GORILLA NELLA NEBBIA
Inviato: mer 31 ott, 2007 2:24 pm
GORILLA NELLA NEBBIA…E NELLA PIOGGIA
“... gorilla nella nebbia......... bagnati !”
Geniale intuizione di Fritz per descrivere il giro di sabato.
LA LEGGE DI MURPHY
La legge di Murphy dice “Se qualcosa può andare storto lo farà.”
Avevo scelto l’ultimo W-E di ottobre per il ritorno in sella alla mia amata XR400.
“Ritorno in sella”…una volta, quando ero un solitario cow-boy che vagava libero per gli sterrati di Europa ed Africa, dalla sella non scendevo mai. Avevo una sola moto e la usavo sabato, domenica, infrasettimanali.
Ora ho 4 moto, ma anche 3 figli, una moglie…le solite storie, bisogna fare a patti con la responsabilità. Dapprima proponevo una uscita il sabato mattina, poi la spostavo al pomeriggio, indi la spostavo alla domenica mattina, sempre per esigenze familiari; ma c’era un nuovo problema: la zia ci aveva invitato a pranzo per festeggiare i suoi primi 70 anni, dovevo rientrare tassativamente per le 11.30, per essere dalla cara zietta a mezzogiorno, lavato, stirato, ingiaccato e incravattato!
In tutto questo bailamme di appuntamenti e contro appuntamenti, perdevo la partecipazione di Juha, che preferiva il sabato, e nessun altro amico si aggregava, eccetto Fritz, esitante per il mattiniero appuntamento e il tempo.
Infatti, il sabato il sole splendeva caldo e forte nel cielo limpido, lunedì il sole splendeva caldo e forte nel cielo limpido, ma domenica c’era freddo, nebbia, pioggia!
I 3 GORRILLONI
Alle 6.20 ero in piedi, come tutti i dì, assonnato certo, ma felice si salire in moto per andare verso i monti, e non verso l’ufficio!
Con calma facevo colazione, mi vestivo, controllavo l’attrezzatura; portavo la moto il corte, azionavo la pedivella per mettere in compressione il motore, un potente calcio e dopo 4 mesi di fermo il monocilindrico Honda si accendeva al primo colpo: diavolo di una XR!
Avevo ancora l’amaro in bocca dell’ultima vera uscita “regolaristica”, a giugno: avevo graditi ospiti Navaho e Burba, ma nei primi 500 metri io avevo tirato un ciocco pauroso, mentre l’HM di Burba era andata al K.O. tecnico, e i vicentini ci avevano lasciato. Poi, il giorno dopo, andando al lavoro con il 400 mi ero scontrato con un’auto, nessun ferito, nessun danno alla moto pochi danni all’auto, grande seccatura di sistemare la faccenda!
Dovevo scacciare i fantasmi di quella settimana, ma che bello essere di nuovo sull’XR!
Stranissima, dopo mesi sul 750; leggerissima, ballerina, instabile suoi pochi cmq di gomma che appoggia sull’asfalto bagnato; fianchi snelli, nessun ingombro fra le gambe, ci si siede sul manubrio, manubrio che è sotto il naso, non lontano anni luce come sull’Elefant.
E quel motore, l’archetipo del fuoristrada: no radiatori, romantiche old style alette di raffreddamento; un basamento solido e possente, garanzia di durata; no iniezione, no pompe benzina, ma un vecchio carburatore per niente sofisticato, sena power-jet, senza pompe di ripresa, senza altre diavolerie.
Perso in questi pensieri felici arrivavo alla stazione dei treni, dove Fritz arrivava con l’Intercity delle 7.30 Castelnovo-Schio:

Si, perché Fritz prende il treno per venire a Schio!
In realtà volevo immortalare l’assoluto silenzio e vuoto dell’alba di una domenica mattina.
Mi concedevo un caffè al bar della stazione, noto ritrovo di tutti gli extra-comunitari della città; sul banco un cesto pieno di uova sode, nella stesso posto, nella stessa disposizione, nella stessa quantità di un paio di mesi prima, l’ultima volta che ero entrato lì: bombe chimiche di salmonellosi…non osavo tanto!
Nel frattempo arrivava Diego, e poco dopo il Fritz: si partiva!
VALLEOGRA
Attraversata la città, attaccavamo le prime colline, ed era subito enduro: erba fradicia, sassi viscidi, fanghetto, garanzia di vecchia cara “regolarità” con tutti i sacri crismi.
Sono i miei sentieri, quelli giusto sopra il mio quartiere, che ancor prima che con la moto li facevo in bici, a piedi…nessuno mai mi impedirà di percorrerli!

