RIASCIAQUAR I TASSELLI IN AGNO
Inviato: mer 19 mar, 2008 2:26 pm
RIASCIAQUAR I TASSELLI IN AGNO
Come ci insegnarono a scuola, il Manzoni, per dare al suo tomo immortale, “I Promessi Sposi”, la corretta lingua, andò a Firenze per impratichirsi della favella toscana; nella storia rimase la citazione, sua o chi per lui, “risciacquare i cenci in Arno”, che in senso lato si potrebbe tradurre come “andare alla fonte primaria e originaria di qualcosa”.
Questa associazione di idee, favorita dall’assonanza delle parole, mi sorgeva spontanea mentre mi dirigevo verso la vallata dell’Agno: da tempo non giravo da quelle parti, almeno un anno, era tempo di rinfrescare le mie conoscenze di quelle terre, appunto “risciacquar i tasselli in Agno”!
Ad esser obiettivi ero da poco stato in valle, nella parte più alta, quella Recoaro terra d’origine del ramo paterno della famiglia.
Stavolta però volevo girare pi a valle, nei dintorni di Valdagno. Pochi km in linea d’aria, ma situazioni molto diverse, divise dalla catena dei Castiglieri, un costone montuoso frastagliato e spaccato come denti di sega: A monte la “Conca di Smeraldo”, un anfiteatro di montagne formato dalla catena delle 3 Croci e dal Carena, che si elevano dai 1.500 metri di Cima Marana fino ai 2.259 metri di cima Posta in Carega; a valle una serie di colline boscose sotto i 1.000 metri di quota, digradanti verso la pianura.
Terreni diversi: oltre i Castiglieri c’è il “lardaro” roccia friabile a scaglie e terriccio di sottobosco; prima dei Castiglieri “sasso moro” di evidente origine lavica e grasso humus nero.
Riguardo ai Castiglieri l’unico sentiero che li attraversa è il famigerato “sentiero del mulo” , che vide me e Diego, anni e anni fa, schiantarci di fatica sui suoi tornanti e rampe, fino a mollare il colpo davanti ad una tavola di legno appoggiata su di uno scampolo di sentiero franato: sarebbe ora di ritentate il colpo!
Ma oggi sono solo, manco ci penso.

Valleogra classic ground: bianca roccia calcarea con sottile strato di terriccio e foglie; aderenza 0.
In compenso mi incasino subito sopra casa, ancora in Valleogra; tento una pontara molto lunga, ripida e dal fondo spaccato in gradini e lame di roccia.
Applico la tecnica “one shot”, un colpo solo; se la va al primo tentativo, ok, altrimenti giro il ferro e alla prossima. Così è stato. Sebbene mi mancassero solo 2 metri alla cima ho lasciato perdere: nonostante l’XR abbia una gran trazione non ce la fa ad avere grip su una lastra cosparsa di fanghetto, e i 130 kg del 400 si fanno sentire (a Motociclismo l’hanno pesata a 122 kg, ma fra paracoppa e borsello con attrezzi sono sicuro di essere vicino ai 130).
2 metri e ce l’avrei fatta!

E si che la rincorsa c’era!
Riparto, attraversando boschi silenziosi, scavalcando infide radici di alberi, guadando rivoli appena appena accennati sul terreno, sgorgati da poco fra le pietre e il sottobosco.

Per fortuna arrivano tratti più scorrevoli.

Fresche sorgenti dove dissetarsi
Veloce è la discesa verso il fondovalle dell’Agno, purtroppo ho dimenticato la mappa a casa, per cui navigo a naso, cercando di ricordare sentieri e luoghi percorsi negli anni passati.
La necessità d ifare benzina mi costringe a scendere in paese, ma nella frazione di Maglio di il benzinaio è chiuso: vacca! Devo scendere al capoluogo, Valdagno.
Oramai sono molto a valle, per cui rinuncio a riattraversare il di nuovo il paese, e mi porto verso Piana, per ritrovare vecchi percorsi.
Ma commetto un errore; il percorso che conoscevo io iniziava da una località diversa da quellla verso cui mi sto dirigendo: solo che in entrambi i paesi un torrente esce dalle colline ed ha una strada carrabile su entrambe le rive, per cui giunto a Piana vedevo il torrente con le 2 strade e pensavo di essere nel luogo giusto!
Ma spesso in fuoristrada una scelta errata porta a conseguenze giuste: trovo un sentiero che si stacca dalla strada asfaltata, pare promettere bene, andiamo!
E le promesse le mantiene tutte: una single track che si inerpica nel bosco, sembra sparire ma poi riprende, attraversa dolci spianate per poi innalzarsi con tornanti serrati.
In uno di questi non mi accorgo che il sentiero gira bruscamente a sinistra, e procedo dritto per la tangente, per quella che sembrava la traccia corretta ma in realtà era ingannevole; mi ritrovo bloccato nel bosco, in retromarcia rientro nel sentiero, giusto al centro del tornante incriminato; per fortuna mi va meglio che inValleogra, lavorando di 2° e frizione riesco a superare l’ostacolo.
Raggiungo un contrada abitata, subito dietro l’ultima casa una carrareccia si inerpica nel bosco.
Mi porta ad un contrada disabitata ma finemente restaurata, probabilmente usata nei fine settimana come “villeggiatura”.

