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LE CRONACHE DI CARNIA

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SuperHank
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LE CRONACHE DI CARNIA

Messaggio da SuperHank » ven 03 ott, 2008 6:36 pm

LE CRONACHE DI CARNIA

Chissà perché ma della Carnia se ne sente poco parlare.
Tutti, più o meno, sappiamo che c’è, dai tempi della scuola elementare, quando ti fanno imparare la filastrocca “Alpi liguri, Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Orobie, Noriche, Dolomiti, Carniche e Giulie!; Le liguri sono in Liguria, o viceversa, se ci sono le carniche ci sarà pure la Carnia, da qualche parte, ma le Graie dove sono, in Graia? C’è in Italia una regione chiamata “Graia”?
I dubbi ingenui di un bimbo delle elementari.
Al solito, io ragiono in termini motociclistici, anzi, in termini enduristici.
Perché ai motociclisti normali basta un passo alpino e 2 valli per divertirsi, ma il fuoristradista vuole di più, deve esserci la terra, il sasso, il fango e il viscido, insomma, il fondo naturale che renda tutto più emozionante. Di guide a percorsi in moto sule Alpi sono piene le scaffalature delle librerie, ma raramente ci trovi dentro info utili all’off-road.
Anche nel tam-tam fra appassionati, via web o via voce, si sente dire “ho fatto la Via del Sale”, “sono andato in bergamasca”, “sono andato in Sardegna, “sono andato a fare la cavalcata xxxx”, mai qualcuno che dica “sono andato in Carnia”!
Col tempo ho comunque raccolto un discreto numero di indicazioni, tanto da rendere interessante una spedizione in quella terra.
Perché di mini spedizione si tratta: da casa mia sono quasi 200 km di trasferimento in mezzo alle montagne del Cadore per raggiungere la Carnia, al confine con l’Austria.
Decisamente troppi per l’XR, ma non per il Cagiva, ma un giro simile almeno 2 gg lo meritava; e quale miglior occasione del tanto a lungo rimandato viaggio con mio figlio per vistare in un colpo solo Cadore e Carnia?
Ma la tanto desiderata invasione della sub regione friulana svaniva come neve al sole, di fronte a questo:

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La sfiga non guarda in faccia a nessuno, nemmeno alle tue vacanze!

La superba strada per la forcella Lavardet, SS 465, mezza sterrata, mezza asfaltata, chiusa da tempo immemorabile per frane e alluvioni, era del tutto bloccata!
Poco male, mi dicevo, ero con l’acqua alla gola per con il tempo, speravo di essere all’inizio della Lavardet al mattino ed invece erano quasi le 16.00, tanto valeva tornare a casa, dove arrivavamo 3 ore dopo
Giorni dopo però mi accorgevo, osservando meglio la carta, che c’erano ben due alternative;
La prima, da Sappada; una carrabile era indicata sulla mappa salire fino alla forcella Digola, a 1.600 m.s.l.m., e a lì scendere ad un terzo della valle del torrente Frison, percorsa dalla 465. Ipotesi affascinante, ma difficilmente attuabile: il tratto sommitale della strada era segnato con un singolo tratto rosso sulla mappa (carrabile? Non carrabile? Boh?) e quindi con quasi certezza assoluta che il transito fosse vietato.
La seconda, più abbordabile; infatti si poteva aggirare la frana passando per una stradina che percorreva il bosco posto nel culmine del monticciolo, la cui parete era franata sulla tratta principale, a cui ci si sarebbe ricongiunti più a monte.
Ok, l’anno prossimo altra 2 giorni, e stavolta la Carnia non mi sarebbe sfuggita; ma un anno è lungo, c’è l’inverno, la neve … no, dovevo, volevo finire il giro subito!
Piccolo problema: 2 gg di ferie non li avevo più.
Soluzione: fare tutto in una giornata. Da Schio all’inizio della Lavardet, a Campolongo di S. Stefano di Cadore, sono oltre 180 km, altrettanti a tornare, più il giro in Carnia, indefinito come chilometraggio: si prospettava una maratona da almeno 400 km. L’occasione giusta per mettere alla frusta il 750 su di un giro veramente a lungo raggio: usare il 750 per andare ad off-are in Valsugana o Grappa, a 50 km da casa, non è una impresa epica, basterebbe l’XR400, anche se ci vado con l’Elefant per fare il figo, quello che va a fare fuoristrada con moto vacche da 2 quintali.