10 minuti di off e siamo già fermi a tirare il fiato dopo aver spinto su un sasso.
Saliamo nel bosco, rosso, giallo, arancio, le foglie morte cadono attorno a noi: poesia pura, non so se vado veloce, ma mi sento in forma, dopo gli incerti istanti iniziali ritrovo tutta la confidenza con la mia XR, cavalco con leggerezza il precario equilibrio della moto sul fondo pesante, sono felice: sto così bene nel bosco, con la moto (ma anche senza moto per la verità), il profumo del sottobosco, i colori, l’aria satura di umidità, le foglie, i ricci delle castagne, il pulsare del motore, vivo con i suoi rumori di aspirazione, di scarico, lo sferragliare della catena, il ticchettare di valvole, bilancieri…altro che questa scrivania sotto una fredda luce a neon da cui sto scrivendo.
Siamo tutti e 3 tonici, a volte Fritz si attarda leggermente, a volte sono io a bloccarmi e a fermare Diego e Fritz; Diego non si alza dalla sella, guida seduto per paura di forzare il legamento, da poco ha ripreso ad uscire in moto, ma mi pare che la manetta sia sempre la stessa!
Verso gli 800 m.s.l.m. la nebbia si infittisce, la visibilità si riduce a pochi metri; scolliniamo in Valdastico, perdiamo quota, e la situazione migliora.
VALDASTICO
La situazione migliora?
Vedete voi, Il sentiero da fare è questo:

Una monotraccia larga, o per meglio dire stretta, dai 20 ai 50 cm, con il burrone a lato, frequenti smottamenti e sassi ad invadere la carreggiata.

Diego non pare preoccupato.
Il punto peggiore sono le Forche Caudine: alcuni macigni sono franati sul sentiero, lasciando 20 cm di spazio alla ruota per passare; purtroppo tali massi hanno uno spigolo sporgente, per cui per passare occorre inclinare la moto verso il burrone, ma non la si può accompagnare a lato, appunto perché da un lato c’è il burrone, dall’altro la roccia: la tecnica è, in 2, passarsi la moto.

Le Forche Caudine.

Oltre lo spigolo, Diego prende in consegna l’XR di Fritz.

Autunno nel bosco, meraviglioso!

Il nostro giro lambisce soij e dirupi, notare la pendenza del terreno.

Inizia la discesa.
Una piacevole sterrata all’ombra dei faggi accoglieva le nostre stanche membra, correvamo felici sempre più addentro alla valle sempre più addentro…la sterrata diventava carrareccia, la carrareccia diventava sentiero, il sentiero scendeva, scendeva…scompariva! Una frana con tronco lo aveva troncato!
Che fare?
Intrepidi enduristi passati prima di noi avevano già tracciato la via: una discesa a 45° nel pendio, fino al traverso sottostante del sentiero, un solco nero fra le foglie morte e la terra, una discesa al limite del ribaltamento. La iniziavo in posizione troppo avanzata, presto intuivo il posteriore tendere a sollevarsi dal suolo, ma ero troppo caricato su manubrio e pedane per riuscire a indietreggiare sulla sella; in questa situazione precaria riuscivo ugualmente a tenere la moto e toccare la salvezza, il piano. Stessa esperienza strong per i miei colleghi, tutti rossi e sudati al termine della prova.

Diego 1, la foto no rende la pendenza.

Diego 2.

Fritz 1.

Fritz 2.

Urca, il sentiero va a sbattere contro un canale d’acqua, assolutamente insuperabile! Come fare?

Fritz ci fa vedere come…

Superhank…emozioni assicurate!
TONEZZA
OK, fino adesso abbiamo scherzato, ci siamo scaldati con robe facili; adesso arriva il bello (o brutto, vedete voi!):

