IN VIAGGIO CON PAPA’
OVVERO LO ZEN E L’ARTE DI SOPRAVVIVERE ALLA SFIGA!
Potrei ispirarmi per questo viaggio in miniatura a qualche tomo immortale della letteratura mondiale, che so, a R. Pirsing e al suo intramontabile “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, in cui compie un viaggio attraverso l’America con una coppia di amici e suo figlio a bordo; oppure a qualche altra avventura letteraria in cui sono protagonisti padre e figlio.
Ma io mi sento moltoooo meno serio, per cui credo di essere più affine alla coppia Sordi – Verdone de “In viaggio con Papà”!
Ed infatti non ci siamo fatti mancare sfortuna a iosa!
FATHER & SON
Era da un pezzo che non facevo un viaggio in moto.
Oddio, il Cadore è praticamente dietro l’angolo di casa, ma stare fuori anche una sola notte da un sapore speciale all’avventura. La sera del primo giorno sai già che non ti aspetterà, presto o tardi, il rientro alla normalità della vita quotidiana, ma ti fermerai in qualche luogo, possibilmente dimenticato da Dio, in cui assaporare l’avventura appena conclusa e quella che riserverà l’indomani; si, perché il giorno dopo ci si sveglia, e subito l’avventura riparte, immediata e pungente come l’aria fredda in montagna all’alba!
Dicevo che era tanto che non rimanevo fuori la sera: famiglia, figli piccoli, lavoro …
Nelle gare del triveneto ero rimasto spesso fuori a dormire la notte, ma non fanno testo: raggiungere una certa località in auto con la moto sul carrello non fa viaggio, è solo un “trasporto”!
Intanto però i bimbi crescono, e vogliono andare in moto, per fortuna mia!
Dapprima sono stati pochi secondi in sella nel cortile, poi giri di qualche km intorno alla città, finalmente il grande balzo in avanti di uscite “all day long” con la partecipazione ai raduni SORMOG sul Grappa del 2006 e 2007! Quest’anno Matteo ha 12 anni, fisicamente si è irrobustito notevolmente, lo ritenevo già in grado di affrontare la fatica di più giorni in sella.
Ma c’era anche dell’altro, oltre alla mia scontata voglia di moto: la necessità di fare qualcosa insieme, solo io e lui. Con la 1° media l’adolescenza è arrivata a spron battuto, con tutto il corollario di contestazione giovanile su abbigliamento, musica, permessi, orari … un viaggio in moto, una esperienza forte condivisa, avrebbe contribuito a riavvicinarci, ad apparire ai suoi occhi non solamente come un “ente” che detta regole e comportamenti.
Ero però dubbioso, mi domandavo se avrei trovato entusiasmo oppure no; a parole da anni dice di amare le moto, ma io so che nel suo cassetto dei desideri c’è altro: si, quando siamo tra amici motociclisti dice che a 14 vuole lo scooter, o che a 18 vuole il chopper da metallaro (?!?), ma son chiacchiere tanto per parlare, quando è con i suoi coetanei i discorsi sono su musica, cantanti, MP3, videogiochi, consolle, cellulare … e i capricci sono sempre per queste cose, immediate e facilmente spendibili di fronte agli amici per farsi vedere.
Per rendere l’avventura più avventurosa avrei voluto dormire all’addiaccio, piantare la tenda in qualche bosco perduto, accendere un fuoco in un cerchio di pietre, cucinare una zuppa ai fagioli alla maniera dei cowboys, svegliarsi alle prime luci dell’alba … ma molto più banalmente ho optato alla fine per un alloggio! Troppi erano gli accessori che mi mancavano, troppe le variabili da considerare, poco il tempo per preparami, purtroppo …
DOVE ANDARE
Come meta avevo, fin dall’anno scorso, scelto le Dolomiti, il Cadore, la Carnia.
Non a caso: lo sanno anche i sassi che sono tra le mete più belle, gettonate e scontate per un giro in moto, ma non tutti sanno che, pur in quel delirio di parchi naturali e oasi protette, ci sono ancora alcuni percorsi su fondo naturale aperti alla circolazione di mezzi a motore! per un cacciatore di sterrati quale sono, la possibilità di impolverarmi per qualche km ai piedi di un 3.000 dolomitico mi eccitava di più che 100 km di fuoristrada estremo in delle solite banali colline o Prealpi!