Ma come ho già avuto modo di sperimentare, i trasferimenti sono lenti, se non c’è superstrada o autostrada: sulle strade di montagna raramente si fanno oltre i 60 km/h di media, o almeno io, che mi reputo prudente.
Sia come che sia, di primo mattino mi dirigevo verso nord-est. Velocemente passa la pedemontana, a 70-90 km/h, fra un tir ed un autovelox, qualche tirone a 110 km/h in superstrada Valsugana per migliorare la media, scorrevoli tunnel nella conca di Arsiè, poi a Feltre doppia doccia fredda.
Doppia nel senso che mi ritrovo a passo di ciclomotore nel traffico della cittadina pedemontana, ma ancora peggio il cielo sopra di me: finora era stato di un celeste e libero da nubi da cartolina, ma ora delle nuvole nere come l’inchiostro avanzano a vista d’occhio inghiottendosi il cielo, come in quel libro/film, “La Storia Infinita”, dove il Nulla fagocitava il regno incantato di Fantasia.
E puntualmente cadono le prime grosse gocce: NOOOOOOOOOOOOOO!!!!
Ho davanti (e dietro) centinaia di km, non voglio farli sotto la pioggia, nooo!
Ma il dio della Pioggia ascolta la mia supplica, pochi minuti e il piovasco termina; nuvole nere mi accompagneranno per tutta la giornata, senza mai scaricare il loro bagnato contenuto sulla mia testa.
Sulla strada di sinistra Piave si corre un po’ di più, e soprattutto si evita di passare da Belluno, anche se poi, seguendo le indicazioni per Ponte nelle Alpi vado troppo a sud e mi tocca ritornare indietro prendendo l’ultimo troncone della A28; Longarone è in vista, il Cadore si avvicina.
Ma che freddo che fa! La piacevole sensazione di fresco mattutino provata alla partenza lascia il posto ad un gelo inaspettato per i primi di settembre; il fondovalle è ancora in ombra, e non pare aver intenzione di riscaldarsi: sono avvolto in una spiacevole sensazione di malessere, soprattutto alle mani dove ho i leggeri guanti da enduro, ma anche il torace non scherza. Per fortuna i numerosi e lunghi tunnel mi regalano un po’ di tepore, ma non posso resistere tutto il giorno; stringo i denti e non vedo l’ora di arrivare a S.Stefano di Cadore, dove godermi un meritato caffè e magari acquistare un caldo pile per le mi stanche membra.
Quasi ci sono, passo la zona artigianale di Cima Gogna, pochi km e il lungo tunnel mi porterà a S.Stefano.
Ma ecco una lunga fila di auto ferme, i guidatori scesi a lato con sguardo interrogativo: è successo qualcosa.
In moto ovviamente sfilo a lato, per almeno un km, un ingorgo esagerato.
Dopo una semicurva l’inferno: un piccolo pulmino, tipo quelli realizzati su base IVECO Daily, è completamente in traversato sulla carreggiata, schiacciando col muso una piccola utilitaria contro la parete opposta della strada; l’utilitaria sembra una Yaris, ma potrebbe essere qualsiasi altra vettura, tanto è irriconoscibile: avete presente quando si schiaccia una lattina vuota al centro? Ecco, così era quella macchina: l’abitacolo schiacciato, portiere e cofano sparati in fuori! Testificante contorno a ciò, una densa nuvola di fumo bianco, da estintori chimici, avvolgeva tutta la strada a monte, impenetrabile alla vista.
Persone non ne vedevo, a parte un poliziotto, ma una ambulanza era già passata.
Avrei fatto una foto da premio Pulitzer, roba da andare sui giornali.
Ma non me la sono sentita, per rispetto alle vittime.
Non sono riuscito in seguito a sapere se ci sono stati morti e/o feriti, ma la mia giornata era rovinata.
Lentamente ritornavo indietro, continuamente fermato da automobilisti desiderosi di informazioni, che fornivo loro balbettando e battendo i denti dallo shock, avvisandoli che probabilmente sarebbero rimasti fermi per ore.

Secondariamente, l’incidente mi impediva i raggiungere S.Stefano di Cadore e l’attacco della forcella Lavardet, accidenti.
Ma il mio nome è Hank … SuperHank ! Avevo il piano B: la vecchia strada di cima Gogna, dismessa dall’ANAS e percorsa con mio figlio ad agosto; chi mi ferma a me?

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Non mi ferma certo una strada a rischio frana …

Ma gli operatori ecologici di Auronzo di Cadore, si!
La strada in questione è chiusa da una sbarra, ma si può passare a lato, nello spazio lasciato tra la sbarra e la recinzione di quella che ha tutta l’aria di essere una discarica.
Ma quando arrivo alla sbarra trovo ad impedire il passaggio un bel mucchio di terra marrone alto un metro, ben compattato con la pala della ruspa, fresco fresco, terra umida, pare quasi appena messo giù!
Ma che Sfiga! Non ci posso credere! Sono passato di li 10 gg prima, possibile che abbiamo chiuso la strada per colpa mia? Magari questi cattivoni hanno visto il mio report sul web ed hanno deciso di creare quella barriera!
Intendiamoci: con una leggera enduro racing lo salterei a ruote pari, ma con i 2 quintali del Cagiva non me la sentivo, perdipiù da solo, perdipiù con la cava discarica a lato in piena attività, con il rischio che i netturbini arrivino con la ruspa e mi prendano a palate!
Ma perché ogni volta che prendo la moto non può mai andare liscia? Perché questo karma negativo? Cosa ho scontare di male fatto nelle vite passate?

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Niente diga nella gola del Piave, quindi!

Occorreva prendere decisioni difficili: rinunciavo per il momento alla Lavardet, per puntare direttamente a Sauris attraverso Laggio di Cadore, la sella Ciampigotto, la sella di Razzo e poi a scendere per la sella Rioda a Sauris.
Laggio di Cadore, minuscolo paesetto adagiato in una conca erbosa, ha però il suo distributore, un benzinaio di quelli di una volta: in un vicolo in mezzo alle case, 2 pompe lungo la strada; il gestore nemmeno c’è, pur essendo aperto, ovviamente non c’è l’automatico, l’omino deve essere nel garage di casa intento alle sue faccende, si accorge del cliente e con calma viene a servirmi: se fossi in Africa qualcuno direbbe “c’est l’Afrique!”
Si parte per il vero giro, primo valico della giornata la sella Ciampigotto, a 1.790 m.s.l.m.; splendida ascesa dolomitica, come altre decine da queste parti, al cospetto di bianche formazioni dolomitiche che emergono dal verde scuro delle abetaie.

