Pagina 1 di 1

IN LONTANE LANDE

Inviato: gio 03 apr, 2008 11:57 am
da SuperHank
IN LONTANE LANDE

Terre lontane, certamente.
Ma non nel comune senso della geografia.
Anzi, sono luoghi vicini, molto vicini.
Mi sarebbe piaciuto scrivere queste righe, spacciare queste foto come reportage di lande remote, fosse la tundra siberiana, le praterie mongole, i pascoli e le valli dei Carpazi.
Ma non ho avuto questa fortuna, sono sempre confinato nella vecchia Italia, nel piccolo, sovrappopolato Veneto del miracoloso nordest, patria delle fabbriche, dei capannoni e delle zone industriali.
Qui è tutto piccolo, troppo piccolo per la mia voglia di viaggiare.
Per qualcuno è una fortuna; “dicono che fortunati che siamo!” Abbiamo Vicenza, città d‘arte, le ville Palladiane, i dolci colli fuori le mura; ad un’ora di viaggio c’è il mare, in pochi km siamo ai piedi dei monti, in 40-50 km massimo siamo nel cuore delle Piccole Dolomiti!”
Io dico che è una sfortuna; le valli sono brevi, 20-30 km e sei in cima al passo, pochi quarti d’ora di guida; i sentieri durano poche centinaia di metri, le sterrate pochi km, i boschi sono sempre troppo piccoli, se ne esce sempre troppo presto rispetto a quanto vorrei.
Senza andar a scomodare i deserti più remoti della terra, Sahara, Kalahari, Gobi, ecc., ecc., come invidio altri abitanti del mondo occidentale, siano americani dell’ovest o europei scandinavi, che hanno spazi immensi da attraversare!

Però ho ancora una possibilità di salvezza; il progresso lascia dietro di se le zone più disagiate, più povere di risorse e collegamenti, meno appetibili al business dell’edilizia e dell’industria.
Oddio, ci prova a sfruttarle comunque, trasformando le montagne in parchi naturali, o meglio parco giochi ad uso e consumo del turismo: in ciò il Trentino Alto-Adige è un maestro.
Ma esistono ancora montagne abitate da pochi montanari ostinati, dove non ci sono piste da sci o percorsi natura; in realtà il parco c’è, il percorso natura anche, ma sono lo stesso poco frequentate, oscurare dalla fama delle località conosciute e affermate: per fortuna!

Parlo di quelle valli che si estendono tra l’Astico e l’Adige, tra Vicenza e Verona.
Sono corte, e sfociano in una delle pianure più industrializzate d’Europa; il loro “limes” inferiore può essere idealmente la S.S.11 Padana superiore, teoria senza fine, da Milano a Venezia, di fabbriche, paesi, città, attività commerciali, traffico, benzinai e prostitute.
Il loro confine superiore è lo spartiacque veneto-trentino, col nodo centrale del Massiccio del Carega, ostacolo alla circolazione, non ci sono passi stradali che lo attraversino.
Ecco, nella sommità di queste valli disposte a pettine, non interessate da flussi di passaggio, rimangono zone remote, se non nello spazio, almeno nella mente dei pochi che vi rimangono, e di chi le percorre con lo sguardo romantico del viaggiatore.

Ogni viaggio inizia su di una carta.
La mia è la “Kompass 101 Lessini” 1:50.000, che va dalle propaggini del Baldo a quelle dell’Altipiano dei 7 Comuni.
Altamente imprecisa: strade che non ci sono, strade su carta che sono sentieri, mulattiere che sono carrabili, sentieri che mancano del tutto.
Ma permette di tracciare una rotta, da integrare con mappe pi dettagliate, o direttamente sul campo.
Invece di percorre le valli nel senso della loro relativa lunghezza, se ne percorro trasversalmente le sommità più remote, il cosiddetto “dorso del pettine” di cui accennavo prima, allora si configura una esaltante cavalcate in terre lontane, perse nella magia dei tempi antichi.