Negli ultimi anni a più riprese sono apparse descrizioni di questi percorsi su Motociclismo, M. Fuoristrada, Speciale Itinerari: con l’aggiunta di una dozzina di mappe 1:25.000 e 1:50.000 andavo sul sicuro.
In soldoni si trattava di percorrere alcuni sterrati che conducevano a rifugi di media montagna o a malghe tuttora funzionanti come tali e/o posti di ristoro: tutte attività che lucrano anche sul turismo di quelli che li raggiungono motorizzati, non solo “pedibus calcantibus”!
Però, c’è sempre un però: una sirena mi chiamava da lontano!
Il mio amico Nik aveva sempre pronto un letto per me in quel di Labin, Istria croata, dove vive e lavora, anzi, se andavo da lui in moto avrebbe fatto il possibile per portare laggiù il suo CRF230, o la limite affittare una moto in loco.
L’Istria selvaggia, il suo interno desolato! Le spoglie isole del Quarnaro, le foreste della Slovenia!
Nella mia mente si delineava un giro grandioso: 1 giorno per raggiungere Nik, magari entrando in Slovenia a Gorizia o a Caporetto, e ripercorrere tutti gli sterrati dei viaggi del 1995 e 1997: il monte Nanos, la selva di Tarnova, il lago Circonio, gli sterrati del monte Nevoso e della Ciccaria! Parliamo di un tappone da 500 km, minimo!
Il secondo dì, con Nik, Istria interna, o le isole; il terso giorno ritorno a casa, magari passando per dove non si era riusciti nella prima tappa.
Sognavo ad occhi aperti … ma non avevo 3 gg disponibili; e Matteo avrebbe retto ad una simile maratona? e avrei retto io? Nel 95, col 125, avevo fatto il giro delineato nell’ipotetico 1° giorno e ritorno, 1.200 km, in 6 giorni! Vabbè che ora ho un 750, ma sarei riuscito a portare la media di percorrenza da 200 km al giorno a 600? ? E avrebbe retto il vecchio Cagiva, con tante magagne da sistemare, se si fosse rotto in una isola dalmata? Nel 97 in Croazia persi 3 giorni per una camera d’aria forata!
Rinunciavo alla generosa offerta di Nik … ma è un rinvio, vedrete l’anno prossimo …
FALSA PARTENZA
Per rendere la sorpresa più sorprendente, non svelavo le mie vere intenzioni a Matteo, lo invitavo al solito giro in moto in giornata.
Avevo programmato la partenza alla mattina, diciamo tarda: avevo tutto da preparare…poi si sono messe in mezzo le donne.
La prima è stata la signora delle pulizie, venuta a rivoltarci la casa proprio quella mattina; poi mia moglie si inventava di andare quel pomeriggio stesso a Gardaland con sua sorella e le nostre 2 figlie, per diciamo “compensare” la bambina grande dello speciale regalo che stavamo facendo a Matteo. Chi ha avuto bimbi, sa che partire per Gardaland, come per qualsiasi altro posto, con una infante di 16 mesi comporta maggiore attrezzature e fatiche che prepararsi per attraversare il Sahara piedi!
Da buon padre di famiglia collaboravo a ciò, e si finiva che le donne partivano alle 14.20, noi maschi alle 14.45!
OK, l’ottimismo regnava comunque, anche Matteo che quando aveva candidamente chiesto perché portavo via tutta quella roba era caduto dalle nuvole alla realizzazione del pernotto fuori, e gli si era aperto un sorriso così grande che stava a significare tutto.
PARTENZA!
Rumoreggia l’acciottolato ottocentesco della nostra via sotto ai tasselli del Cagiva, si aprono le vie della periferia al passaggio della moto, si specchiano sulle visiere le fabbriche della zona industriale, si impenna verso i 100 orari la lancetta del contagiri sulla tangenziale, si scaldano i freni all’approssimarsi della grande rotatoria di svincolo…quando inaspettatamente l’avantreno oscilla in modo anomalo, come se avessi bucato…infatti ho bucato la gomma anteriore! Dopo 10 km!