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Verso sella Ciampigotto.

La solita orgia di curve, controcurve, tornanti al 15% di pendenza e rari allunghi rettilinei; il tempo per un paio di foto e la marcia riprende.
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Sella Razzo.

Scendo quindi alla Sella di Razzo, nei pressi della omonima casera. Il comignolo della malga fuma, ma gente in giro non se ne vede; passa il solito gruppo di motociclisti austriaci o tedeschi in sella a BMW da strada, foto ricordo anche per loro del passo, un cenno di saluto alla mia persona e ripartono verso il Cadore.
Il Razzo è un altopiano pascolivo, crocevia di numerose strade che mettono in comunicazione il Cadore con la Carnia: dal Veneto salgono la appena percorsa strada di sella Ciampigotto e la sterrata SS465 fino alla Forcella Lavaret, posta sotto l’altro versante della Sella di Razzo; dalla sella si può scendere in val Pesarina passando per la Lavardet, oppure a Sauris per la sella Rioda.
Quest’ultima strada era sterrata fino a pochissimi anni fa, credo sia stata bitumata solo dopo il 2000; peccato, sono arrivato tardi. Mio padre mi ha parlato in diverse occasioni di questi posti, delle sterrate del Lavardet e di Razzo, come tantissimi delle generazioni post II° Guerra Mondiale ha fatto il militare negli Alpini da queste parti, in queste montagne facevano i campi militari. Cosa doveva essere imboccare una qualsiasi delle valli citate poco sopra, trovare lo sterrato che proseguiva in tutte le possibili direzioni, e sotto il culo mica aveva un 750 bicilindrico da 60 cv o una berlina 16V da 100 KW, ma la proletaria Lambretta 150 o al più l’asfittica FIAT 600.

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Per quanto asfaltata, è pur sempre una bella strada di montagna.

Dalla casera alcuni sterrati si inoltrano attraverso i pascoli, in direzione di altre malghe; uno sembrerebbe addirittura scendere a Sauris, anche se l’ultimo tratto è segnato come sentiero: forse è alla portata di un enduro racing, ma con l’Elefante è meglio essere prudenti. Meriterebbero una scorribanda in ogni caso, guidare nei deserti d’alta quota, quelle praterie di erba da pascolo e stentati cespugli al limite delle spoglie rocce è sempre una esperienza da non lasciarsi sfuggire.
Anche perché, in Carnia, il limite altimetrico di crescita della vegetazione è il più basso di tutto l’arco alpino, di 400-500 inferiore rispetto ad altre zone delle Alpi; già a 1.700 metri crescono solo cespugli, rovi e pascoli; e oltre i 1.900. Ciò è dovuto all'inversione termica provocata dal costante afflusso di correnti fredde nord orientali (vento burano) che dalle regioni siberiane e danubiane raggiungono la zona.
In Carnia si percepisce già la fredda influenza dell’immenso continente euroasiatico!
E come non pensare a terre così lontane osservando dall’alto Sauris?
Montagne a 360°, apparentemente invalicate da alcuna strada; il torrente Lumiei, laggiù in fondo, che va ad alimentare il lago artificiale, qualche pascolo, qualche casa, minuscoli puntini persi nel verde.
La leggenda vuole che la comunità di Sauris sia stata fondata attorno al XIII-XIV secolo da due soldati tedeschi che, stanchi della guerra, fuggirono dal loro paese rifugiandosi in questa valle isolata ed impervia. Effettivamente, quale posto migliore per nascondersi?
Montagne alte oltre 2.000 metri la circondano da ogni lato, solo difficoltosi passi montani e la gola del torrente Lumiei la collegavano in passato alle circostanti valli Pesarina e del Tagliamento.
Sono le stesse strade di oggi, solamente allargate ed asfaltate, ma la sensazione di lontananza permea ancora questo luogo.
Il comune è abitato da poche centinaia di persone ed è anche il comune più alto del Friuli (1212 m s.l.m.); La comunità è una enclave tedescofona formatasi in seguito alla immigrazione dalla valle di Lessach e dalla Pusteria nel XIII secolo, che si è potuta conservare grazie ad un isolamento durato secoli. Il tipico dialetto locale, accomunabile ai dialetti tirolesi, è chiamato "saurano" ma la popolazione è perfettamente trilingue, parlando bene pure l’italiano e ancor più il friulano .
Ma oggigiorno il nome di Sauris è maggiormente conosciuto per la produzione dell’omonimo prosciutto crudo e di una birra artigianale altrettanto famosa!

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Sauris, il mondo perduto.