DI MINIERIE E DI TESORI

Alba di un mattino in cui esordisce una nuova stagione, la primavera.
Che per mia fortuna non è poi così tanto primavera.
Negli anni mi sono deformato professionalmente: a forza di predicare che con la moto in fuoristrada è meglio andarci col brutto tempo, quando cacciatori, camminatori, guardie di ogni divisa preferiscono rintanarsi al calduccio delle osterie, sono diventato come i vermi che osservavo da bambino nell’orto di mio nonno, quelli che appaiono alla vista solo quando le abbondanti piogge smuovono la grassa terra in cui abitualmente vivono celati alla nostra vista.
Ecco, le giornate di sole, dal cielo azzurro e dal clima mite, mi ispirano malinconia, annullano la voglia di girare in moto, mi adatto a fare le passeggiate politically correct con famiglia e passeggino.
Ma quando sento il freddo, il cielo è opaco e le cime dei monti sono avvolte nella nebbia, magari qualche goccia di pioggia già sta cadendo in città, allora smanio per imbracciare il manubrio e dirigermi verso le montagne!
Risalgo la valle dei Mercanti, per la millesima volta da che vado in moto;li chiamano i Monti d’Oro. Del giallo metallo probabilmente non ne hanno mai estratto un’oncia, in compenso c’era piombo, argento, in tempi più recenti caolino.
Ovunque lungo i sentieri e nei boschi scavi di pochi metri, piccoli sbancamenti, assaggi minerari risalenti ai tempi della Repubblica di Venezia ed anche prima. Ai margini delle contrade tetre bocche di gallerie ancora si aprono, ma le frane interne hanno quasi del tutto sigillato quel mondo ipogeo.
Frane, appunto; l’inizio della sterrata corre attraverso un grande prato lievemente inclinato; l’apparente pace campestre del luogo è in realtà il sepolcro di una intera contrada, sepolta da una enorme frana caduta dal monte Varolo un secolo fa.
Ora queste balze sono terreno di caccia di appassionati di mineralogia e speleologia; uno solo è il loro profeta, tal Giovanni Casolin. Chi fu costui? Un lavorante in queste miniere nel corso della prima metà del 900, che per diletto personale catalogò in appunti dattiloscritti tutte le miniere della zona. Il suo faldone dattiloscritto, scritto in italiano poco ortodosso, passa di mano in mano agli appassionati con l’aura del libro iniziatico, misterioso e proibito ai profani: ebbi letteralmente a pregare un “vecio” del gruppo speleo per avere in prestito la sua copia da fotocopiare!
Perso in questo pensieri scollino lo spartiacque al passo Civillina, e mi affaccio in Agno; di fronte a me lo spallone squadrato e massiccio di Cima Marana e monte Campetto.

Immagine
Signori, si cambia valle; all’estrema dx la pista di monte Falcone che discende il Campetto.

Altra valle, altra leggenda. Si narra che alla sella del Campetto sia nascosto un tesoro, un idolo d’oro, forse un Vitello d’oro, a guardia del quale sono posti spiriti degli inferi pronti a distruggere chiunque avesse osato cercare di recuperarlo. Poi la leggenda corre e si abbellisce nei racconti popolari, addirittura si fa scomodare Attila e il suo tesoro.
Monete romane sono state effettivamente ritrovate lassù, probabilmente ai romani non era sfuggita la posizione strategica di quello sperone montuoso, e ci avevano mandato un presidio.

Immagine
Balze rocciose precipitano a valle, una sterrata resiste alla tentazione del bitume.