Dentro la testa tiro giù tutti i santi del paradiso, ma poi mi dico “stai calmo, dai il buon esempio al ragazzo, sangue freddo e self-control!”.
Ho con me tutto l’occorrente per la riparazione, ma quando ci sono 36° e un gommista a 100 metri, voi che fate? Io scelgo la vita, pagare 36 euri al gommaiuolo e non morire disidratato come un cammello tunisino in mezzo al Grande Erg Occidentale!
Ma non poteva essere una normale riparazione, doveva diventare una sit-com!
10 km e sono già fermo al box, porca trota!
Non è un gommista di cui avevo sentito parlare nel giro dei motociclisti, stradali e non; ma la struttura è grande, deve essere uno specializzato in auto e mezzi pesanti.
Mi affidano alle cure del garzone, del mozzo, insomma del più giovane. Il mio gommista di fiducia ha una pedana apposta per le moto, con bloccaggi per le ruote, e alternando i cavalletti butta su e giù i copertoni come niente fosse.
Questo qui no; prima mi fa spingere la moto su di una pedana, poi le va sopra con una specie di paranco dotato di motore elettrico, fissa un gancio al traversino del manubrio e tenta di sollevare l’anteriore, ma mi piega il traversino!!!!!! Allora cambia strategia, cerva di passare una fettuccia sotto al manubrio ma non c’è spazio sufficiente per distendere correttamente il nastro.
Arriva il vecchio, gli fa tirar giù tutto, e posiziona sotto alla forcella un aggeggio che andrebbe ad agganciarsi al buco del canotto di sterzo, per poi sollevare la moto; ma è un attrezzo troppo corto, la ruota da 21’ delle enduro non ci sta, è studiato per le piccole ruote delle moto stradali!
Alla fine riesce a posizionarlo in modo tale da alzare la moto, io sono li che tengo il ferro con la paura che mi caschino addosso 2 quintali di ferro, Matteo in scazzo totale si legge un libro di racconti di Rodari sotto l’ombrellone, fra pile di penumatici!
Ora il mozzo ha la ruota in mano: il lavoro sporco (e duro) a lui, il lavoro di fino al vecchio; gli faccio stallonare la gomma, controlliamo assieme ma non c’è traccia di corpi estranei, le teste dei raggi sono posto, il ferma copertone pure: un foro inspiegabile, se non con l’usura della gomma, vecchia chissà quanto…
Finalmente il gommaiulo all’opera! Notare a sx il paranco con cui ha tentato inutilmente di sollevare il 750.
In fase di rimontaggio il mozzo si lascia andare a confidenze. Mi fa:”Ci si diverte con queste moto, anch’io ne ho una così!”. Non so che dire, annuisco e aspetto la rivelazione di quale mezzo abbia, glielo chiedo:”Ho una Gilera, una Gilera RRT NEBRASKA! Come che va, la mia ha il motore da competizione! Ma la morosa non le va tanto, allora la tengo su in montagna e vado in giro a boschi!”.
Sarò onesto; la prima reazione è di stizza, ma come fa questo bel tipo a mettere sullo stesso piano la mia poderosa Cagiva Ducati 750 col Nebraska? Ma lo ricordate il Nebraska? Era il modello enduro stradale della Gilera intorno al 1986-7, aveva un faro quadrato completamente carenato, col la carena anteriore che scendeva fino ad integrarsi col para coppa, simil moto da strada, ma il motore completamente a vista; aveva il solito motore 125 2T derivato dall’Arizona, non credo avesse già la valvola allo scarico ma forse si, comunque era una onesta motoretta da 21-22 cv alla ruota, la competizione non sapeva nemmeno dove fosse di casa!
Ma poi mi si intenerisce il core, per questo guaglione che nel 2008 è tutto preso da una moto di 20 e passa anni fa che, ricordo bene, nel lontano 90-91, quando ero alla ricerca del mio primo 125, schifavo perché vecchia di oltre 3 anni, col freno posteriore a tamburo e solo 22 cv!!
Vai vecchia NEBRASKA, continua a correre per le sterrate dell’altipiano, non fermarti mai.
Old Nebraka enduro, yeah!
