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QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

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SuperHank
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QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

Messaggio da SuperHank » mar 19 feb, 2008 7:04 pm

QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA


THIS LAND IS YOUR LAND
“As I went walking, I saw a sign there
And on the sign there, It said, "No trepassing"
But on the other side, It didn't say nothing.
That side was made for you and me.”
“Mentre camminavo vidi un cartello laggiù;
E il cartello, diceva, "Non oltrepassare"
Ma dall'altro lato, non c'era scritto nulla
Quel lato è stato fatto per te e per me.”

“This land is your land”
Woody Guthrie

Il buon vecchio Woody era un cantante folk country Americano, nativo dell’Oklahoma, attivo negli anni dalla Grande Depressione Americana fino ai fifty; nella sua vita ne ha viste di tutti i colori, il fallimento economico del padre, la morte di una sorella, del padre, la madre internata, lo sfascio della sua famiglia e di un paese sconvolto dalla crisi del 1929; vagabondò per gli U.S.A., divenne folk singer, ispiratore di numerosi cantanti, uno su tutti il “Boss” Bruce Springsteen.
Uno così, un artista in odore di socialismo, comunismo e sovversivismo, sicuramente, quando scrisse il suo capolavoro “This land is your land”, pensava ai lavoratori, agli scioperi, alle lotte sociali; ma quei versi “E il cartello, diceva, "Non oltrepassare" / Ma dall'altro lato, non c'era scritto nulla / Quel lato è stato fatto per te e per me.”/ , troppo mi ricordano, forse un po’ sacrilego, il vivere della moto fuoristrada, il trovarsi la via sbarrata da un cartello, il sentirsi derubati di un diritto, quello di percorrere la terra che ci circonda.
Su Soloenduro c’è questo foto racconto:

http://www.soloenduro.it/ubbthreads1/sh ... Post568845

Non so se questo Popol conosca il cantante Americano, ma cosa importa in fondo?
Il bellissimo messaggio che traspare da questo racconto è l’amore che l’endurista ha per i luoghi in cui gira, terre che conosce da sempre, quasi per osmosi familiare: pare che le colline brianzole le abbia scoperte, prima ancora di percorrerle in moto, bici, piedi,, dicevo, le siano stare trasmesse geneticamente, dai genitori, dai nonni, che prima di lui li hanno vissuto.

quella volta che ero stato attaccato dalle vecchie inferocite perché fotografavo la loro contrada, me l’ero cavata raccontando che ero originario del paese, e si erano placate.
E allora, pensando ai luoghi in cui giro, mi sono immedesimato in quanto cantato da Guthrie, in quanto raccontato da Popol, ho capito profondamente quanto queste terre mi appartengano, anche se non ho proprietà terriere, anche se vivo in città.
La conferma l’ho avuta in una riunione di famiglia, avvenuta a gennaio, il raduno della mia famiglia lungo l’asse del nonno materno.
Una dinastia veneta, dalla patriarca 93enne, mia nonna, che già era la mondo mentre gli austriaci bombardavano la Valleogra, fino a mia figlia di 9 mesi; in mezzo donne, uomini, impiegati ed operai, professori universitari ed alcolizzati, chi ha 4 moto in garage con cui girare (io), che ne ha 50 in casa solo da guardare (un bis-cugino).
Il dotto professore, nel suo discorso, ci diceva che in quel di Monte di Malo esiste ancora la corte dove vissero i nostri Trisavoli, in cui dobbiamo andare in devoto pellegrinaggio, e se ne deduce che siamo di stirpe cimbra, quelle genti tedesche arrivate nel medioevo a popolare la montagna veneta, dalla Lessinia ai 7 Comuni.
Ma la mia nonna è nata a Fara, lungo l’Astico, fra i pregiati vigneti di Torcolato e Breganze, anche di quelle dolci colline ai piedi dell’Altipiano sono figlio; e come già dissi, i nonni paterni arrivano da una contrada ben addentro alla Conca di Smeraldo (soprannome magnificente del territorio di Recoaro), là dove l’Agno di Lora e il Rotolon si uniscono a formare l’asse principale della vallata.
E non mi si venga a dire quindi che non ho diritto a percorrere le terre dall’Agno all’Astico!