Ma dai tempi delle legioni ne sono passati di armati da queste in queste valli.
Non c’è strada che non abbia sul suo percorso una piccola lapide bianca, ovali consunti dagli anni con foto di giovani partigiani morti: dove ora corro felice in cerca delle mie emozioni, 60 anni fa miei coetanei e anche più giovani, guardinghi percorrevano gli stessi assi con l’ansia di essere scoperti da una pattuglia nazifascista…non saprei cosa dire che non sia banale.
Al muro della casa, sopra la fontana, altra lapide per il soldato Casolin, morto in terra d’Africa ad Adua, 1896: dalle valli venete all’Africa, per morire in nome di cosa? Un impero coloniale italiano: assurdo.
Chissà se il soldato Casolin era parente del Casolin minerario? Probabile…ovunque connessioni, intrecci di vite presenti e passate.

VERSO OVEST

Scendo in valle, risalgo il versante opposto, fermandomi, unico avventore in una osteria per la prima colazione.
Salgo quindi sul crinale tra la Valle dell’Agno e la val Chiampo, con l’intenzione di fare una certa mulattiera.
Con rammarico noto che l’hanno sbarrata, gli abitanti della vicina casa hanno teso fettucce con legati pali, e posto un cartello di divieto recuperato chissà dove; si vede che è roba “fatta in casa”, questi erano infastiditi dal passaggio delle moto, che, anche se non c’era alcun cartello, di li non potevano certo passare! D’istinto mi verrebbe da spaccare tutto e passare, poi ragionando penso sia meglio spostare delicatamente i palli e le fettucce, ma degli odiosi cani ringhiano a più non posso nell’aia, preferisco andarmene e imboccare la mulattiera più a monte, per una via alternativa, perdendo però il tratto più impegnativo e bello: grama la vita!

Per il resto è un bel viaggiare, anche sull’asfalto, fra queste contrade remote; noto con piacere che fra le molte case abbandonate, o in rovina, ci sono anche piacevoli ristrutturazioni: non solo seconde case che si animano pochi w-e l’anno, ma anche abitazioni pulsanti di vita, comignoli che fumano, altalene e giochi di bimbi sparsi nel prato davanti a casa. Mi piacerebbe poter fare altrettanto, ma non è facile! Siamo ad almeno 10 km di curve dal paese più vicino; paese, appunto: scuole dell’obbligo, qualche bar, qualche negozio, poste e uffici comunali, pochissime attività commerciali od industriali.
Vivere quassù ma essere condannanti a lavorar in pianura ti costringe, a te e alla famiglia, a decine di km al dì: è dura, solo chi è nato qui, e nemmeno tutti, ci riescono.

Immagine
Che bello seguire i fianchi della montagna accompagnati dalle antiche masiere.

Ai miei occhi pieni di stupore si apre l’anfiteatro terminale dell’alta Val Chiampo; l’orizzonte è chiuso da una corona di cime rocciose e glabre di vegetazione d’alto fusto, al più pochi arbusti. I valloni e i vaij più ombrosi sono ancora ingombri di neve. Più in basso i declivi hanno ancora l’aspetto marrone cenere dell’inverno, solo qualche campo ha già vestito il verde brillante degli erbaggi primaverili.
Magico.
Questo l’aggettivo che mi rendo conto essere più in sintonia con l’ambiente che mi circonda: la solitudine, il freddo, l’aspetto severo e un po’ minaccioso delle vette, i nomi stessi dei luoghi.
Dicevo i nomi; all’avvicinarsi al veronese compaiono nomi nuovi per le stesse cose, quale segnale più chiaro di uno stacco radicale? Un poggio qui lo chiamano “motto”, un monte tondeggiante “Purga”: quale arcano percorso linguistico ha prodotto ciò?