LONG WAY BELLUNO
Il Cadore è vicino, ma non troppo. Bello sarebbe stato raggiungerlo attraversando le Prealpi per stradine secondarie, magari sterrate, ma il tempo detta legge e ci facciamo al superstrada Gasparona fino a Bassano, la superstrada Valsugana, il tunnel di Arsiè e la SS per Feltre e Belluno.
Un incubo orribile! Traffico intenso, mezzi pesanti, sorpassi troppo pericolosi per farli, caldo atroce; a Feltre mi fermo in un negozio lungo strada per comprare un sacco lenzuolo, tale è il traffico che non riesco a rientrare in strada per lunghi minuti: non è un bel viaggiare, a queste condizioni forse rinuncerei a girare in moto; non mi stupisce il boom del fuoristrada di questi ultimi anni, asfalto intasato peggio della spiaggia di Rimini a ferragosto, meglio un bosco solitario o quasi.
Matteo è stanco, mi chiede quanto manca.
Ci si mette pure una pattuglia della polizia in moto, che mi si piazza dietro e dopo un po’ inizia a farmi strani gesti con le mani: oddio, che sia il policeman ricchione dei Village People? Ora mi fermerà, mi multerà per l’ingombro eccezionale del mio tir a 2 ruote? No, alfine mi affianca per dirmi a voce che ho una freccia in funzione, visto che a segni non capivo.
Finalmente, a 10 km da Belluno, la svolta; entriamo nella valle del Mis, via secondaria per raggiungere Agordo.
IL MIS
Il torrente Mis scorre in una stretta forra fra le montagne, ma nella parte terminale la valle è occupata da un bacino artificiale dalle acque verdi, e bello costeggiare lo specchio d’acqua, pare quasi di planarvi sopra, l’aria è fresca, numerose gallerie spezzano la visione del lago, gallerie dalle pareti e soffitto di viva roccia, gocciolante su di noi; gallerie strette e lunghe, dove prestare attenzione agli incroci con altri veicoli.
Dove termina il lago una sterrata scende lungo il torrente, quando la imbocco sento Matteo esclamare “Evvai, finalmente fuoristrada!”; mi commuovo, ma è solo una sosta acqua pipì!
La valle è disabitata, la costruzione della diga ha sommerso le poche contrade, lo spopolamento della montagna ha fatto il resto.
Canale del Mis: finalmente si ragiona!
Uhuu, ci dobbiamo infilare proprio in quella gola!
Dopo il ponte la strada si fa avventurosa, pur se asfaltata: una sbarra che la chiude quando non ci sono le condizioni di sicurezza per percorrerla, soggetta a frane, con limiti precisi di larghezza e altezza per i mezzi in transito, causa gallerie ancor più strette di quelle bordo lago.
Bella, bella!
Gallerie strette, gallerie con curve, gallerie di roccia viva, strada intagliata nella roccia, cascate dalle pareti della valle, montagne di cui non si vede il termine, acqua limpida come il cristallo.
E quando il canyon ha fine, ci si trova in una valle fuori dal mondo, con minuscoli paesini e contrade che ci si stupisce che siano abitati, a così tanti km da un paese con un minimo di servizi.
Forse è un po’ di anni che hanno cessato l’attività…
Photo delle Gallery
Il mio co-pilota.
Che voglia di un tuffo in quelle acque di un incredibile color giada… (ma da moltoooo più in basso!)
Scolliniamo alla forcella Franche, poco sotto il passo Cereda, e scendiamo verso la capitale dell’occhiale, Agordo.
STERRANDO VERSO IL CADORE
Sono le 19.00, il sole va calando, abbiamo ancora un’ora secca di luce; pieno al Cagiva, pile di scorta per il GPS, e via all’attacco del passo Duran, per raggiungere la Valle di Zoldo prima del buio.
Canticchiando le Hit dei Duran Duran ( mi pare doveroso su un passo che porta il loro nome!) scolliniamo ai 1.600 metri del Duran, rispettabile altezza; anche se mio fratello mi dirà di averlo fatto con il Kawasaki ZXR, non è tracciato da supersportive, ma da motard ed enduro: carreggiata stretta, continue curve e controcurve senza alcuna logica, sporco a terra, crepe e buche e animali al pascolo.