Inaspettate e dolci radure nel bosco.

Fra qui…

…e qui, 2-3 tornanti al cardiopalma da fare in apnea.
Il sentiero prosegue nel bosco, fra radure curate come prati inglesi, per gli appostamenti di cacciatori su torri di metallo ed assi alte più degli alberi: poveri volatili!

Più prendo quota, più la nebbia si infittisce.
Tento un sentiero, ma muore nel bosco; è stato bello comunque provarci, fa parte del gioco, anche quando si fatica a girare la moto in un fazzoletto di terra.

Non si capisce, ma la moto è a filo del burrone.

Il sentiero è labile, ma sembra continuare…

…ma poi si perde nel bosco, e quel tronco non ne è che il segnale.

Quanto resisterà ancora quell’albero (notare le radici)?
Giungo così a una grossa contrada rurale. Il passaggio successivo mi vede sulla fangosa sterrata che conduce alle “Terre Rosse” mitica cava abbandonata trasformata in luna park (abusivo) del tassello. La nebbia la fa da padrone, tanto da costringermi a mantenere una velocità ridotta.

Fango e nebbia a Cerealto.

Laghetti delle Terre Rosse nella bruma scozzese.
Nella cava di argilla il terreno è talmente pregno di acqua che si sono formati dei piccoli e torbidi stagni negli avvallamenti del terreno; la nebbia è talmente fitta che nasconde le ripide sponde su cui crossisti, enduristi e trialisti sfidano al gravità: niente evoluzioni oggi.
Abbandono la sterrata per cercare un sentiero in cresta al monte sovrastante, un cupolone boscoso serrato da 2 passi carrozzabili, un sentiero che avevo fatto anni fa col mio amico Massimo_S, grande endurista, grande conoscitore di questi luoghi, visto che ci vive!
Il sentiero lo ricordavo breve con alcuni passaggi tosti, ma nella direzione in cui lo stavo imboccando li avrei trovati solo in discesa, per cui nessun problema a superarli.
Comincio a salire, scavalcando alcuni alberi caduti; ora sono sul crinale, non c’è più terra a salire sopra di me, solo cielo e nebbia, ed anche sotto di me c’è solo il bianco della nebbia, i ripidi pendii del monte scompaiono nel lattiginoso aere: non vedo assolutamente nulla del paesaggio!
Il sentiero scende e risale alcuni avvallamenti, compie alcune svolte, si rivela più lungo del previsto, mi disorienta: dovrei scendere verso il passo, come mai non compare? Che stia andando nelle direzione opposta? Forse mi sono girato nella nebbia senza accorgermene? Ma allora come mai non sono ancora sceso al passo opposto? Avrei dovuto già esserci!
Mi sto cacciando in un merdaio?

Il re dei Faggi (almeno credo sia un faggio)
Intanto il sentiero si fa sempre più ostico, nulla più di una traccia fra gli alberi; la cosa comincia a preoccuparmi, fin dove sono giunto ci sono stati alcuni passaggi difficili, rifarli da solo in senso contrario potrebbe essere un problema.

Il sentiero qui è molto “rock”!
Lascio la moto e scendo a piedi, per trovare la via: e la trovo!
La memoria mi ingannava, il sentiero c’è; alcuni strappi mi conducono al passo, e anche stavolta è andata.
Festeggio con pane e salame all’osteria, come ogni buon endurista dovrebbe fare.

Segni di civiltà.
Il proseguo della mattina mi vedrà ancora in azione sulle splendide single track della vallata, nelle pinete dalle radici assassine, nei fangoni mimetizzati dalle foglie morte dei faggi, fra fangoni collosi come pongo e sassi mori oleosi come extra-vergine di olive.