ENDURO MON AMOUR

E così parto, ancora una volta, come sempre dall’89, verso le mie montagne, in sella ad una moto, alla mia moto, fedele compagna di tante avventure.
Un rito, dacché faccio enduro: le protezioni, l’abbigliamento tecnico, il marsupio, il casco e gli occhiali, per ultimi i guanti; la sensazione di star per fare qualcosa di unico, di diverso, e l’abbigliamento lo sottolinea.
Poi una moto che ha bisogno di un gesto possente per prendere vita, ma anche di dettagli delicati e attenti: la levetta dell’arricchitore, alzare un po’ il minimo, cercare la compressione; infine un vigoroso e fermo calcio sulla pedivella e l’XR400 si avvia, come sempre.
E se non si avvia avrà le sue ragioni, non è certo colpa sua, ma del pilota, di questo statene certi!
La città, il traffico, i ragazzi invidiosi che vanno a scuola e sperano in una tua impennata disperata, le ultime case, inizia il bosco attorno, compare il sentiero, inizia l’enduro, io, la moto, e la terra.

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Piccole Dolomiti: per un istante considerammo di trasferirci a vivere in questa, proprio questa, contrada: il cuore avrebbe detto si, la ragione no…ma sarebbe stato bello!

Il sole alle mie spalle riscalda le montagne invernali, mail profondo della valle è ancora immerso nel freddo della notte; mi inoltro nel cono d’ombra, voglio cambiare versante, devo farlo. Sperimento una nuova sterrata che non conoscevo, parte facile e scorrevole, ma poi la deviazione mi manda in una traccia appena visibile fra i rovi del sottobosco, spine e aculei si conficcano nel giubbotto.
Alcuni tronchi sono adagiati sul sentiero, riesco a scavalcarli ma un grosso ramo si impiglia fra i raggi; me ne accorgo appena in tempo, se avessi continuato ad avanzare avrei sicuramente spezzato qualche raggio!
Ne vengo fuori, sono sulla S.S. di fondovalle; poche centinaia di metri in cui l’aria gelida mi punge il viso con l’intensità di mille aghi, per fortuna è vicino il seguente tratto di off road.

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Fredde acque del disgelo.

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Il profilo dei monti immerge ancora il fondovalle nel suo freddo cono d’ombra; attenzione al ghiaccio!

Non è sterrata, non è mulattiera, non è sentiero: è una trincea che strappa il sottobosco, un fossato di terra, radici, foglie morte e sassi levigati, percorso da un rivolo d’acqua di sorgente, ghiacciata nei punti dove meno la luce del sole indugia durante il giorno.
Parto convinto, ma sono ancora freddo, predo lo slancio, ma viene in mio soccorso l’Honda: la sua dolce trazione mi aiuta a ripartire, esco dalla trincea, esco dal bosco nei pascoli attorno alle contrade, passo le ultime contrade e trovo le ultime strade sterrate:

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Come vorrei sempre incontrare queste indicazioni: “Strada dissestata, si sconsiglia il passaggio, transito a proprio rischio…”; essere artefice del proprio destino, non subire imposizioni e regole dettate da altri.