Passo Duran, 1.600 metri; già chiamato “passo del della Nutria” fu rinominato e dedicato all’omonimo gruppo dopo il celebre live del 1988 dei Duran Duran a Forno di Zoldo!
Foto ricordo al passo e giù verso Forno di Zoldo. Dallo Zoldano la via più diretta per il Cadore è il passo Cibiana, ma io opto per una via alternativa che attraversa le foreste fra il monte Rite e il Pelmo. In molte mappe a piccola scala nemmeno è segnata, in quelle precise a volte è segnata come sentiero, in altre è carreggiabile, in altre è vietata: staremo a vedere.
Tutte le mappe concordano comunque che il punto di partenza della strada o sentiero che dir si voglia è il paese di Zoppè di Cadore, il primo nel mio viaggio che si fregia del genitivo “Cadore”.
Aggrappato in cima ad una vallata verdissima, interamente ricoperta di boschi, appare così, all’improvviso dopo km e km in solitaria nel bosco, senza nemmeno una contrada o una casa: non oso pensare ad un guasto in questo momento. Unico incontro nel tragitto un numeroso gruppo di adolescenti di un campo scuola con tanto di suore al seguito. Pensando ai loro piedi sfiniti nei scarponi molti di loro, soprattutto i maschi, guardano con invidia a noi in moto (c’erano delle facce, soprattutto fra le ragazze, veramente distrutte!); io invece ho nostalgia osservandoli, vedendo le loro risa, le loro facce, qualche mano intrecciata all’altra, i loro cuori e menti pervasi da insostenibili pensieri, gli amici, quella ragazza, la moto, quella marmitta da comprare, quel concerto da non perdere, qualsiasi altra cosa veramente importante, non come me che ho sempre in testa cazzate come il tarlo del mutuo, dell’Euribor che sale, del target da raggiungere … e parlo sul serio!
A Zoppè trovo la strada che cerco; fa parte di un percorso naturalistico, “l’anello Zoldano” mi pare, ma è asfaltata e transitabile. Peccato sia asfaltata, non capisco: è larga solo un paio di metri, immersa dentro una foresta di abeti altissimi, che già anticipano la notte che fra mezzora scenderà del tutto. siamo a oltre 1.300 m.s.l.m, ogni tanto qualche radura fa intravedere montagne e vallate in cui non si scorgono presenze umane, è emozionante. Sul culmine del crinale sorge il rifugio Talamini, dove ho intenzione di pernottare.
ma prima il colpo di scena che non mi aspettavo: la strada diventa sterrata!!
E vaiiiii! Primo sterrato in Cadore al tramonto.
Monte Rite fra la nebbie.
Un facile sterrato di terra e ghiaia battuta, dove la moto corre tranquilla; tante curve secche, qualcuna lunga e distesa, pochi rettilinei, poche buche ma tante canalette di scolo dell’acqua; ogni tanto riappare l’asfalto, ma poi torna lo sterrato, così, senza una logica precisa. Ma che bello, sterrare al tramonto in una foresta a oltre 1.500 metri di quota.
Curva, sterrato in discesa, si passa la forcella ed ecco il rifugio Talamini: chiuso. Chiuso per ristrutturazione ed ampliamento. Il mio solito culo: prima la foratura, ora il rifugio chiuso, e non c’è 2 senza 3…svanisce il progetto di pernottare in questa solitaria foresta in mezzo alle montagne. Matteo è stanco, io pure, abbiamo fame, non abbiamo mangiato nulla dal pranzo, sono quasi le 20.00, il sole è già calato ad occidente e solo i raggi che scavalcano le montagne rischiareranno ancora per un poco la vallata. Piano B: scendere a Vodo di Cadore e cercare una pensioncina, una zimmer, un B&B per la notte.
BREAK DOWN BRAKES!
Ma non c’è 2 senza 3: la discesa è da paura e spavento! La parte alta è asfalto misto sterrato, ma adesso lo sterrato è pessimo, pieno di buche e canali scavati dall’acqua, molto impegnativo con una moto da 2 quintali, passeggero e borse; e l’asfalto è pure peggio, sconnesso, crepato, alzato dalle radici, sporco di “giara”; ci sono ogni tanto piccoli gruppi di “tabià”, baite, a volte abbandonate, a volte riattate a casa vacanza, e assurdamente spesso la strada è sterrata fra le case e asfaltata fuori.