LE MALGHE DI SAURIS

Sauris è un paese sparso, composto da 3 borgate principali, Sauris di Sotto, di Mezzo, di Sopra, più altre contrade. Logicamente io “atterro” a Sauris di Sopra, scendendo dalla sella di Razzo. Ma in realtà il paese lo sfioro appena, poiché prendo subito la deviazione che sale alla zona della malghe, una serie di piccoli altipiani sparsi sul crinale tra la valle di Sauris e la val Pesarina, tra I 1.800 e i 2.000 m.s.l.m..
La salita è una ripidissima stradina immersa in una fitta abetaia da cui non si può vedere nemmeno il cielo, tanto è fitta. La via è stretta, ripidissima, peccato sia asfaltata: se fosse sterrata sarebbe stato un gran raspare e derapare qui sopra!
Cessa la foresta, cessa l’asfalto, lo sterrato fa un tornante e raggiunge la sella di Festons, 1.830 m.s.l.m.;
Alla mia sinistra, la conca di Sauris dominata dal maestoso profilo del monte Bivera,; di fronte a me, un grazioso pianoro di erba verdissima, punteggiato di laghetti o per meglio dire pozze d’acqua per le bestie.
Una sterrata taglia i pascoli fino ad una lontana malga, mentre la severa mole del monte Terza Grande biancheggia sopra le valli e si perde negli stratocumuli che corrono lenti verso oriente.
Alla mia destra, un’altra sterrata perde quota nel pianoro verso una grande malga quadrangolare, la aggira, si arrampica su di una sella e scompare fra i pini mughi, promessa di chissà quali altre scoperte, quali altri percorsi oltre di essa.
Sono estasiato dai colori, così accesi, così forti di contrasti: il verde chiaro dell’erba, il verde scuro dei rari boschetti, il marrone della strada, il bianco candido delle vette dolomitiche e delle nubi, ma anche il nero gonfio di pioggia delle nuvole che corrono sopra di me, tingendo di opaco i vividi colori elencati pocanzi; la rincorsa delle nuvole sopra di me mi spinge a correre a mia volta, per sfuggire alla loro minaccia di pioggia.
La malga Festons è chiusa, non un segno di presenza umana; un edificio centrale, un muro perimetrale, stalle addossate ai lati: pare un fortino del far west, quello con i soldatini di plastica con cui giocavo da bambino, mi guardo alle spalle per scrutare con prudenza e apparente noncuranza se non ci sia qualche vedetta indiana che segue le mie mosse!

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È qui che volevo essere, qui volevo arrivare! Monte Terza Grande immerso nelle nuvole.

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Malghe sperdute nella brughiera d’alta quota.

Ma non è una vedetta indiana, è più possibile che sia una staffetta partigiana che scruta se il campo è libero da pattuglie nazifasciste, o da guardie cosacche a cavallo: perché qui sono passati pure i cosacchi!
La tarda estate del 1944 vide sorgere in queste valli la “Repubblica libera della Carnia” costituita dai partigiani insorti, come in altre zone del Nord Italia, Montefiorino, Ossola, Alba. Nonostante la breve vita, poco più di un mese, fu la più ampia zona libera in tutto il Nord Italia. Si estendeva infatti per 2.580 km quadrati, comprendeva ben 40 comuni e contava oltre 80.000 abitanti; come capitale venne scelto il paese di Ampezzo, nella Val Tagliamento.
Nel frattempo però arrivarono nuovi invasori: I Cosacchi.
Parte di questo fiero popolo nomade delle steppe, all’indomani dell’invasione della Russia da parte della Germania Nazista ne l 1941, si alleò con le forze tedesche allo scopo di rovesciare il regime comunista che li opprimeva. Ma con la progressiva disfatta e ritirata della Wermacht in Russia, i Cosacchi si ritirarono con questa, e furono destinati dai nazisti in Carnia, con la promessa che sarebbe stata la loro nuova patria: la “Kosakenland in Nord Italien”.
Ne arrivarono 40.000, con al seguito mogli, famiglie, carri e cavalli, capitanati dall’atamano Krassnov.
Per la gente carnica l'occupazione cosacca rappresentò un martirio, ancor oggi ben vivo nei ricordi degli anziani: alcune famiglie furono cacciate dalle loro case per dare spazio ai nuovi arrivati, altre furono costrette a coabitare con persone con le quali era impossibile condividere usi, abitudini e dialogare; innumerevoli gli atti di violenza, gli stupri. Non dimentichiamo che erano in Carnia anche per reprimere il movimento partigiano. Non mancarono tuttavia casi di pacifica convivenza e si registrarono anche alcuni matrimoni fra donne carniche ed ex soldati cosacchi (molti infatti erano quelli che abbandonavano i reparti e passavano tra i partigiani).
Con la disfatta della Germania nel maggio 1945 i Cosacchi abbandonarono la Carnia e si diressero in Austria, dove si arresero alle forze inglesi. Amaro fu il loro destino: in base agli accordi di Yalta, tutti i prigionieri di guerra e i collaborazionisti sovietici furono rimpatriati; ciò voleva dire una cosa sola: fucilazione per capi e ufficiali e deportazione nei gulag siberiani per gli altri, praticamente una morte differita nel tempo; molti, pur di evitare le torture, preferirono la morte e optarono per un suicidio collettivo; con i loro cavalli e le loro famiglie si gettarono in massa nelle gelide acque della Drava, morendo annegati.

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Non ricorda un forte del far west?

Pennellavo le curve di questo meraviglioso e solitario altipiano, infangandomi nelle numerose pozze marroni, residuo di un recente fortunale, godendo come un bimbo quando in riva al mare si lorda da testa a piedi di sabbia umida; sfilavo a fianco di malga Festons, già chiusa per l’inverno, ammesso che fosse mai stata aperta.