MAGIE E LEGGENDE

Quelle lette sui libri di storia locale, ma che vorrei tanto sentir proferire dalla bocca sdentata di qualche vecchio, che a suo volta le aveva sentite da suo padre, dal nonno, dal padre del nonno, a ritroso nel tempo in un fili senza fine.
Mi ricordo di un libro interessantissimo che non sono mai riuscito a trovare, gli atti di un convegno sull’immaginario popolare della Lessinia.
Gli orchi burlevoli, che possono essere giganti, o animali, o bastoni o sassi, per divertirsi a spaventare i malcapitati che avevano a tiro, ma qualche volta per aiutarli; le anguane e le fade, entità legate alle acque, probabile retaggio di credenze romane o anche più antiche.
Buone e belle le prime, che aiutavano le donne della Lessinia a fare il bucato, e non disdegnavano di confondersi con esse. Cattive e brutte le seconde, dal piede caprino: che fossero imparentate col diavolo in persona?
Ma le figure che mi incuriosivano più di tutte, anche perché non ne avevo mai sentito parlare prima, erano le “Genti Beate” di Giazza.

Immagine
Alta Val Chiampo.

Le Beate Genti, (Sealagan Laute in cimbro), erano creature vestite di corteccia d'abete che rischiaravano il loro cammino con un braccio umano infuocato; vivevano nella val Fraselle, e durante l’epifania attraversavano in corteo la valle e scendevano verso il paese di Giazza.
Gli abitanti del paese credevano che le Beate Genti stendessero una grossa fune attraverso la valle per stendervi sopra i panni del loro bucato, lanciando grida stridule per allontanare gli uccelli che potevano sporcare l’enorme mole di panni messi a stendere; inoltre le Genti Beate avevano il potere di influenzare il tempo e la capacità di far sgorgare l’acqua: vicini con cui andare d’accordo, quindi!
Me l’immagino, quella processione infernale scendere la valle, e gli impauriti abitanti rinchiusi nelle loro case, e solo qualche coraggioso ed incosciente bambino sbirciare dalla finestra gli spiriti, e poi, decine d’anni dopo, raccontare ai suoi nipoti “le ho viste, io le Sealagan Laute!”.
Ovviamente anche le Genti Beate avevano il loro tesoro, nascosto in qualche grotta della valle, guardato a vista nientedimeno che dal Diavolo in persona!
Fantastico.
C’è sempre un tesoro in ogni dove, nascosto nei meandri della fantasia umana, e cercarlo è sempre un’avventura; trovarlo non ha poi molta importanza, è partecipare alla “caccia”, il vero premio.
E il finale della storia?
San Carlo Borromeo, passando da quelle bande per recarsi al Concilio di Trento, venne supplicato dai montanari di liberarli dagli spiriti malefici. GENTI BEATE, ORCHI, FADE, ANGUANE furono cacciati e si nascosero per l'eternità negli antri della montagna.
Una chiara allegoria sulla Controriforma, risposta cattolica al luteranesimo, germe della caccia alle streghe, agli eretici, alle menti libere. Un filo sottile lega i processi alle streghe di Triora sulla Via del Sale ligure, il processo a Galileo Galilei e l’anatema contro le creature magiche della Lessinia.
Ma oggi, che l’alta valle è semi disabitata, che la chiesa, lo stato, la gente hanno ben altri problemi che le creature dell’aldilà, spero che le povere Genti Beate, gli Orchi, le Anguane e le Fade stiano un po’ meglio, e magari riescano a farsi un bel sabba di tanto in tanto, senza umani che interferiscono nelle loro cose!

Immagine
Chissà se qualche orco cimbro mi sta spiando da quelle crode!

Ma chi sono sti cimbri tanto nominati?
I "CIMBRI" erano un popolo di stirpe germanica che abitava l’attuale penisola dello Yutland.
In cerca di fonti d sostentamento si spostarono sempre più a sud, fino a scontrarsi con le legioni di Roma.
Nel 101 a.c., l'esercito romano guidato da Caio Mario riuscì a sterminare pressoché totalmente i Cimbri nella battaglia dei Campi Raudii alla quale parteciparono come combattenti anche le donne cimbre.
Alcuni storici dicono che i Cimbri sopravvissuti a questa tremenda sconfitta, rifugiatisi sulle pedemontane veronese e vicentina, fossero gli antenati dei Cimbri dei XIII Comuni veronesi e dei VII Comuni vicentini.
Ma la realtà storica è molto meno romantica.
La tesi più accreditata oggi è che le popolazioni di parlata germanica nelle montagne veronesi e vicentine siano discendenti da coloni di origine basso-bavarese, chiamati in queste zone a partire dall’anno 1.000 tramite le abbazie benedettine e i grandi feudatari tedeschi.

