaggio, ma ora, da solo, senza gomma, con l’enorme serbatoio da 22L, alle 17.00 di pomeriggio, desisto.

Mulattiera verso Passo Mulattiera.

La frana sulla mulattiera verso Passo Mulattiera.
Al bivio scendo verso il borgo di Puys: discesa bellissima, ultima chicca di questa valle delle meraviglie; se nel versante opposto della montagna era il fango, qui il fondo selciato, duro, fisso, mi accompagna per chilometri fino al paesetto, fra tornanti, allunghi, semicurve, vedute del fondovalle e delle cime avvolte dalle nuvole.

Discesa verso Puys e Beaulard.

Discesa verso Puys e Beaulard.

L’XR dopo 2 giorni in valle di Susa.
CONSIDERAZIONI FINALI
La discesa su Beaulard chiude in bellezza la mia 2 giorni piemontese; alle 18.00 sono al Bates Motel, senza pausa mi dedico a tutte le operazioni di carico e alle 19.15 sono in autostrada verso Torino.
A mezzanotte e mezza, dopo innumerevoli pedaggi pagati, infiniti cantieri sulla TO-MI, una coda in tangenziale a MI, un rallentamento per incidente a Peschiera, in tutto 5 ore di guida, sono a casa.
Il bilancio è assolutamente positivo.
Partivo accompagnato da previsioni meteo catastrofiche, ho preso si acqua e freddo, ma sono fortunosamente incappato in schiarite e pause nelle precipitazioni che mi hanno permesso di girare tutto il giorno. Non ho goduto, causa nebbia, dei panorami da alta quota, ma questa è una buona scusa per ritornare! E poi mi piace guidare nei giorni di cattivo tempo, quando nessuno è in giro e le strade sono solo per pochi temerari.
Le sterrate della Val di Susa sono fantastiche, non avevo mai trovato percorsi così affascinanti, lunghi, ad alta quota, e soprattutto percorribili liberamente; anche nel Nord-Est, per esempio negli altipiani veneto-trentini, si possono fare decine di km di sterrate, ma solo incollando pezzo su pezzo tutti i frammenti di sterrato scampati alla bitumazione; poi in quota si va quasi sempre a rischio e pericolo di multa, e le sterrate di media montagna o collina non hanno certo il fascino di 6 passi per 33 km a 2.400 metri!
Sono riuscito a fare tutto quanto avevo in programma (il Moncenisio e Collombardo erano in forse già all’inizio, troppo distanti dalle altre zone). Però mi manca ancora la Via del Sale, il Gardetta, il Sampeyre, ecc...
Fine della storia.
E INVECE NO!
Continua ancora …
Ciao
Alves
Sono le 13.00 circa quando arrivo in zona Bacini; le strade sono sterrate fangose, inizia a piovere ma soprattutto l’XR comincia ad avere gli stessi disturbi del giorno prima in Francia: motore che va a strappi, tentativi di spegnimento, ingolfamento; mi fermo e dalla solita cannetta esce un fiotto di benzina! Provo lo stesso rimedio, percuotere la vaschetta del carburatore, ma senza esito, e non mi sembra il caso di mettermi a smontare il carburatore sotto la pioggia e nella fanga! E non posso guidare in quelle condizioni, la perdita è troppo consistente: qui rischio di “mangiarmi” la salita al ghiacciaio.
Dalla zona in cui mi trovo c’è una strada boschiva, la Decauville, che, mantenendosi in quota, raggiunge la diga di Rochemolles, sulla strada per il rifugio Scarfiotti e il colle Sommeiller; potrei tentare di raggiungere la diga, poi o provare la riparazione o comunque salire al colle nonostante la perdita e quindi fare la discesa a motore spento; una volta a Bardonecchia avrei visto il da farsi, a seconda delle condizioni della moto.
Rantolando nel bosco arrivo alla Decauville, ma c’è una sbarra, un divieto e oltre una sterrata di aghi di pino e terra soffice che non vede tasselli da secoli; sarebbe una effrazione palese passare da lì, ma se poi mi abbasso di quota fino a Bardonecchia sono sicuro, con la moto malfunzionante, di riuscire a salire ancora?