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Scottich view in Sauris mountains.

Una salita accidentata, non troppo da essere difficile, non troppo poco da non essere divertente, mi permette di guadagnare la successiva sella a quota 1.860 m.; sulla carta risulta innominata, anonima, nemmeno il simbolo di passo, le 2 linee parallele con gli sbuffi alle estremità, a nobilitarla un po’. Essendo vicina alla cima del monte Malins, e prospiciente l’omonima malga, la chiamerò sella di Malins.

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Alcuni passaggi, per quanto facili, richiedono maggiore attenzione.

Oltre la forcella la strada perde quota in maniera subitanea, infatti il fondo è cementato; poco male, dove il pendio si addolcisce riprende il magnifico sterrato, curve e controcurve di nuovo a salire. Nei pressi della malga Malins un bivio condurrebbe fino in fondo valle, in val Pesarina. le malghe sono situate oltre lo spartiacque tra Sauris e la Val Pesarina, nel versante di quest’ultima, e quasi tutte hanno una carrabile che scende a fondovalle; ma sono anche tra di loro separate da crinali montuosi, scavalcati da mulattiere che le collegano direttamente tra loro. Onde per cui ho 2 possibilità, lunga o corta: la prima, scendere a fondo valle e risalire la valle laterale successiva, oppure scavalcare i crinali in quota e passare da una malga all’altra.

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Altro fortino dei malghesi. Malga Malins dall’omonimo passo.

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Sella di Vinadia.

Sarebbe bello farle tutte, salire e scendere dalla Pesarina ed anche fare i collegamenti intermedi; per questioni di tempo tiranno mi dedico solo alla traversata in quota.
Da malga Malins risalgo agli oltre 1.800 m. di una forcella senza nome, dal monte vicino e dalla malga sottostante la chiamerò sella di Vinadia.
Una rampa cementata attraversa un passaggio tagliato nella montagna, oltre il grandioso anfiteatro della malga Vinadia, il monte Pieltinis e una mulattiera che si inerpica sullo scarno pendio a superarlo.

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La vallata di malga Vinadia Grande e sella Pieltinis.

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Veramente queste montagne non hanno nulla da invidiare alle Alpi Piemontesi; Sella Pieltinis.

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Monti della val Pesarina.

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La forcella Malins da forcella Pieltinis.

Proprio questo pensavo, mentre percorrevo le rampe i questi passi sul filo dei 2.000 metri. Questi percorsi non hanno nulla da invidiare ai più famosi itinerari delle Alpi Occidentali, la “Via del Sale”; sono più bassi di quota, ma il clima rigido li fa sembrare di maggiore altezza, chissà quanto sono avvincenti in tarda primavera o in primo autunno, con le ultime lingue di neve o al contrario le prime spruzzate!
Sono isolati: non si vedono ne intuiscono i paesi a valle, pare di viaggiare in luoghi remoti.
Sono tecnicamente facili da percorre ma non banali, il piacere di guida è notevole.
Una sola cosa hanno da invidiare alle cugine d’occidente: la lunghezza.
Mi dilungo tanto con le parole, scatto tante foto, quasi a voler stirare ed allungare i km reali, che restano pochi: sono lontani le decine di km dell’Assietta o della Via del Sale, e l’asfalto e il cemento avanzano sempre più!
Forcella Pieltinis rappresenta la vetta del giro, 1.881 m.s.l.m., e con il suo passaggio rientro sul versante di Sauris; poco più in basso, nei pressi della malga omonima, potrei di nuovo salire verso la forcella Ielma, ben 1.901 m., scollinare nella relativa vallata e scendere in Pesarina; è il percorso che hanno fatto alla recente 1° edizione della Cavalcata delle Alpi Carniche, credo la prima cavalcata in assoluto nel Triveneto.
Dai report letti in giro ho ricostruito il percorso a grandi linee: dalla partenza di Ravascletto si sono diretti in Val Pesarina, e hanno valicato le montagne proprio a forcella Ielma, da dove sono scesi a Sauris per tornare poi ad Ovaro e Ravascletto per la forcella Losa; più o meno il giro che sto facendo io.
Ne hanno parlato tanto sui forum, si è detto che è stata a tratti impegnativa, con tappi e spinte; probabilmente non era a misura di bicilindrica, probabilmente gli organizzatori hanno tirato fuori un gran giro, usando sterrate aperte normalmente alla circolazione come quelle che ora sto percorrendo, unite da carrarecce meno note conosciute solo dai locali, magari vietate ed aperte al transito per l’occasione.
Per chi ci è arrivato con l’enduro racing caricato sul carrello, si è fatto la mangiata in trattoria la sera, poi i 100 km del giro si è trattato certo di un buon investimento del proprio tempo e denaro, ed hanno fatto bene a farla. Per quanto mi riguarda sono contento del mio giro asociale, a 100 km di enduro guidato da frecce e scope preferisco i miei 50 scoperti a naso, percorsi in solitaria avventura, e poi anche i 200 km di trasferimento per arrivare fin qui hanno il loro fascino!
In questa edizione non erano molti gli iscritti, mi pare 200, buon compromesso tra divertimento e vivibilità della manifestazione: ricordo ancora il caos di 800 enduro partire tutte assieme alle Orobiche! Ma se la faranno ancora crescerà; Ravascletto è in culo al mondo per l’Italia, ma l’Austria è dietro l’angolo, poche decine di km; già oggi ho incrociato solo motociclisti d’oltralpe, anche se da strada, pian piano che la voce di diffonderà ne vedremo di crucchi arrivare! Solo il tempo ci dirà se sarà bene o male …
Il link al report di endurostradali:

http://www.endurostradali.it/forum/view ... =18&t=5995

Alcune foto dallo stesso report, autore Rokes; mi sono permesso di prenderle perché mi piaceva troppo vedere vecchie glorie come l’XT500 o il mitico Tuareg Rally in azione sugli sterrati!