Col passare dei minuti mi sto scaldando, mi sento vivo ed attento come mai lo sono nell’uniformità della vita “civile” di tutti i giorni; i muscoli sono tesi, scattanti, guido costantemente in piedi o al limite semi seduto; le braccia tengono con decisione il manubrio, portano la moto in piega quando e come voglio, le gambe sono elasticamente protese ad ammortizzare i colpi del terreno, pronte a dare robuste scalciate per rimettere il asse l’XR, se qualche piega si imbarcasse troppo verso il terreno!
Ma soprattutto la mente è aperta, ben pìù che in un viaggio lisergico degli anni ’60: da un lato è attenta a interpretare tutti i segnali che la terra mi manda, il terreno, lame di luce e d’ombra, la spinta del motore, il grip delle ruote; dall’altro lato niente si perde di quello che le sta attorno, un fienile in un campo, la contrada in fondo alla valle, l’odore fumigante di un letamaio fresco, la fuggevole visione di un rapace in volo o di un capriolo in fuga nel sottobosco, il rumore di una motosega lontana di qualche boscaiolo.
So già che a sera pagherò lo scotto di tutta questa prestanza, faccio una vita sedentaria, non faccio sport, non ho tempo (ma è una scusa perché in realtà non mi piace, mi annoia rinchiudermi in una palestra a correre su un tapis roulant!), davanti alla cena avrò l’occhio pallato e vitreo peggio di Bukowski alla domenica mattina, la faccia mi cadrà nel piatto della minestra, gli ospiti a cena mi considereranno un cafone maleducato e mia moglie desidererà ardentemente divorziare, ma che mi frega, ora sono felice, sto bene, faccio quello che vorrei sempre fare!
La sterrata termina, inizia il cavatappi, un sentiero che si arrotola su se stesso per superare una balza del monte, tornate gradone tornate gradone tornante gradone, si gioca tutto di sponda, destra sinistra destra come in una pista di bob olimpico, solo che qui si sale, sbagliare il gesto atletico vuol dire ruzzolare giù, inghiottiti nel cavatappi.
Sono in cima, un sorriso si apre dietro la mentoniera, mi complimento con me stesso.
Salgo ancora, ma anche il monte finisce, è ora di scendere dove nessuno penserebbe di farlo, una parte quasi verticale dove le piante con fatica si aggrappano alla scarna terra con le loro radici; per fortuna ci hanno pensato i genieri della 1° Armata, nel lontano 1916, a tracciare un ardito sentiero:

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E vai di tornanti sospesi nel vuoto; non li ho contati, ma alla fine saranno decine e decine.

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Le grandi contrade di fondovalle ancora rabbrividiscono nell’ombra del mattino.

I tornanti sono molto stretti, quelli a sinistra riesco chiuderli stando in sella, agendo di freno posteriore e acceleratore; in quelli a destra ho più difficoltà, usando il freno posteriore non posso lanciare la gamba destra all’interno della curva a fare da perno su cui girare l’insieme moto-pilota, rischio ogni volta di cadere all’esterno, mentre rimango in equilibrio degno di un funambolo del circo.
Molti li farò a mano, girando la moto di peso, puntando il peso sulla ruota anteriore e girando il posteriore sollevato da terra.

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Eh si, sbagliare non è consigliato!

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I traversi però non erano impegnativi.

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Numerose postazioni militari si aprono sul crinale.


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È stata una lunga ma emozionante discesa!

Era la prima volta che percorrevo quel sentiero: incredibile, la mia Terra ancora mi riserva sorprese, quando credo di conoscerne tutti gli angoli più reconditi, ecco che un nuovo sentiero si para davanti alle mie ruote, così inaspettato, così inatteso che mi domando: ma come ho fatto a non notarlo prima? Ma prima, c’era veramente? O dei bricconi Salbanelli me l’hanno nascosto finora con qualche artificio magico? o misteriose Anguane l’hanno creato solo oggi,per regalarmi un po’ di felicità a scoprirlo e percorrerlo?
Felice, attraverso la valle e mi inoltro verso il pendio opposto, dove ho una questione in sospeso da risolvere.

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Il gruppo del Carega fa cupolino in un vicolo della contrada.

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I capitelli non mancano di affascinarmi, come questo; dedicato alla Madonna, ma notare il dipinto di S.Antonio a lato, mentre sull’altro una rinfrescante fontana scroscia senza posa, e il soffice muschio quasi inghiotte la masiera.
L’ultima volta che ero stato da queste bande ero in sella al 750 e, dopo l’incontro con le vecchie di contrà Parente, che mi avevano ingiunto di non fotografare la contrada, mi ero infilato in un sentiero con
La bisarca Cagiva, ed era stata la disfatta:

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La petroliera incagliata!