Immagine
Contrade dell’alta val Chiampo.

IN CIMBRICUM TERRITORIUM

Comincia la lunga discesa verso il fondovalle, che qui si restringe a guisa di canyon.
Grosse contrade si fronteggiano dai lati opposti della valle, adagiati in ristretti altipiani sospesi sui precipizi del fondovalle.
Sono contrade che un tempo erano quasi un mondo, talmente lontane dal paese che si erano dotate non di semplici capitelli, ma di veri e propri oratori e piccole cappelle con tanto di campanile in scala, in cui dire messa; un tempo la chiesa primeggiava fra le esigenze della gente: oggi probabilmente ci preoccuperemo di innalzare un ripetitore per captare i segnali tv/cellulare/web!
Le strade moderne seguono la loro logica, per costare meno spesso fanno percorsi più lunghi, cercando il favore del terreno, e preoccupandosi più di collegare il centro alla periferia.
Ma le vecchie contrade si intendevano anche tra di loro, non solo col paese; ecco che la rete di sentieri di collegamento si stende negli anfratti insospettati, lasciati a se stessi dalla viabilità moderna.
E allora scendo, lungo gli antichi sentieri dei Cimbri, fatti di sasso e terra, aggrappati magicamente alla ostile montagna.

Immagine
Signori, si scende.

Immagine
Campodalbero.

Immagine
Ma quanto è bella questa contrada, raggiungibile solo da sentieri?

Immagine
Passaggio tosto, con l’enduro, soprattutto da soli; per fortuna lo dovevo affrontare in discesa.

Immagine
La mia collezione di capitelli si arricchisce sempre più; questo ha la fontana con volto annesso: bellissimo!

Immagine
Le statali del medioevo.

Raggiunto il fondovalle, tento la salita al versante opposto per un sentiero noto, ma c’è la sorpresa; un tronco atterrato mi costringerebbe ad una improba fatica per superarlo, ma sarebbe fattibile; ma il sentiero par sconvolto rispetto all’ultima volta che ci sono transitato, salgo a piedi in esplorazione e quel che vedo non mi piace.

Immagine
Di qui forse di passa…spingendo un po’.

Immagine
Ma di qui proprio no…

Immagine
…vedete la mia tristezza infinita per questo?

OK, si cambia strada; una facile via, mezza sterrata, ,ma oramai mezza cementata e mezza asfaltata, (mezzo più mezzo più mezzo fa uno e mezzo, come è possibile direte voi? Ma dimenticate che qui la magia la fa da padrone, tanto che l’unità può essere divisa in 3 mezzi!)

Immagine
Le case dalle finestre che ridono.

Sbuco in una contrada spettrale; i tetti sono di recente fattura, ma le vuote orbite delle finestre sembrano seguire il viandante; non una persona in giro, ma cani che latrano furiosi nascosti alla mia vista.
Meglio allontanarsi, magari con una preghierina alla Madonna:

Immagine
Cippo votivo della Lessinia.

Se ne incontrano tante, vagando per sentieri e campagne, nei dossi, nei crocicchi o davanti alle contrade, di queste colonne votive; arte popolare, alte circa un metro e mezzo, con una edicola con raffigurata la Beata Vergine con Bambino, o i santi S. Rocco e S. Sebastiano, preposti alle malattie e al contagio, oppure S. Valentino, protettore degli animali e contro l'epilessia.
Ma non è facile interpretare quelle figure, e mi vien da pensare, con rispetto, che magari grattando sotto la vernice di un cristianesimo ufficiale, non si trovi una Fada o una stria nascosta nella colonetta.