Nel frattempo arrivano i primi 2 motociclisti della giornata, uno col CRE 2T, l’altro col DRZ400S: parlano francese, e mi chiedono se si può andare avanti; nel mentre arriva un Land Rover da cui scende un signore molto country che ci fissa con evidente fare minaccioso.
Al volo dedico cosa fare: torno indietro, dicendo ai francesi che non si passa, sfilo a fianco del ranger ed prendo una stradella sterrata in discesa con indicata Bardonecchia.
I Francesi poi non li vedrò più, non credo abbiano fatto la Decauville perché altrimenti poi li avrei incontrati al Sommeiller, probabilmente si sono girati e sono andati verso lo Jafferau.
La discesa verso Bardonecchia sarebbe molto bella, costeggiando piste da sci, immersi nel bosco, attraverso piccoli borghi, ma ho l’angoscia del motore. In fondovalle trovo un lungo rettilineo asfaltato dove tiro la 3° marcia al fuorigiri, sperando che il carburatore si risistemi, ma la moto continua a singhiozzare; però, congetturo, se tengo il gas abbastanza aperto da far si che il motore aspiri abbastanza benzina in modo che nella vaschetta il carburante non raggiunga il livello di troppo pieno e tracimi dai tubi di sfiato, allora posso continuare a guidare! Idea Geniale!
Unico contrappunto: devo tenere il gas aperto, alla faccia della francescana filosofia turistico-contemplativa che ho finora adottato nella guida!
SOMMEILLER
Supero a gran gas l’ingresso del traforo del Frejus, passando di slancio 2 XR 600 targate Germania, che a loro volta mi ripasseranno in sterrato durante una mia sosta controllo benzina.
La strada prende quota in un punto molto stretto della valle, poi diventa dal borgo di Rochemolles diventa un largo sterrato, sale ancora con una serie di tornanti, infine compare la diga.
Sterrato verso la diga “arato” dalle XR600 tedesche.
La diga di Rochemolles.
Passato il lago la valle è ancora stretta, ma in pochi minuti giungo al Plan du Fond, dove sorge il rifugio Scarfiotti.
Verso il rifugio Scarfiotti.
Rifugio Scarfiotti.
Plan du fond.
Il rifugio sorge al centro dell’ampia conca del Plan du Fond, coronato da imponenti pareti di roccia da cui cadono numerose cascate; nei pressi del rifugio 2 laghetti color smeraldo sono i resti delle cave che servirono alla edificazione della diga più a valle; di fronte al rifugio sorgono dei resti in cemento: sono ciò che resta di una ferrovia a scartamento ridotto, appunto la Decauville, che negli anni 20 portava i turisti dalla zona deI Bacini allo Scarfiotti; ecco perché la strada vietata si chiamava Decauville, era la ex-ferrovia.
Come per miracolo l’XR ricomincia funzionare a dovere: nonostante la fame pantagruelica che mi attanaglia lo stomaco, decido di raggiungere il ghiacciaio, finché la fata protettrice della carburazione è al mio fianco.
La strada supera le balze rocciose con una serie di regolari tornanti, sfiorando una stupenda cascata;
Cascata.
Dopo la cascata si entra in un vallone pianeggiante, il Pian dei Morti; il torrente scorre in una profonda gola, sugli ultimi prati le mucche pascolano indifferenti, attorno ghiaioni immensi e cime rocciose; un profondo crepaccio ha “spaccato” la strada per tutta la sua larghezza, niente di difficile in moto, ma qui auto non ne passano più, rifletto.
Pian dei Morti- il torrente.
Ghiaioni bianchi.
Ghiaioni neri.
In fondo al Pian dei Morti la strada si inerpica sul fianco glabro della montagna, fino ad un colletto; al di là la strada scende in un vallone smisurato, il Pian dei Frati.
Pian dei Frati.