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Sterratone per malga Ielma, XT500 on the road, yeah! (foto Rokes, endurostradali).

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Malga Ielma. (foto Rokes, endurostradali).

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UAOHHH! Una Aprilia Tuareg Rally 125 spunta tra le nebbie di forcella Ielma, suppongo. (foto Rokes, endurostradali).

Ripercorrendo quindi il percorso della cavalcata affrontavo la scalata dell’ultimo colle di Sauris, la forcella Losa, da dove scendere nel Canale di Gorto, ad Ovaro. Già pregustavo il sostanzioso spuntino a base di formaggi di malga e altre prelibatezze locali che mi aspettava a casera Losa, slurp!
Doppiato lo spigolo di una curva appariva, insaccata in un vallone, in tutta la sua grandiosità la malga.

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Verso Forcella Losa.

Al centro l’edificio principale in legno, attorniato dalle lunghe stalle, simboliche braccia che paiono quasi voler circoscrivere i pascoli limitrofi. Il sommesso brontolio di un generatore di corrente e l’acido olezzo della lavorazione del formaggio mi accolgono di fronte al porticato, consunti teli usati per raccogliere la cagliata dal siero sventolano appesi ad un filo mi salutano.

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Malga Losa.

Triste sorpresa: un casaro mi informa che il ristoro è chiuso, solo in agosto è aperto tutti i giorni; non ci sono altri posti dove mangiare se non a Sauris o Ovaro. Mannaggia a me che non mi sono dotato di un paio di succulenti panini: mi piazzavo in qualche prato a mangiare, con le montagne a farmi da compagnia!

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La Forchia.

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Urca che mulattiera; meglio prendere un’altra strada.

A 1.700 e roti metri scollinavo la forcella Losa; la discesa si presentava abbastanza impegnativa, causa il fondo accidentato, le canalette di scolo dell’acqua e la mancanza di protezioni a valle, ma paradossalmente la parte più faticosa era a valle, la parte asfaltata presentava un fondo pessimo, un bitume vecchio e crepato, pieno di buche soprattutto ai lati, un vero e proprio torrente di ghiaia, ghiaino e sporco: peggio l’asfalto che il fondo naturale!


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La confluenza della val Degano (o canale di Gorto) nel Tagliamento.

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Scendendo ad Ovaro.

LA PANORAMICA DELLE VETTE

Da Ovaro si sale, lungo la Valcalda, a Ravascletto e, superata la sella di Valcalda, si scende a Cercivento; la valle è delimitata a nord dal monte Crostis, a sud dallo Zoncolan, entrambi percorsi da una strada ad anello.
Logica vorrebbe che facessi prima lo Zoncolan (la cui discesa ti porta più ad est) quindi risalire alla sella Valcalda, percorrere la strada del monte Crostis in senso antiorario e scendere verso Ovaro.
M sbaglio tutto; credendo di imboccare la strada dello Zoncolan finisco in realtà a Ravascletto, la fame mi ha fermato i neuroni! Mi fermo allo squallido parcheggio della cabinovia per lo Zoncolan, in una pizzeria del quale proprietario non si fa scrupolo di manifestare i suoi orientamenti motociclistici:

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KTM Pizza

Questo piazzale deve essere stato l’epicentro della cavalcata, e la pizzeria sponsor e partecipante, su una parete interna fa già bella mostra il pettorale della 1°Cavalcata delle Alpi Carniche. Pizza e pennichella sul prato e sono pronto per la Panoramica delle Vette.
Di questo itinerario sterrato ne avevo letto anche su diverse guide per motociclisti, fra cui la celebre “In moto sulle Alpi” dei fratelli Denzel; ovviamente la prospettiva di questi autori è del tutto stradale, quello che loro classificano come impegnativo per un qualsiasi endurista è facile.
L’anello alle pendici del monte Crostis (2.350 m.s.l.m.) è lungo ben 35 km, ma di questi solo 8-9 sono sterrati, ma si è ricompensati dalla bellezza del paesaggio.
La prima parte dell’ascesa è tutta in un fitto bosco di conifere, poi finalmente si passa alle praterie in quota; lo sterrato compare quasi alla quota massima, attorno ai 1.900 metri, e percorre tutto l’ampio anfiteatro del monte Crostis: da una delle prime curve si riesce ad abbracciare con lo sguardo tutto il percorso sterrato, è veramente spettacolare!
Diverse malghe e casere costellano il ripido pendio, qualcuna fa servizio di agriturismo, ma oggi sono tutte chiuse. Il percorso è assolutamente facile, occorre solo prestare attenzione al ciglio della strada, il burrone è immediatamente di sotto e precipita per decine di metri nei boali sottostanti.
L’orizzonte è un susseguirsi infinito di montagne e cime, ammaliante.
Alle spalle mi lascio la dorsale del monte Tenchia e Zoufplan, facilmente riconoscibili da grandi ripetitori radio.
In quest’ultimo, a quota 1.900 metri, c’è un laghetto alpino che mi piacerebbe visitare; un percorso in cresta collega direttamente la zona in cui mi trovo e la cime dello Zoufplan, ma dubito che sia fattibile col 750.
Ancora più lontano, ad est, dovrebbe esserci il monte Paularo, altro 2.000 raggiungibile con un sterrata, con annesso laghetto nel circo sommitale. Non so fino a che quota queste strade siano accessibili, mi sarebbe piaciuto provarle, poi in questa giornata feriale potrei anche osare di salire dove non si potrebbe , ma il tempo corre e questi monti inesorabilmente si allontanano dal mio percorso.