Noi siamo nello stesso punto in cui anni fa scattai questa foto, in fondovalle; dobbiamo arrivare la in cima, ovviamente in off…e che off!
Questa mulattiera parte da quota 400, ed arriva 700 metri più in alto. Letteralmente scavata nelle pareti di roccia calcarea, si divide in 2 parti: la prima si sviluppa sul versante sud del monte, assolato e secco; regolari traversi si allungano sulla costa del monte, uniti da un tempo ampi tornanti. Ora la mulattiera è ridotta ad uno stretto sentiero, intensamente eroso dalle piogge, che hanno creato canali e buche profonde anche un metro; si suda sette camice se si finisce dentro queste trincee con la 2 ruote, l’ideale è percorrere il ciglio, in equilibrio fra pendio e buca; Per fortuna il terreno solitamente asciutto aiuta molto ed è impossibile non salire.
Poi si arriva ad un corridoio roccioso tagliato nella pietra dell’ultimo crinale: postazione militare in galleria e lapide sono segni inequivocabili della origine militare del luogo. Varcata la Bocca si passa nel versante in ombra: si guida all’ombra dei faggi, la mulattiera è mediamente più larga, ma più viscida e spesso interrotta da tronchi a terra e piccoli smottamenti; stupendo il panorama nella parte alta.
Raggiunta la mula, iniziavano le danze: il fondo era un tappeto di sassi, ovviamente viscidi, dalle dimensioni variabili dal pompelmo al melone, più ogni tanto qualche extra large modello anguria: una goduria! Se tenevo il peso arretrato per avere trazione, la forcella scartava su ogni sasso; se caricavo l’anteriore, la ruota motrice ballava il twist.
E tutto ciò per tornanti su tornanti, rettilinei su rettilinei; tutti e 3 siamo partiti belli carichi, ma come giustamente sottolineato da Fritz, finché hai fiato la moto la guidi tu, poi subentra la fase in cui è la moto che ti porta su, e allora si rischia.

Ecco gli amici all’intermedio: Diego…

Fritz

Arrivati? Naaaah: non eravamo nemmeno a metà salita!
La restante parte della salita era meno distruggi braccia (e gambe), il fondo, pur rimando difficile da gestire, consentiva una guida più tranquilla.
L’unico punto ostico è uno stretto tornante su lastre di roccia, e dal traverso immediatamente precedente e successivo, entrambi molto sconnessi e con piccoli smottamenti, che però superavamo egregiamente.

Purtroppo la nebbia e l’umidità mandavano nel pallone l’autofocus delle fotocamera.
GRAN FINALE
Un mio errore in tornante mi faceva spegnere il motore e cadere la moto a terra, lasciavo proseguire i compagni, ma quando arrivavo al piazzale in cima alla montagna non li vedevo più!
In realtà erano a pochi metri, ma la nebbia era tale da precludere la vista anche agli oggetti vicini.
Si proseguiva per una tratta esaltante, uno stretto toboga appena appena accennato fra le foglie marce e gli aghi di pino, nel bosco di abeti e faggi: gobbe, doline, discese, salire, contropendenze, pietre e fango, radici e masiere, un incessante variare del percorso sotto alle ruote, troppo bello per fermarsi a fotografare (impedimento nebbia a parte).
La corsa terminava nei pressi di un delizioso laghetto, dove sostavamo a lungo, chiacchierando di moto, amici, situazioni, percorsi; si stava bene, non sentivo il freddo e l’umido, avrei voluto star li ancora, ma la zia mi chiamava, dovevamo ripartire!