Più a valle c’è ovviamente solo asfalto, il fondo così così ma è la pendenza ad essere esagerata, nonostante scenda in prima seconda sono costantemente incollato ai freni.
Il primo che mi molla è il posteriore: il pedale scende a fondo corsa senza la minima presa sulle pastiglie, come se non ci fosse olio! Fra moto, equipaggio, bagaglio ci sono 400 kg, 4 quintali di peso sul singolo disco posteriore, pur se pinza è a 4 pistoncini. Tremo all’idea che anche lui mi possa abbandonare, ma ormai la strada è quasi finita, si intravedono i tetti di Vodo, ma d’improvviso la moto prende giri senza che abbia accelerato, la leva del freno posteriore arriva a toccare la manopola, è andato anche il freno anteriore!!!!!!
Una scarica d’adrenalina mi scuote, inserisco la prima, il motore si imballa ma non basta, la moto tende ad acquistare velocità, tiro e mollo la leva del freno, fa un minimo di presa sul disco, si e no un centesimo della potenza usuale, è come fermare un tir con i freni a pattino di una bicicletta!
La strada a lato presenta una fascia di sterrato ampia un metro due, poi una sottospecie di muretto a dividerla dal sottobosco vero e proprio; vado sopra il fondo naturale, che mi rallenta abbastanza; la moto perde velocità e dopo 3-4 metri sterzo deciso verso il muretto, la forcella si impacca nemmeno troppo sui sassi, riesco a stare in piedi: siamo fermi, siamo SALVI!
Il sorriso ebete che esibisco è dovuto alla paura ancora da smaltire; Matteo ha definitivamente rinuciato a togliersi il casco: lo terrà anche in camera al rifugio.
Eccoci qui, fermi con una moto senza freni in un bosco del Cadore, al buio, senza cibo ed acqua, ad aspettare che i freni si raffreddino. Quando l’impianto riprende vita la notte è scesa, procediamo verso Vodo di Cadore. Ivi l’offerta di alloggi è limitata, tanto vale andare fino a San Vito di Cadore, pochi km più a monte. Ovviamente il centro della cittadina pullula di resort, hotel, alberghi e pensioni, ma quando vedo l’indicazione per i rifugi Scotter Palatini e San Marco, ubicati su una delle sterrate alle pendici dell’Antelao, la tentazione di salire è forte; ma devo fare il buon padre di famiglia devo occuparmi di nutrire Matteo e farlo riposare.
M:”Ma non andiamo a dormire in rifugio?”, deluso.
A:”Ma te la senti di fare ancora strada?”.
M:”per me si, poi in rifugio è più bello!”.
E allora via, verso l’Antelao!
NOTTURNATA SULL’ANTELAO
Passiamo gli alberghi di lusso lungo la via principale, passiamo le case vacanze alla periferia del paese, passiamo le stazioni degli impianti di risalita, la stradina punta dritta e ripida verso la montagna, c’è una sbarra aperta con un divieto a ore, bohh, che strano, ma dopo le 18.30 il transito è consentito, avanti, e la strada diventa una pista sterrata, ma mica facile! Ghiaia, buche, dossi, dietro a me Matteo salta e balla aggrappandosi in qualche modo alla moto.
Il buio è assoluto, sopra di noi le pareti di dolomia brillano di luce riflessa, una fila di puntini luminosi persi nel nero del pendio sopra di noi ci indica la posizione del rifugio, mentre le luci di San Vito di Cadore si fanno piccine piccine.
Sterrata notturna alle pendici dell’Antelao: mitico!!!
Una ampia curva ci fa superare un vallone, poi la strada prende quota a tornanti; la vegetazione si dirada, gli alberi d’alto fusto lasciano campo ai pini mughi.
Matteo prende le misure in sella alla Cagiva.
UN tetto, finalmente!
Buonanotte Cadore…a domani!
Un bivio, le luci, il rifugio: sono le 21.30, è fatta!
Dentro pochi tavoli occupati, nessuno che si ferma a dormire, siamo gli unici ospiti della struttura.