Immagine
Intanto che ero perso nei miei pensieri tra una fada e un’anguana ho fatto il giro della valle!

Come detto in apertura, sto facendo un giro sul “pettine” formato dalle dorsali delle valli vicentine e veronesi. Ho indugiato fino adesso nelle parrti più remote ed alte delle valli, ora è tempo di scendere uno dei “denti” del pettine.
Mi lancio sulla dorsale tra il Chiampo e la valle veronese dell’Alpone, in direzione pianura.
Mulattiere fangose, sassi malagevoli e viscidi, sentieri monotraccia dal fondo d’argilla, piste da cross abusive, sterrate bianche e rosse.
Mi fermo a pranzare al “Ristoro Sport bar Ciclamino”, già il nome mi entusiasma.
Sono in vetta al monte Calvarina, quasi 700 metri, una montagna tondeggiante di origine vulcanica che sovrasta la città di Arzignano.
La cima del monte è occupata da una base militare in disuso, invasa dai rovi; l’edificio del bar credo che fosse parte delle strutture militari, riconvertito ad uso civile.
Niente fronzoli, niente eleganza, il posto adatto ad un endurista; sono l’unico avventore, 2 ciclisti se ne vanno quasi subito.
La signora del bar ha pure utilizzato alcuni tavoli del bar per stirare, c’è l’asse posata sul tavolo, i vestiti sull’altro: più pane e salame di così.
Considero l’opzione panini, ma forse un piatto di fettuccine ai funghi mi darebbe più energia; alla fine sarà tale piatto come primo, in più 2-3 rosette di pane, per secondo un vassoio di pancetta, soppressa, formaggi, e solo un quarto di vino, caffè, niente dolce: grama la vita!

Immagine
Dorsale Chiampo-Alpone.

Immagine
Verso la pianura.

Immagine
Incontri in fuoristrada.

Immagine
Le trattorie che preferisco.

Immagine
Non ho avuto pietà: ho combattuto e vinto anche oggi l’anoressia!

Ritorno in sella.
Di fronte a me le colline che scendono fino a Gambellara e Montebello, praticamente il giardino sul retro del mio amico Frasca.
Zone che non conosco quasi per niente, a dire il vero; o torno da dove sono venuto, o scendo in valle; la seconda.

Immagine
Cavatori al lavoro.

Zone che non conosco quasi per niente, a dire il vero; o torno da dove sono venuto, o scendo in valle; la seconda.
Nelle mie prime esplorazioni in zona attraversavo le valli trasversalmente, cercando sentieri e sterrate che valicassero da una valle all’altra; poi mi resi conto che era più proficuo stare sempre sul crinale, ed abbandonai la mia prima strategia.
Però ora mi torna utile un vecchio appunto che avevo fatto a matita sulla carta topografica, relativo ad una discesa diretta Dal Calvarina a Montecchia di Crosara.
Imbocco quella che dovrebbe essere la capezzagna fra i campi e i boschi che scende in valle, ma invece prima sola, poi scende. Poi si mantiene in quota, attraversando innumerevoli vitigni che sono la ricchezza di questa terra.
È difficile navigare tra le coltivazioni, perché tutte le tracce sono battute in egual modo dai trattori; di solito un fondo poco marcato lascia supporre scarso passaggio e probabile vicolo cieco della sterrata; un fondo ben calcato lascia al contrario presupporre una via di sbocco.
M qui questa regola non è più valida, sono precise precise le tracce che muoiono in un campo e quelle di collegamento fra i poderi.
Finisco pure dentro un cantiere forestale, di cui fatico a capire l’obiettivo; un pendio erto è staot messo a nudo dalla vegetazione, gli operai hanno acceso fuochi attorno a cui si scaldano seduti in terra sparsi nel declivio.
Ci fissiamo muti come cani che studiano l’avversario, stavolta sono io a mettere la coda tra legame, giro l’XR e torno da dove sono venuto.
Stanco di girare a vuoto, scendo per asfalto in paese, poi risalgo il versante opposto della valle dell’Alpone per una strada da supermotard, fino a riguadagnare il crinale.
Posso ora riprendere a risalire il “dente del pettine”, tutto in off.