Tre Gorilla nella nebbia.
La smettevamo di farci i complimenti (cit. Mr. Wolf, “Pulp Fiction”), e ci dirigevamo verso l’attacco della mulattiera del Cimitero, una traccia che scende fra le pareti selvagge della Valdastico, in un boale dove si avvita su se stesso in molteplici tornanti, talmente stretti da fare accompagnando al moto a mano, per poi finire in un vallone da guadare, ingombro di massi ciclopici trascinati a valle dalle alluvioni…una sciccheria!
Purtroppo alla nebbia si aggiungeva una fastidiosa e gelida pioggia, la visibilità in sella, con l’acqua che correva sugli occhiali, era di pochi metri, e non riuscivo ad individuare con certezza il sentiero.
Piuttosto che precipitare in qualche burrone lasciavo perdere, e optavamo per il ritorno sulla classica rotabile del Rio Freddo, scendendo le pendici del Toraro.
In fondovalle ancora un po’ di facile off lungo l’Astico fino a Piovene, dove Diego e Fritz si fermavano a far benzina, mentre io correvo al pranzo di compleanno.
Non so se i 2 poi hanno fatto ancora off o sono andati diretti a casa…per me comunque 4 ore di vero enduro, impegnativo, su fondi difficili, su mulattiere prestigiose come solo la Valdastico sa offrire!
Come prima uscita autunno-inverno non mi posso lamentare.
Ciao
Alves
“... gorilla nella nebbia......... bagnati !”
Geniale intuizione di Fritz per descrivere il giro di sabato.
LA LEGGE DI MURPHY
La legge di Murphy dice “Se qualcosa può andare storto lo farà.”
Avevo scelto l’ultimo W-E di ottobre per il ritorno in sella alla mia amata XR400.
“Ritorno in sella”…una volta, quando ero un solitario cow-boy che vagava libero per gli sterrati di Europa ed Africa, dalla sella non scendevo mai. Avevo una sola moto e la usavo sabato, domenica, infrasettimanali.
Ora ho 4 moto, ma anche 3 figli, una moglie…le solite storie, bisogna fare a patti con la responsabilità. Dapprima proponevo una uscita il sabato mattina, poi la spostavo al pomeriggio, indi la spostavo alla domenica mattina, sempre per esigenze familiari; ma c’era un nuovo problema: la zia ci aveva invitato a pranzo per festeggiare i suoi primi 70 anni, dovevo rientrare tassativamente per le 11.30, per essere dalla cara zietta a mezzogiorno, lavato, stirato, ingiaccato e incravattato!
In tutto questo bailamme di appuntamenti e contro appuntamenti, perdevo la partecipazione di Juha, che preferiva il sabato, e nessun altro amico si aggregava, eccetto Fritz, esitante per il mattiniero appuntamento e il tempo.
Infatti, il sabato il sole splendeva caldo e forte nel cielo limpido, lunedì il sole splendeva caldo e forte nel cielo limpido, ma domenica c’era freddo, nebbia, pioggia!
I 3 GORRILLONI
Alle 6.20 ero in piedi, come tutti i dì, assonnato certo, ma felice si salire in moto per andare verso i monti, e non verso l’ufficio!
Con calma facevo colazione, mi vestivo, controllavo l’attrezzatura; portavo la moto il corte, azionavo la pedivella per mettere in compressione il motore, un potente calcio e dopo 4 mesi di fermo il monocilindrico Honda si accendeva al primo colpo: diavolo di una XR!
Avevo ancora l’amaro in bocca dell’ultima vera uscita “regolaristica”, a giugno: avevo graditi ospiti Navaho e Burba, ma nei primi 500 metri io avevo tirato un ciocco pauroso, mentre l’HM di Burba era andata al K.O. tecnico, e i vicentini ci avevano lasciato. Poi, il giorno dopo, andando al lavoro con il 400 mi ero scontrato con un’auto, nessun ferito, nessun danno alla moto pochi danni all’auto, grande seccatura di sistemare la faccenda!
Dovevo scacciare i fantasmi di quella settimana, ma che bello essere di nuovo sull’XR!
Stranissima, dopo mesi sul 750; leggerissima, ballerina, instabile suoi pochi cmq di gomma che appoggia sull’asfalto bagnato; fianchi snelli, nessun ingombro fra le gambe, ci si siede sul manubrio, manubrio che è sotto il naso, non lontano anni luce come sull’Elefant.
E quel motore, l’archetipo del fuoristrada: no radiatori, romantiche old style alette di raffreddamento; un basamento solido e possente, garanzia di durata; no iniezione, no pompe benzina, ma un vecchio carburatore per niente sofisticato, sena power-jet, senza pompe di ripresa, senza altre diavolerie.
Perso in questi pensieri felici arrivavo alla stazione dei treni, dove Fritz arrivava con l’Intercity delle 7.30 Castelnovo-Schio:
Si, perché Fritz prende il treno per venire a Schio!