Capitello del 1804.
Il rientro alla normalità passa anche da questi segni: un capitello che da più di 200 anni sorveglia un quadrivio di capezzagne sterrate; chissà chi transitava di qui 2 secoli fa, quando nemmeno immaginavano che potessero esistere auto e moto, chissà che direbbe a veder passare un mostro colorato e rombante quale sono sull’XR400!
Perso in questi pensieri è dolce il ritorno a casa.
Ciao
Alves
Come ci insegnarono a scuola, il Manzoni, per dare al suo tomo immortale, “I Promessi Sposi”, la corretta lingua, andò a Firenze per impratichirsi della favella toscana; nella storia rimase la citazione, sua o chi per lui, “risciacquare i cenci in Arno”, che in senso lato si potrebbe tradurre come “andare alla fonte primaria e originaria di qualcosa”.
Questa associazione di idee, favorita dall’assonanza delle parole, mi sorgeva spontanea mentre mi dirigevo verso la vallata dell’Agno: da tempo non giravo da quelle parti, almeno un anno, era tempo di rinfrescare le mie conoscenze di quelle terre, appunto “risciacquar i tasselli in Agno”!
Ad esser obiettivi ero da poco stato in valle, nella parte più alta, quella Recoaro terra d’origine del ramo paterno della famiglia.
Stavolta però volevo girare pi a valle, nei dintorni di Valdagno. Pochi km in linea d’aria, ma situazioni molto diverse, divise dalla catena dei Castiglieri, un costone montuoso frastagliato e spaccato come denti di sega: A monte la “Conca di Smeraldo”, un anfiteatro di montagne formato dalla catena delle 3 Croci e dal Carena, che si elevano dai 1.500 metri di Cima Marana fino ai 2.259 metri di cima Posta in Carega; a valle una serie di colline boscose sotto i 1.000 metri di quota, digradanti verso la pianura.
Terreni diversi: oltre i Castiglieri c’è il “lardaro” roccia friabile a scaglie e terriccio di sottobosco; prima dei Castiglieri “sasso moro” di evidente origine lavica e grasso humus nero.
Riguardo ai Castiglieri l’unico sentiero che li attraversa è il famigerato “sentiero del mulo” , che vide me e Diego, anni e anni fa, schiantarci di fatica sui suoi tornanti e rampe, fino a mollare il colpo davanti ad una tavola di legno appoggiata su di uno scampolo di sentiero franato: sarebbe ora di ritentate il colpo!
Ma oggi sono solo, manco ci penso.
Valleogra classic ground: bianca roccia calcarea con sottile strato di terriccio e foglie; aderenza 0.
In compenso mi incasino subito sopra casa, ancora in Valleogra; tento una pontara molto lunga, ripida e dal fondo spaccato in gradini e lame di roccia.
Applico la tecnica “one shot”, un colpo solo; se la va al primo tentativo, ok, altrimenti giro il ferro e alla prossima. Così è stato. Sebbene mi mancassero solo 2 metri alla cima ho lasciato perdere: nonostante l’XR abbia una gran trazione non ce la fa ad avere grip su una lastra cosparsa di fanghetto, e i 130 kg del 400 si fanno sentire (a Motociclismo l’hanno pesata a 122 kg, ma fra paracoppa e borsello con attrezzi sono sicuro di essere vicino ai 130).
2 metri e ce l’avrei fatta!
E si che la rincorsa c’era!
Riparto, attraversando boschi silenziosi, scavalcando infide radici di alberi, guadando rivoli appena appena accennati sul terreno, sgorgati da poco fra le pietre e il sottobosco.
Per fortuna arrivano tratti più scorrevoli.
Fresche sorgenti dove dissetarsi
Veloce è la discesa verso il fondovalle dell’Agno, purtroppo ho dimenticato la mappa a casa, per cui navigo a naso, cercando di ricordare sentieri e luoghi percorsi negli anni passati.
La necessità d ifare benzina mi costringe a scendere in paese, ma nella frazione di Maglio di il benzinaio è chiuso: vacca! Devo scendere al capoluogo, Valdagno.
Oramai sono molto a valle, per cui rinuncio a riattraversare il di nuovo il paese, e mi porto verso Piana, per ritrovare vecchi percorsi.
Ma commetto un errore; il percorso che conoscevo io iniziava da una località diversa da quellla verso cui mi sto dirigendo: solo che in entrambi i paesi un torrente esce dalle colline ed ha una strada carrabile su entrambe le rive, per cui giunto a Piana vedevo il torrente con le 2 strade e pensavo di essere nel luogo giusto!
Ma spesso in fuoristrada una scelta errata porta a conseguenze giuste: trovo un sentiero che si stacca dalla strada asfaltata, pare promettere bene, andiamo!
E le promesse le mantiene tutte: una single track che si inerpica nel bosco, sembra sparire ma poi riprende, attraversa dolci spianate per poi innalzarsi con tornanti serrati.