Ma con l’XR non mi sarei certo fermato così!
Parto caldo al punto giusto per la sterrata, la sterrata diventa mulattiera, la mulattiera sentiero, ha tutto l’aspetto di quelle tracce aperte dai boscaioli per raggiungere il luogo di taglio, tracce che muoiono nel bosco; arrivo al punto in cui mi ero fermato col Cagiva, proseguo, la traccia sembra scomparire nel fogliame, ma in realtà sale, sale ancora con regolarità, tornante dopo tornante, traverso dopo traverso, una precisione che è sconosciuta ad una disordinata pista da esbosco, questa ha tutta l’aria di essere un antico sentiero che dalle contrade di mezzo monte portava i valligiani fino ai pascoli in quota; salgo, dribblando rovi ed alberelli, arrivo all’ennesima svolta, riesco ad impostare il tornante, ma quello che vedo dopo mi sconsiglia di proseguire, nell’attimo di indecisione non riesco a tenere la moto e l’appoggio dolcemente a terra.
Ecco una cosa bella del fuoristrada: la maggior parte delle volte, quando cadi o la moto cade, sotto c’è terra, ci sono foglie, non ci si fa male ne danni.
Chiudo il rubinetto della benzina, lascio l’XR e salgo a piedi; sono certo che il sentiero muoia li, ma oltre un piccolo dosso compare un tornante e riprende vita, lo vedo labile ma tracciato continuare a salire il pendio: diavolo d’un sentiero!
Per come lo vedo ora potrei salire ancora con l’XR, ma poi non saprei se la retromarcia, da solo, fosse possibile; getto la spugna: il passaggio dall’750 al 400 mi ha fatto guadagnare forse 500 metri, la prossima volta tenterò in compagnia, 4 braccia sono un’ottima garanzia, e se non basteranno veròò col trial, oramai è una questione d’onore.
Mi siedo accanto alla mia Honda, la osservo, non sembra poi così avulsa dall’ambiente naturale che la circonda, anzi, pare farne parte.
La luce si sparge a fatica fra le chiome nude degli alberi, è inverno ma non fa freddo, sto bene; il bosco è tutto un sussurro di suoni, rami che stormiscono, foglie secche che si adagiano a terra e lentamente fluiscono a valle, piccoli animali invisibili che di muovono attorno; scorgo le contrade sull’altro versante della valle, sento lontani i rumori della S.S. e delle attività umane.

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La via si fa ardua!

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L’XR si riposa.

Sto bene qui, adagiato nel soffice sottobosco, la terra umida sulle spalle, l’aria calda in viso, l’assordante silenzio del bosco nella testa, i suoi colori negli occhi; io sto bene qui, questa è la mia dimensione, qui se potessi scegliere, vorrei rimanere quando tutto avrà fine, io, il mio casco, la mia giacca,i miei stivalacci 7 fibbie in pelle.

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Questo sono io.

Ma ora non è ancora tempo di appendere il casco al chiodo, ho ancora voglia da vendere per fare enduro e andare in moto; perciò scendo a valle e tento la risalita da un altro versante, per raggiungere la neve.
Mi porto in quota, puntuale la manna bianca compare; vista la difficoltà a salire, scollino verso fondovalle ma, essendo nel lato in ombra, ritrovo ancora la “candida Signora”.
La neve non è particolarmente spessa, ma soprattutto è ben ghiacciata, tanto da sostenere il peso della moto.

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Non ho un carro armato, non ho una moto da cross: posso passare!

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Ogni angolo è uno scorcio indimenticabile.

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Pasubio; laggiù, in basso, da qualche parte, la contrada da cui provengono i nonni paterni.

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Catena delle 3 Croci.
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Mi butto o non mi butto?

Mi butto.
Inizialmente le neve tiene, ma guido trattenendo il fiato, come se pattinassi su un lago ghiacciato, aspettando con terrore il momento in cui la sottile lastra si spezza e si finisce sott’acqua, nel mio caso insabbiati nella neve, impossibilitati a muoversi. Tanto più che al strada prima scende poi risale, per cui bloccarsi nel bel mezzo di questo catino significherebbe trovarsi in trappola.
Ma per fortuna la neve tiene, l’XR avanza, ma gli ultimi metri della strada, prima che sbuchi nell’asfalto, sono più ripidi ed esposti al sole: la neve è cedevole, ed infatti la ruota motrice affonda!
Prima che la moto si fermi del tutto e perda tutta l’inerzia, scendo al volo ed inizio a spingere; 3-4 metri di corsa a fianco della moto e sono sull’asfalto!
Basta così, è ora di un panino alla soppressa ed un’ombra di Cabernet, tanto per restare in sintonia con queste terre.