In realtà volevo immortalare l’assoluto silenzio e vuoto dell’alba di una domenica mattina.
Mi concedevo un caffè al bar della stazione, noto ritrovo di tutti gli extra-comunitari della città; sul banco un cesto pieno di uova sode, nella stesso posto, nella stessa disposizione, nella stessa quantità di un paio di mesi prima, l’ultima volta che ero entrato lì: bombe chimiche di salmonellosi…non osavo tanto!
Nel frattempo arrivava Diego, e poco dopo il Fritz: si partiva!
VALLEOGRA
Attraversata la città, attaccavamo le prime colline, ed era subito enduro: erba fradicia, sassi viscidi, fanghetto, garanzia di vecchia cara “regolarità” con tutti i sacri crismi.
Sono i miei sentieri, quelli giusto sopra il mio quartiere, che ancor prima che con la moto li facevo in bici, a piedi…nessuno mai mi impedirà di percorrerli!
10 minuti di off e siamo già fermi a tirare il fiato dopo aver spinto su un sasso.
Saliamo nel bosco, rosso, giallo, arancio, le foglie morte cadono attorno a noi: poesia pura, non so se vado veloce, ma mi sento in forma, dopo gli incerti istanti iniziali ritrovo tutta la confidenza con la mia XR, cavalco con leggerezza il precario equilibrio della moto sul fondo pesante, sono felice: sto così bene nel bosco, con la moto (ma anche senza moto per la verità), il profumo del sottobosco, i colori, l’aria satura di umidità, le foglie, i ricci delle castagne, il pulsare del motore, vivo con i suoi rumori di aspirazione, di scarico, lo sferragliare della catena, il ticchettare di valvole, bilancieri…altro che questa scrivania sotto una fredda luce a neon da cui sto scrivendo.
Siamo tutti e 3 tonici, a volte Fritz si attarda leggermente, a volte sono io a bloccarmi e a fermare Diego e Fritz; Diego non si alza dalla sella, guida seduto per paura di forzare il legamento, da poco ha ripreso ad uscire in moto, ma mi pare che la manetta sia sempre la stessa!
Verso gli 800 m.s.l.m. la nebbia si infittisce, la visibilità si riduce a pochi metri; scolliniamo in Valdastico, perdiamo quota, e la situazione migliora.
VALDASTICO
La situazione migliora?
Vedete voi, Il sentiero da fare è questo:
Una monotraccia larga, o per meglio dire stretta, dai 20 ai 50 cm, con il burrone a lato, frequenti smottamenti e sassi ad invadere la carreggiata.
Diego non pare preoccupato.
Il punto peggiore sono le Forche Caudine: alcuni macigni sono franati sul sentiero, lasciando 20 cm di spazio alla ruota per passare; purtroppo tali massi hanno uno spigolo sporgente, per cui per passare occorre inclinare la moto verso il burrone, ma non la si può accompagnare a lato, appunto perché da un lato c’è il burrone, dall’altro la roccia: la tecnica è, in 2, passarsi la moto.
Le Forche Caudine.
Oltre lo spigolo, Diego prende in consegna l’XR di Fritz.
Autunno nel bosco, meraviglioso!
Il nostro giro lambisce soij e dirupi, notare la pendenza del terreno.
Inizia la discesa.
Una piacevole sterrata all’ombra dei faggi accoglieva le nostre stanche membra, correvamo felici sempre più addentro alla valle sempre più addentro…la sterrata diventava carrareccia, la carrareccia diventava sentiero, il sentiero scendeva, scendeva…scompariva! Una frana con tronco lo aveva troncato!
Che fare?
Intrepidi enduristi passati prima di noi avevano già tracciato la via: una discesa a 45° nel pendio, fino al traverso sottostante del sentiero, un solco nero fra le foglie morte e la terra, una discesa al limite del ribaltamento. La iniziavo in posizione troppo avanzata, presto intuivo il posteriore tendere a sollevarsi dal suolo, ma ero troppo caricato su manubrio e pedane per riuscire a indietreggiare sulla sella; in questa situazione precaria riuscivo ugualmente a tenere la moto e toccare la salvezza, il piano. Stessa esperienza strong per i miei colleghi, tutti rossi e sudati al termine della prova.
Diego 1, la foto no rende la pendenza.
Diego 2.
Fritz 1.
Fritz 2.
Urca, il sentiero va a sbattere contro un canale d’acqua, assolutamente insuperabile! Come fare?
Fritz ci fa vedere come…
Superhank…emozioni assicurate!
TONEZZA
OK, fino adesso abbiamo scherzato, ci siamo scaldati con robe facili; adesso arriva il bello (o brutto, vedete voi!):
Noi siamo nello stesso punto in cui anni fa scattai questa foto, in fondovalle; dobbiamo arrivare la in cima, ovviamente in off…e che off!