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Ascesa sulla “Strada delle vette”; notare il fantastico taglio su mulattiera erbosa!

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Finalmente lo sterro! Sotto le nubi la cima dello Jouf Plan, altro monte raggiungibile con una sterrata a vicolo cieco.

Alla mia sinistra, a fami costante compagnia, la sagoma del monte Zoncolan, striato da innumerevoli piste da sci. Questo monte è famoso per 3 motivi: le piste da sci, che ne fanno uno dei comprensori sciistici maggiori del Friuli; il panorama dalla vetta, che stante la sua posizione centrale permette di osservare tute le cime della Carnia; ultimo ma non ultimo, il passaggio del giro d’Italia nel 2003 e 2007. La tappa fu vinta in entrambi i passaggi da Simoni, e nel 2003 Pantani fu 5°, ultima sua affermazione di rilievo.

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Terra e nubi.

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Il famoso monte Zoncolan, 1.750 m.s.l.m..

Per i ciclisti è una delle salite più dure d’Europa; Il versante da Ovaro, sale per 1.210 metri di dislivello in soli 10,5 km, per una pendenza media pari al 11,5%, con punte oltre il 20%, ci sono pure alcune gallerie dal fondo cementato. Il versante di Sutrio é più lungo (13,5 km) ma meno impegnativo. La pendenza media è del 9% e quella massima 27%.
Ma a me, del ciclismo e delle sue epopee non me ne potrebbe fregar di meno!
Nella guida dei Denzel, datata 1992, la salita dello Zoncolan viene indicata come impegnativa, dal fondo parte asfaltato e parte sterrato; per far passare il carrozzone del Giro è stata rimessa a nuovo, messe addirittura le luci nelle gallerie. Quanti sono i valichi sterrati che sono stati sacrificati al Giro? Il Gavia, il Colle Fauniera (che è stato addirittura rinominato “Pantani”) l’Agnello; il Sampeyre; anche sul Colle delle Finestre e sull’Assietta pende la stessa minaccia … si perde per sempre la poesia di una strada sterrata per fare passare una banda di dopati su 2 ruote, per un giorno di notorietà regalato ai paesetti di montagna dal passaggio del giro, al carnevale chiassoso di sponsor in cerca di pubblicità … ma che vadano tutti al diavolo!

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La strada delle vette.

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Monte Crostis.

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Occhio al margine!

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Carreggiata muy stretta.

E LAVARDET FINALMENTE FU!

Come tutte le cose più belle, anche la Panoramica delle vette finisce troppo presto; mi ritrovo a Tualis piccolo borgo in val Degano. Sono quasi le 16.00, ed è meglio imboccare la via del ritorno.
Arrivederci Zoncolan, arrivederci Zoufplan, arrivederci Paularo, per oggi basta così, chissà quando ci rivedremo.
Sarebbe bello rifare il percorso delle malghe di Sauris, stavolta prendendo le sterrate che salgono dalla val Pesarina, ma anche per questo non ho tempo.
Ma mi è rimasto un conto in sospeso: la Lavardet!
Mi dirigo verso la forcella Lavardet, sperando che sia la volta buona.
A gran passo risalgo tutta la val Pesarina, attraversando piccoli paesini ancora cullati dal sapore dolce amaro delle vacanze di fine estate, su strade del tutto deserte.

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La torre di Pisa della Val Pesarina.

Finalmente il bivio che aspettavo: a sinistra si continua a salire fino alla sella di Razzo, a destra la SP 465 che scende a S. Stefano di Cadore.
Minacciosi cartelli interdiscono il transito sulla sterrata, promettendo pericolose frane sulla testa del viaggiatore; al dannunziano motto “me ne frego” imbocco lo sterrato; ma non sono l’unico, visto che incrocio subito un pickup che sale, e che mi fa ben sperare sulla percorribilità della strada.
Il percorso è superlativo, soprattutto nella parte centrale; fondo sconnesso in alcuni punti ma niente di trascendentale, scorci meravigliosi ad ogni metro: lo scrosciare del torrente, immense frane che calano dai vaj laterali, le abetaie che si arrampicano fin sotto le rocce, pareti e guglie dolomitiche che puntano dritte al cielo!
E poi prefetti ponti che si alternano a guadi su tubi di cemento o ai ponti Baley in ferro arrugginito e tavole di legno; e poi le star, i famosissimi 14 tornanti asfaltati, disegnati con una regolarità di curvatura e pendenza che farebbe invidia al cerchio di Giotto!