Sono commosso dallo splendore del luogo, questa sterrata è solenne, grandiosa, maestosa; quando si è nel Pian dei Morti e nel Pian dei Frati non si vede più il rifugio Scarfiotti e le grange, solo ne scabre montagne e la pista di ghiaia bianca; con la fantasia pare veramente di esplorare qualche zona desolata del globo, che so, la Patagonia, la Siberia, la Mongolia; inoltre, come usuale in questa gitona, le vette sono immerse nelle nubi, per cui non so dentro la coltre nebbiosa ci sono altri 100, 500, 1000 metri di ascesa: favoloso!
Pian dei Frati.
Tornanti verso il Pian di Patarè.
In fondo al Pian dei Frati la sterrata si inerpica nel pendio con zig-zaganti tornanti; il fondo si fa più smosso ed instabile, non mancano piccoli smottamenti del pendio.
Qui inaspettatamente incrocio una autocolonna tedesca, non della Whermacht, ma di 4x4 fuoristrada (almeno una dozzina), messi giù da battaglia, ruote strette e tassellate, sospensioni alte, paracoppe, roll bar, taniche, ecc.; non pensavo che le auto fossero in grado di superare il crepaccio al Pian dei Morti, ma questi sono piloti avvezzi al fuoristrada, lo noto osservando la tecnica con cui superano le piccole frane sulla carreggiata: non è un percorso da SUV fighetto, ci si lascerebbe il sottocoppa.
Al mio passaggio i crucchi della prima auto si agitano e mi fanno segni non amichevoli: bohh??
Cautamente li supero.
Pensavo che questa serie di tornanti fosse l’ultima prima del Colle Sommeiller, ma con mia grande sorpresa mi ritrovo in un altro piccolo pianoro, il Pian di Patarè, dove a seconda dello scioglimento delle nevi si forma il piccolo omonimo lago; a fianco della strada corrono limpidi ruscelli, la vegetazione scompare del tutto, la nebbia dissolve le forme delle rocce, e le prime tracce di neve compaiono ai bordi della pista!
Mi ricordo, e provo le stesse sensazioni, descritte da Baypiss nel suo giro qui:
“…un posto che sembra uno scampolo di luna appoggiato in piemonte…é davvero mistica questa salita. il posto mi ricorda le prime scene del Pianeta delle Scimmie quando Charlton Eston (era lui??) scendeva i ghiaioni del new jersey post atomico, pensando di essere ai confini della galassia conosciuta...Sono al limite della commozione”
Pian di Patarè.
Paesaggio lunare.
Neve!
Sono gli ultimi tornanti, velati di un soffice strato di neve bagnata, e la strada termina al Colle Sommeiller, a 3.009 metri sul livello del mare; è la massima altezza che ho mai raggiunto in moto, ed anche in assoluto. Non sembra assolutamente di essere così alti: il colle è piccolo, circondato da cime che scompaiono nella nebbia, non c’è il senso di vertigine che si ha in alcuni punti dell’Assietta e dello Jafferau.
Sono in sintonia con quanto il buon Baypiss scrisse l’anno scorso:
”In cima speri si apra un ghiacciaio immenso a perdita d'occhio. come se
finissi in Groenlandia di colpo. Il ghiacciaio c'è, ma non è immenso e il
punto dove arrivi è abbastanza chiuso. non è che non sia bello, anzi...è
solo che era troppa la meraviglia della salita che ti aspetti l'eden di
ghiaccio in cima....”
Il ghiacciaio mi illudo di vederlo, ma le nubi sono molto basse e distinguo a malapena le collinette pietrose che fanno da quinta ad un minuscolo laghetto; la zona prospiciente il lago è una spianata di sassi e terra smossa, sembra pestata da una mandria di 1.000 bufali inferociti, molto singolare, sul momento spero che non sia il risultato delle sgasate di moto e auto.
La spiegazione la troverò nei giorni successivi su internet:
“La strada del Sommeiller venne realizzata dalla VARO (Società per l'incremento turistico del Vallone di Rochemolles) all'inizio degli anni '60 per raggiungere gli impianti per la pratica dello sci estivo sul ghiacciaio Sommeiller (furono gli unici nelle Alpi Cozie), da decenni abbandonati a seguito del ritiro del medesimo. La stessa società realizzò anche un rifugio con funzione di alberghetto. Il transito sulla strada era soggetto al pagamento di un pedaggio (un tot a persona).”