Questa mulattiera parte da quota 400, ed arriva 700 metri più in alto. Letteralmente scavata nelle pareti di roccia calcarea, si divide in 2 parti: la prima si sviluppa sul versante sud del monte, assolato e secco; regolari traversi si allungano sulla costa del monte, uniti da un tempo ampi tornanti. Ora la mulattiera è ridotta ad uno stretto sentiero, intensamente eroso dalle piogge, che hanno creato canali e buche profonde anche un metro; si suda sette camice se si finisce dentro queste trincee con la 2 ruote, l’ideale è percorrere il ciglio, in equilibrio fra pendio e buca; Per fortuna il terreno solitamente asciutto aiuta molto ed è impossibile non salire.
Poi si arriva ad un corridoio roccioso tagliato nella pietra dell’ultimo crinale: postazione militare in galleria e lapide sono segni inequivocabili della origine militare del luogo. Varcata la Bocca si passa nel versante in ombra: si guida all’ombra dei faggi, la mulattiera è mediamente più larga, ma più viscida e spesso interrotta da tronchi a terra e piccoli smottamenti; stupendo il panorama nella parte alta.
Raggiunta la mula, iniziavano le danze: il fondo era un tappeto di sassi, ovviamente viscidi, dalle dimensioni variabili dal pompelmo al melone, più ogni tanto qualche extra large modello anguria: una goduria! Se tenevo il peso arretrato per avere trazione, la forcella scartava su ogni sasso; se caricavo l’anteriore, la ruota motrice ballava il twist.
E tutto ciò per tornanti su tornanti, rettilinei su rettilinei; tutti e 3 siamo partiti belli carichi, ma come giustamente sottolineato da Fritz, finché hai fiato la moto la guidi tu, poi subentra la fase in cui è la moto che ti porta su, e allora si rischia.
Ecco gli amici all’intermedio: Diego…
Fritz
Arrivati? Naaaah: non eravamo nemmeno a metà salita!
La restante parte della salita era meno distruggi braccia (e gambe), il fondo, pur rimando difficile da gestire, consentiva una guida più tranquilla.
L’unico punto ostico è uno stretto tornante su lastre di roccia, e dal traverso immediatamente precedente e successivo, entrambi molto sconnessi e con piccoli smottamenti, che però superavamo egregiamente.
Purtroppo la nebbia e l’umidità mandavano nel pallone l’autofocus delle fotocamera.
GRAN FINALE
Un mio errore in tornante mi faceva spegnere il motore e cadere la moto a terra, lasciavo proseguire i compagni, ma quando arrivavo al piazzale in cima alla montagna non li vedevo più!
In realtà erano a pochi metri, ma la nebbia era tale da precludere la vista anche agli oggetti vicini.
Si proseguiva per una tratta esaltante, uno stretto toboga appena appena accennato fra le foglie marce e gli aghi di pino, nel bosco di abeti e faggi: gobbe, doline, discese, salire, contropendenze, pietre e fango, radici e masiere, un incessante variare del percorso sotto alle ruote, troppo bello per fermarsi a fotografare (impedimento nebbia a parte).
La corsa terminava nei pressi di un delizioso laghetto, dove sostavamo a lungo, chiacchierando di moto, amici, situazioni, percorsi; si stava bene, non sentivo il freddo e l’umido, avrei voluto star li ancora, ma la zia mi chiamava, dovevamo ripartire!
Tre Gorilla nella nebbia.
La smettevamo di farci i complimenti (cit. Mr. Wolf, “Pulp Fiction”), e ci dirigevamo verso l’attacco della mulattiera del Cimitero, una traccia che scende fra le pareti selvagge della Valdastico, in un boale dove si avvita su se stesso in molteplici tornanti, talmente stretti da fare accompagnando al moto a mano, per poi finire in un vallone da guadare, ingombro di massi ciclopici trascinati a valle dalle alluvioni…una sciccheria!
Purtroppo alla nebbia si aggiungeva una fastidiosa e gelida pioggia, la visibilità in sella, con l’acqua che correva sugli occhiali, era di pochi metri, e non riuscivo ad individuare con certezza il sentiero.
Piuttosto che precipitare in qualche burrone lasciavo perdere, e optavamo per il ritorno sulla classica rotabile del Rio Freddo, scendendo le pendici del Toraro.
In fondovalle ancora un po’ di facile off lungo l’Astico fino a Piovene, dove Diego e Fritz si fermavano a far benzina, mentre io correvo al pranzo di compleanno.
Non so se i 2 poi hanno fatto ancora off o sono andati diretti a casa…per me comunque 4 ore di vero enduro, impegnativo, su fondi difficili, su mulattiere prestigiose come solo la Valdastico sa offrire!
Come prima uscita autunno-inverno non mi posso lamentare.
Ciao
Alves