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Affascinante questo “larin”, focolare con cappa sovrastante e panca che gli gira tutto intorno: non sarebbe bello passar lì la sera, con un grappino in mano e il fuoco scoppiettante, a raccontarsi storie di moto, a improvvisare imprese motociclistiche dalle più serie alle più improbabili?

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Ma finché c’è il sole, è meglio godere l’impareggiabile visione della natura (non sto parlando di me ma delle montagne)!

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Ma quanto è bella la mia terra?

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Là, proprio là, fra le ombre della montagna, c’è una mulattiera che valica il passo; prima o poi lo scalerò…

Ciao
Alves

pinof
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QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

Messaggio da pinof » mar 19 feb, 2008 9:59 pm

Alves sei un grande!! Molto bello il tuo resoconto: avvincente, ben scritto, poetico, si sente che parte dal cuore. I miei complimenti!!

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max37
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Messaggio da max37 » mar 19 feb, 2008 11:42 pm

non posso che quotare pinof
Max37

http://www.tecnicamotori.it/

La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

ernesto52
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QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

Messaggio da ernesto52 » mer 20 feb, 2008 10:53 am

Bravo SuperHank! Complimenti per la "favola" (ovviamente in senso positivo, tanto è avvincente e scritta bene!). Ammiro oltre alla facilità di penna, anche il coraggio di affrontare da solo questa impresa. E' vero che traspare dal racconto anche molta prudenza, ma siccome l'imprevisto ci può stare, come tu dici in qualche parte, meglio quattro braccia che due....
Sui snetieri che hai percorso e fotografato, se avessi avuto una moto da trial, ti saresti sicuramente divertito di più, anche se con sforzo maggiore. Il motalpinsmo con una trial leggera e maneggevole è tutt'altra musica. Prova e vedrai. Complimenti di nuovo e speriamo di leggerti nuovamente. Con ammirazione. Ernesto

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max37
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Messaggio da max37 » mer 20 feb, 2008 2:48 pm

il trial c'è l'ha ma evidentemente voleva affrontare quei percorsi con l'honda
Max37

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La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

alp
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Località: Reggio Calabria

QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

Messaggio da alp » gio 21 feb, 2008 1:22 am

Caro Alves,

sei sempre il solito artista. Un prezioso compagno di viaggio. Si, i viaggi che facciamo virtualmente insieme, “ognuno col suo viaggio, ognuno diverso” ma uniti dalla voglia di far partecipare gli altri alle nostre disavventure.

La tua passione, indipendentemente dal mezzo che usi è sempre più che coinvolgente, stravolgente direi. Continuo a pensare che dovresti seriamente pensare a dedicarti un po’ di più alla scrittura, nel senso che dovresti mettere un po’ d’ordine fra le tue carte e preparare una bozza di “manoscritto sulle disavventure del motoalpinismo” da presentare a qualche casa editrice (consiglierei di puntare prima sulle più accreditate). Vedo già qualche pagina: racconti recuperati dal forum, consigli utili, frammenti del tuo viaggio di nozze, tecniche di guida, reports scritti a più mani in cui, della stessa uscita si evidenziano più versioni. A quando la prima stesura?
A presto e...
Buon motortrip,

alp

rxman
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QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA

Messaggio da rxman » gio 21 feb, 2008 4:49 pm

ottima idea, dopotutto anche polpo neriotti è molto bravo a scrivere su soloenduro, evidentemente qualcuno lo ha notato e ha scritto un libro sull'enduro, credo anche che ne stia facendo un altro, o almeno mi sembrava di averlo sentito dire :D
"la moto, una cosa così meravigliosa non può non avere un anima"
Valentino Rossi

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