Immagine
Primo Segnavia: ripetitori.

Non è difficile seguire la rotta: sempre dritti, fino alla fine!
Ripetitori di segnali radio, croci cristiane, elettrodotti, castelli e contrade fanno da punti di riferimento.

Immagine
Il castello D’Illasi.

Immagine
Illasi: tassello & castello.

Immagine
Secondo segnavia: le croci.

Immagine
Terzo segnavia: elettrodotti.

Immagine
Il mare d’erba.

Ingrandite questa panoramica: non potrei spacciarla per qualche terra esotica, chessò, le steppe dell’Asia centrale, le pianure immense del Nord America? Non si vedono strade e paesi, solo dorsali di colline erbose che come immense onde si inseguono une con le altre.
Per la 3° volta inverto la rotta di 180°: riprendo a scendere verso la pianura, cavalcando l’onda dell’ennesima dorsale collinare.
Aeree sterrate fra pascoli primaverili, poi dentro a capofitto in boschi decidui, infine di nuovo immersi in boschi, stavolta di pini marittimi da rimboschimento artificiale, che pare di essere in pineta sull’Adriatico, attraversando coltivazioni di onnipresenti viti, fino a raggiungere nelle quote più basse gli oliveti: una cavalcata fra gli odori e i colori della natura.

Immagine
A volte anche in moto si può volare.

Immagine
Olivi e castelli.

Dei simpatici boscaioli interrompono la mia corsa a pochi metri dall’arrivo; poco male, per scendere dalla collina scopro un sentierino breve ma divertente; sono arrivato nella verdeggiante Val d’Illasi.

Immagine
Boscaioli al lavoro.

Il sole comincia la sua discesa verso occidente, devo pensare al rientro.
Ma voglio “cercare un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab” come cantava Modugno;
e la trovo nelle campagne al centro della valle, nella fattispecie il Progno d’Illasi, che altro non sarebbe che il torrente che forma e percorre la vallata, l’Illasi.
Perché “Progno”? Saperlo!
Fatto sta che i rii dell’area lessinica e della Valpolicella sono chiamati così: sul web ho trovato che l’origine dell'etimo di "Progno" è "pronus", "inclinato", da intendere come "torrente"; però per buona parte del suo corso scorre in piano, non mi sembra tanto azzeccato come nome…
Come tutti i torrenti che percorrono aree carsiche e d’alta pianura, anche questo è praticamente sempre in secca, una distesa di ghiaia bianca nella verde campagna.
Non è largo come i cugini friulani, al più 200-300 metri nel punto massimo, ma quanto a impegno di guida si difende bene e non ha timori reverenziali verso altre distese sassose più blasonate.

Immagine
Progno d’Illasi: uno scampolo di deserto nel veronese.

Il greto è un continuo alternarsi di fondi agli estremi opposto; dalla ghiaia finissima, dove le ruote affondano, e dove il manuale di guida direbbe di accelerare per trovare trazione e alleggerire l’avantreno, si passa in poche decine di metri a distese di sassi grossi come meloni, dove la moto scarta improvvisa ad ogni colpo delle pietre.
È un’ottima palestra per sospensioni della moto e muscoli del pilota, chi va forte qui ha il mio plauso.
Sinceramente dopo qualche centinaia di metri di questo supplizio non resisto più, avverto netto un calo delle forze, sono circa 140 km che guido quasi sempre in off. Approfitto di uno dei numero si guadi di strade campestri che si aprono negli argini del Progno per uscire dalla sassaia; ma non abbandono del tutto il mio piccolo deserto, continuando a costeggiarlo per una sterrata molto più rilassante.