Alle 10.00 finalmente mettiamo le gambe sotto al tavolo e la forchetta in bocca; in spregio alla dieta biologica, macrobiotica, equo – solidale, dissociata, priva di grassi e conservanti che la nostra moglie/mamma ci propina ogni dì, ci andiamo giù pesante: gnocchi in burro fuso, tagliatelle al cervo, goulash e formaggio fuso con polenta, e ovviamente panna cotta come dessert.
Le donne invece sono ancora nella bolgia di Gardaland, arriveranno a casa alle 2 di notte: valeva la pena di fare questo giro con Matteo solo per non andare in quel girone infernale!
Continua…
[size=150]ATTENZIONE[/size]: oggi dalle 13:00 circa il forum sara' utilizzabile in sola lettura per operazioni di manutenzione. L'operazione dovrebbe durare alcuni minuti,
IN VIAGGIO CON PAPA’ parte I
IN VIAGGIO CON PAPA’ parte I
Caro Alves, non smetti mai di stupirci! Coinvolgere anche tuo figlio nelle tue meravigliose avventure è, quantomeno, ovvio per un personaggio tuo pari.
Proprio nelle ultime uscite che ho fatto con amici ho pensato ad un racconto. Un racconto che narra, come fai tu, la storia di un padre e un figlio insieme con la moto. Che strana coincidenza! Avrei intitolato il pezzo “Father & Son”, proprio come la canzone di Cat Stevens. Tu hai la fortuna di viverlo in prima persona questo viaggio io, invece, non avendo che due figlie, mi accontento di accompagnare l’amico che avvia il figlio alla sottile arte del fuoristrada.
Continuo a ripeterti che è proprio il caso che tu cominci a pensare, una buona volta per tutte, a raccogliere i tuoi vari racconti in una raccolta e a realizzare una pubblicazione unica nel suo genere. Spero che gli amici di forum condividano la mia opinione e si facciano avanti per tempestarti di incoraggiamenti per questa tua “nuova avventura letteraria”. Credo proprio che ne varrà la pena!
Proprio nelle ultime uscite che ho fatto con amici ho pensato ad un racconto. Un racconto che narra, come fai tu, la storia di un padre e un figlio insieme con la moto. Che strana coincidenza! Avrei intitolato il pezzo “Father & Son”, proprio come la canzone di Cat Stevens. Tu hai la fortuna di viverlo in prima persona questo viaggio io, invece, non avendo che due figlie, mi accontento di accompagnare l’amico che avvia il figlio alla sottile arte del fuoristrada.
Continuo a ripeterti che è proprio il caso che tu cominci a pensare, una buona volta per tutte, a raccogliere i tuoi vari racconti in una raccolta e a realizzare una pubblicazione unica nel suo genere. Spero che gli amici di forum condividano la mia opinione e si facciano avanti per tempestarti di incoraggiamenti per questa tua “nuova avventura letteraria”. Credo proprio che ne varrà la pena!
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
alp
IN VIAGGIO CON PAPA’ parte I
sei un mito !!!
Adesso posto il mio anche se meno coinvolgente, io cazzeggio sia con i verbi che con la moto
Adesso posto il mio anche se meno coinvolgente, io cazzeggio sia con i verbi che con la moto
percorro,non corro
IN VIAGGIO CON PAPA’ parte I
Sei veramente un grande!
una conferma che anche i miei sogni si possono realizzare; credo proprio che tuo figlio non dimenticherà mai le avventure genuine che regali; che poi prenda la passione per il tassello o per il computer, non si può sapere, ma sicuramente narrerà con entusiasmo le vicende di un padre e di un figlio avventurieri ai tuoi futuri nipoti.....
in gamba e continua così!
una conferma che anche i miei sogni si possono realizzare; credo proprio che tuo figlio non dimenticherà mai le avventure genuine che regali; che poi prenda la passione per il tassello o per il computer, non si può sapere, ma sicuramente narrerà con entusiasmo le vicende di un padre e di un figlio avventurieri ai tuoi futuri nipoti.....
in gamba e continua così!
w il tassello!
IN VIAGGIO CON PAPA’ parte I
Mitico
FAB.
"If you can't rock me somebody will
If you can't rock me somebody will"
"If you can't rock me somebody will
If you can't rock me somebody will"