In uno di questi non mi accorgo che il sentiero gira bruscamente a sinistra, e procedo dritto per la tangente, per quella che sembrava la traccia corretta ma in realtà era ingannevole; mi ritrovo bloccato nel bosco, in retromarcia rientro nel sentiero, giusto al centro del tornante incriminato; per fortuna mi va meglio che inValleogra, lavorando di 2° e frizione riesco a superare l’ostacolo.
Raggiungo un contrada abitata, subito dietro l’ultima casa una carrareccia si inerpica nel bosco.
Mi porta ad un contrada disabitata ma finemente restaurata, probabilmente usata nei fine settimana come “villeggiatura”.
Inaspettate e dolci radure nel bosco.
Fra qui…
…e qui, 2-3 tornanti al cardiopalma da fare in apnea.
Il sentiero prosegue nel bosco, fra radure curate come prati inglesi, per gli appostamenti di cacciatori su torri di metallo ed assi alte più degli alberi: poveri volatili!
Più prendo quota, più la nebbia si infittisce.
Tento un sentiero, ma muore nel bosco; è stato bello comunque provarci, fa parte del gioco, anche quando si fatica a girare la moto in un fazzoletto di terra.
Non si capisce, ma la moto è a filo del burrone.
Il sentiero è labile, ma sembra continuare…
…ma poi si perde nel bosco, e quel tronco non ne è che il segnale.
Quanto resisterà ancora quell’albero (notare le radici)?
Giungo così a una grossa contrada rurale. Il passaggio successivo mi vede sulla fangosa sterrata che conduce alle “Terre Rosse” mitica cava abbandonata trasformata in luna park (abusivo) del tassello. La nebbia la fa da padrone, tanto da costringermi a mantenere una velocità ridotta.
Fango e nebbia a Cerealto.
Laghetti delle Terre Rosse nella bruma scozzese.
Nella cava di argilla il terreno è talmente pregno di acqua che si sono formati dei piccoli e torbidi stagni negli avvallamenti del terreno; la nebbia è talmente fitta che nasconde le ripide sponde su cui crossisti, enduristi e trialisti sfidano al gravità: niente evoluzioni oggi.
Abbandono la sterrata per cercare un sentiero in cresta al monte sovrastante, un cupolone boscoso serrato da 2 passi carrozzabili, un sentiero che avevo fatto anni fa col mio amico Massimo_S, grande endurista, grande conoscitore di questi luoghi, visto che ci vive!
Il sentiero lo ricordavo breve con alcuni passaggi tosti, ma nella direzione in cui lo stavo imboccando li avrei trovati solo in discesa, per cui nessun problema a superarli.
Comincio a salire, scavalcando alcuni alberi caduti; ora sono sul crinale, non c’è più terra a salire sopra di me, solo cielo e nebbia, ed anche sotto di me c’è solo il bianco della nebbia, i ripidi pendii del monte scompaiono nel lattiginoso aere: non vedo assolutamente nulla del paesaggio!
Il sentiero scende e risale alcuni avvallamenti, compie alcune svolte, si rivela più lungo del previsto, mi disorienta: dovrei scendere verso il passo, come mai non compare? Che stia andando nelle direzione opposta? Forse mi sono girato nella nebbia senza accorgermene? Ma allora come mai non sono ancora sceso al passo opposto? Avrei dovuto già esserci!
Mi sto cacciando in un merdaio?
Il re dei Faggi (almeno credo sia un faggio)
Intanto il sentiero si fa sempre più ostico, nulla più di una traccia fra gli alberi; la cosa comincia a preoccuparmi, fin dove sono giunto ci sono stati alcuni passaggi difficili, rifarli da solo in senso contrario potrebbe essere un problema.
Il sentiero qui è molto “rock”!
Lascio la moto e scendo a piedi, per trovare la via: e la trovo!
La memoria mi ingannava, il sentiero c’è; alcuni strappi mi conducono al passo, e anche stavolta è andata.
Festeggio con pane e salame all’osteria, come ogni buon endurista dovrebbe fare.
Segni di civiltà.
Il proseguo della mattina mi vedrà ancora in azione sulle splendide single track della vallata, nelle pinete dalle radici assassine, nei fangoni mimetizzati dalle foglie morte dei faggi, fra fangoni collosi come pongo e sassi mori oleosi come extra-vergine di olive.
Capitello del 1804.
Il rientro alla normalità passa anche da questi segni: un capitello che da più di 200 anni sorveglia un quadrivio di capezzagne sterrate; chissà chi transitava di qui 2 secoli fa, quando nemmeno immaginavano che potessero esistere auto e moto, chissà che direbbe a veder passare un mostro colorato e rombante quale sono sull’XR400!
Perso in questi pensieri è dolce il ritorno a casa.
Ciao
Alves