Immagine
Non pare, ma l’è dura qui dentro…

Immagine
…optiamo per l’argine, meglio!

Il Progno segna il limite occidentale di questa giornata di enduro; ritorno verso il vicentino, percorrendo in parte gli stessi itinerari, abbreviando e accorciando dove possibile.
Alla fine saranno 180 km, percorsi sul filo della storia, della memoria e della leggenda: così intendo il vagabondare fuoristrada.

Immagine
Verso casa.

Ciao
Alves

IN LONTANE LANDE

Inviato: gio 03 apr, 2008 3:31 pm
da acasile95
posti stupendi complimenti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

IN LONTANE LANDE

Inviato: gio 03 apr, 2008 8:28 pm
da alp
Come al solito, Alves ci vizia coi suoi reportage. Paesaggi, storia, miti e leggende avvolgono i racconti del nostro Endurista Errante. Il mito di Ender attraversa migliaia di chilometri sul filo della memoria nel suo vagabondare fuoristrada.

E’ sempre bello assistere a queste “lezioni di motoalpinismo puro”. E a questo proposito ho da chiedere alcune domande al Grande Maestro:
1. Che tipo di sterrata è la capezzagna?
2. Se ho ben capito le masiere sono i tipici muretti a secco che servono a dividere le proprietà e a terrazzare i terreni inclinati, tipici della Liguria. Mi sbaglio? Ma non ho capito cosa intendi per…
3. boschi decidui(?)

Grazie ancora per le tue splendide storie. Il bello è che c’è sempre da imparare!

P.S.: a proposito della tua citazione delle parole di una famosa canzone: “cercare un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab” come cantava Modugno (ehm, scusa l’appunto ma era Celentano).

IN LONTANE LANDE

Inviato: ven 04 apr, 2008 10:27 am
da SuperHank
Allora:

1.è un termine derivato dal dialetto “capezzagna” “cavedagna” e altre varianti che ora non ricordo bene; su internet è difficile trovare una definizione, dovrei guardare sui miei libri di storia locale.
Sarebbero in origine i percorsi di accesso ai campi, le tracce di terra battuta che dividono un podere dall’altro. In senso lato utilizzo il termine per indicare tutti quei percorsi compresi tra la sterrata dal fondo di ghiaia o terra battuta, percorribile anche da auto normali, e la mulattiera/sentiero, percorsi accessibili solo ad animali e mezzi a 2 ruote, al massimo un quad o i piccolissimi trattori agricoli. Chiaramente è una tipologia di strada più facilmente ritrovabile in campagna di pianura o in collina e media montagna, in alta montagna dove il terreno è impervio di solito abbiamo o sterrate o mulattiere/sentieri. Diciamo che il termine italiano più vicino è “carrareccia”, credo…

2.Si, le masiere sono muri a secco fatti con pietra locale che servono a terrazzare i pendii per aumentare e livellare in piano la superficie coltivabile.
3.Sono i boschi di caducifoglie: http://it.wikipedia.org/wiki/Deciduo

4.“Azzurro” l’ha scritta Paolo Conte, e io ascolto di solito la sua incisione in un suo “The Best” che ho; mi sono confuso con “Volare” di Modugno, ovviamente è stato Celentano a portarla al successo.


Ho cancellato il tuo messaggio doppio.

Grazie dei complimenti, anche a me piace leggere i tuoi report con le vicende della Sila, come quello dove citavi il viaggio dello scrittore inglese.

Ma che mi dici dell’altro report, dove ho provato la CRF 230 EASY?
Le impressioni di uno smanettone che va a sterrati con un Ducati 750 sotto al sedere, in sella ad una motina da 23 cv!
Per completare la panoramica del settore dovrei provare anche le Alp 200-350…

Ciao
Alves