“Si arriva finalmente al Colle Sommeiller (ad essere pignoli si tratta di quello est), posto sul confine italo-francese, tra la Rognosa d'Etiache e la Punta Sommeiller. Qui troviamo anche un grazioso laghetto mentre e' stato completamente abbattuto il vecchio rifugio Ambin (nome col quale era indicato un tempo il colle) che rappresentava un ottimo riparo in caso di maltempo. La stradina prosegue in salita ancora per trecento metri arrivando ai bordi del ghiacciaio, dove sono ancora visibili i resti dei vecchi impianti di risalita.”
Quindi, a differenza delle altre strade della zona, questa non è militare ed anche molto più recente; probabilmente il riporto in terra copre i resti dell’ex rifugio; causa neve non distinguo quei 300 metri di stradina che arrivano al bordo del ghiacciaio, e comunque per rispetto preferisco rimanere dove sono.
Laghetto del Sommeiller.
Ghiacciaio?
Alves al Sommeiller, 3.009 m.s.l.d.m.
Resto lì qualche minuto, fino all’arrivo dei due tedeschi con cui ho giocato a rimpiattino durante la salita, un sorpasso io un sorpasso loro; sono in sella a degli splendidi esemplari di XR600, nel mio inglese maccheronico chiacchieriamo del Sommeiller, dell’XR, dei miei problemi di carburatore.
Li saluto, saluto il Sommeiller, e lentamente, scattando le foto, scendo fino al rifugio.
PUNTA COLOMION
Lo Scarfiotti è semideserto, sono le 15.30, ma per fortuna la cucina mi prepara ancora un piatto di polenta con le salsicce; da veneto polentone posso dirlo, questi Piemontesi la polenta non la sanno fare, tutta a grumi, ma li si perdona, almeno finché ci lasceranno andare a 3.000 metri in fuoristrada!
Sono le 16.00, fra me e casa ci sono oltre 400 km di autostrada, ma perché non osare fino in fondo, e provare il percorso della gara cronoscalata di Bardonecchia, che si corre sul percorso Campo Smith-Punta Colomion?
Ed allora giù veloce a Bardonecchia!
Campo Smith è una località alla periferia del paese, dove ci sono impianti sportivi e gli arrivi delle piste da sci; la zona è un casino, strade chiuse, lavori in corso, marea di ragazzini per qualche festa dello sport, poliziotti ovunque; impossibile trovare l’attacco della salita.
Allora provo da un’altra parte; esco da Bardonecchia in direzione Oulx, dopo un paio di km a destra parte una sterrata che sale al forte Bramafam, l’ennesima fortezza della valle, su di un poggio roccioso a guardia di Bardonecchia.
Divertente sterrata nel bosco, in cui incrocio perfino un taxi: mai successo prima, un taxi nel bosco!
Il forte occupa la sommità del dosso, ma gli ultimi 200 metri non sono accessibili ai mezzi motorizzati, perciò rinuncio alla possibilità di ammirarlo da vicino.
Poco oltre si giunge ad un quadrivio di mulattiere: ci sono molte indicazioni di percorsi naturalistici, divieti non ce ne sono, e la direzione giusta per Colomion è a salire.
La pista corre sempre immersa nel bosco, panorama zero, ogni tanto si sfiorano le piste da sci, probabilmente è un strada a servizio di queste; i tornanti si susseguono incessanti, ma la differenza rispetto a tutti gli altri percorsi la fa il fondo: terra, terra vera, soffice, bagnata, imbevuta d’acqua, un fiume marrone di fango colloso nel verde del bosco.
Proprio gli ultimi chilometri di questa 2 giorni mi riservano il pezzo più tecnico ed enduristico: questa fangaia è dilaniata da infinite, profonde carregge e solchi di moto, quad e forse 4x4; nelle curve sbandiero il posteriore a destra e a manca, nei rettilinei, con la gomma posteriore ormai slick, quasi mi manca la trazione per salire. L’ultima fatica piemontese, tanto che ad un certo punto mi domando quando finirà, perché questa salita è lunga, lunga, lunga.
Rifletto anche sul passaggio delle moto: è divertente, ma questo sfregio marrone nel bosco esteticamente è molto brutto, chi ci odia qui ha pane per i suoi denti.
Verso Punta Colomion, la fangazza.
La salita termina a quota 2.054, nei pressi della stazione di arrivo delle seggiovie; al bivio successivo, a sinistra si scende sull’altro versante della montagna verso Puys, Beaulard e Oulx, a destra si sale ancora, fino a raggiungere il passo Mulattiera dove, ai piedi di vette alpinistiche, sorge una incredibile caserma costruita a picco sui ghiaioni:

Caserma di passo Mulattiera, 2.412 m.s.l.d.m. (foto Baypiss).
U n endurista non può non andare ad un passo che si chiama Mulattiera!
Voglio vedere quest’ultimo, incredibile luogo, e senza indugio vado a destra, consapevole di non essere tanto nel giusto; il cartello di divieto non c’è, ma un solitario palo in ferro all’inizio del tratto mi fa dubitare se per caso il segnale non sia stato asportato…
Ma la salita durerà poco: dopo un chilometro, nei pressi di un impluvio, la mulattiera è franata; sulla frana c’è la traccia per passare, ma è stretta, sconnessa, fangosa; con altre persone, in altri momenti non ci penserei due volte a forzare il passaggio, ma ora, da solo, senza gomma, con l’enorme serbatoio da 22L, alle 17.00 di pomeriggio, desisto.
Mulattiera verso Passo Mulattiera.
La frana sulla mulattiera verso Passo Mulattiera.
Al bivio scendo verso il borgo di Puys: discesa bellissima, ultima chicca di questa valle delle meraviglie; se nel versante opposto della montagna era il fango, qui il fondo selciato, duro, fisso, mi accompagna per chilometri fino al paesetto, fra tornanti, allunghi, semicurve, vedute del fondovalle e delle cime avvolte dalle nuvole.
Discesa verso Puys e Beaulard.
Discesa verso Puys e Beaulard.
L’XR dopo 2 giorni in valle di Susa.
CONSIDERAZIONI FINALI
La discesa su Beaulard chiude in bellezza la mia 2 giorni piemontese; alle 18.00 sono al Bates Motel, senza pausa mi dedico a tutte le operazioni di carico e alle 19.15 sono in autostrada verso Torino.
A mezzanotte e mezza, dopo innumerevoli pedaggi pagati, infiniti cantieri sulla TO-MI, una coda in tangenziale a MI, un rallentamento per incidente a Peschiera, in tutto 5 ore di guida, sono a casa.
Il bilancio è assolutamente positivo.
Partivo accompagnato da previsioni meteo catastrofiche, ho preso si acqua e freddo, ma sono fortunosamente incappato in schiarite e pause nelle precipitazioni che mi hanno permesso di girare tutto il giorno. Non ho goduto, causa nebbia, dei panorami da alta quota, ma questa è una buona scusa per ritornare! E poi mi piace guidare nei giorni di cattivo tempo, quando nessuno è in giro e le strade sono solo per pochi temerari.
Le sterrate della Val di Susa sono fantastiche, non avevo mai trovato percorsi così affascinanti, lunghi, ad alta quota, e soprattutto percorribili liberamente; anche nel Nord-Est, per esempio negli altipiani veneto-trentini, si possono fare decine di km di sterrate, ma solo incollando pezzo su pezzo tutti i frammenti di sterrato scampati alla bitumazione; poi in quota si va quasi sempre a rischio e pericolo di multa, e le sterrate di media montagna o collina non hanno certo il fascino di 6 passi per 33 km a 2.400 metri!
Sono riuscito a fare tutto quanto avevo in programma (il Moncenisio e Collombardo erano in forse già all’inizio, troppo distanti dalle altre zone). Però mi manca ancora la Via del Sale, il Gardetta, il Sampeyre, ecc...
Fine della storia.
E INVECE NO!
Continua ancora …
Ciao
Alves