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E Lavardet fu!

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Guardate che albero ho dovuto tagliare … per fortuna che sono Super .. SuperHank!

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Valle del torrente Frison 1.

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Valle del torrente Frison 2.

E non poteva mancare, in un giro alla Hank, l’incontro surreale!
Mi compare davanti un furgoncino di marca ignota, dal finestrino si affaccia un vecchio con barba bianca chilometrica, cappellaccio di feltro in testa, che sorridendo mi dice di stare attento alle pecore; OK, gli dico, pensando ai ruminanti al pascolo; ma poco dopo:

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Guado cementato; notare in alto a destra i resti di un precedente guado divelti dalle piene.

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Assediato dalle pecore!

Un fiume in piena di pecore mi investe; le prime scorrono a lato senza toccarmi, ma ben presto quelle successive vengono sospinte dalla forza del branco contro la Cagiva; il loro urto è così forte che per sicurezza scendo dalla moto e la sostengo dalla parte opposta al passaggio delle pecore, e mi devo impegnare: una pecora adulta non è poi così piccola! Poi ho anche paura che si facciano male, che si scottino sul motore caldo o che si taglino sulle valigie o altre parti del motore!

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C’è sempre chi viaggia comodo!

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I famosi 14 tornanti asfaltati.

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Non so quanto dureranno: guarda che roba di frana!

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Questa strada era classificata come SS, ora SP!

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La scappatoia: subito a dx del ponte si scende alla frana invalicabile, salendo dritti (ma c’è il divieto) si bypassa la frana.

L’ultima foto chiude idealmente il racconto con la prima; dopo il ponte, prendendo subito a destra, si costeggia il torrente per arrivare alla grande frana che mi aveva bloccato ad agosto con Matteo (ed in effetti c’è un guard-rail in lamiera posato a terra a mo di passaggio chiuso; invece, proseguendo in salita, si attraversa il bosco e si scende a valle della frana, praticamente già alla periferia di Campolongo di Cadore.
Bellissima la Lavardet, ma corta: questo passa il convento.
Missione compiuta, non mi resta che tornare a casa, seguendo la stessa via dell’andata; a fine giornata i km totali saranno 505, esattamente quanti fatti nella 2 giorni con mio figlio, e mio nuovo record di percorrenza giornaliera.
E non vedo l’ora di ripetere!

Ciao
Alves

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Messaggio da nolimit » ven 03 ott, 2008 7:58 pm

Sempre Super, Hank! :lol:

Grazie anche per questo:

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Almeno ora so comè lassù in cima :roll:
esattamente 2 anni fa mi fermai, mio malgrado, al Km 6+600 :cry:

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Messaggio da Xerrista » ven 03 ott, 2008 9:48 pm

Scusa ma tu prendi appunti oppure di "Elefant" hai anche la memoria ?
:shock: :shock: :shock:
Se sei incerto
TIENI APERTO

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Messaggio da squily » sab 04 ott, 2008 12:18 am

mitico come al solito.....
unica cosa,,,,,, troppa invidia da parte mia...
spero comunque presto di finire tutti i lavori sulla mia xr e potermi dare per qualche giorno al randagismo selvaggio.....
un giorno senza rischio è un giorno non vissuto.

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Re: LE CRONACHE DI CARNIA

Messaggio da carlo » lun 06 ott, 2008 3:07 pm

SuperHank ha scritto:si perde per sempre la poesia di una strada sterrata per fare passare una banda di dopati su 2 ruote, per un giorno di notorietà regalato ai paesetti di montagna dal passaggio del giro, al carnevale chiassoso di sponsor in cerca di pubblicità … ma che vadano tutti al diavolo!
quoto solo questo... e appoggio con vigore!!! Ma bisogna sempre aspettare di perdere qualcosa di bello perche' la gente capisca che vale la pena conservarlo? :evil: :evil:

Per il resto, il solito "Grazie del report, splendido come sempre!"
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Messaggio da SuperHank » mer 08 ott, 2008 11:48 am

Ma cosa è successo al km 6+600? Sono curioso …
Poi storia e geografia mi appassionano, mi piace sapere qualcosa dei posti dove vado, e sul web si trova tutto o quasi.
Ciao
Alves

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Messaggio da nolimit » mer 08 ott, 2008 11:51 am

SuperHank ha scritto:Ma cosa è successo al km 6+600? Sono curioso …
Poi storia e geografia mi appassionano, mi piace sapere qualcosa dei posti dove vado, e sul web si trova tutto o quasi.
Ciao
Alves
:lol: nè storia nè geografia, Alves :roll: mi sono semplicemente abbracciato a un guardrail :?
E sono andato diretto a Belluno in elicottero 8)

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Messaggio da SuperHank » mer 08 ott, 2008 12:37 pm

nolimit ha scritto: :lol: nè storia nè geografia, Alves :roll: mi sono semplicemente abbracciato a un guardrail :?
E sono andato diretto a Belluno in elicottero 8)
Accidenti che brutta storia ... ma poi hai recuperato pienamente, giusto?
Con moto da strada?

Ciao
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Messaggio da nolimit » mer 08 ott, 2008 12:51 pm

diciamo che adesso posso fornirvi le indicazioni per un weekend con meteo favorevole :lol:
E che in sella, versione OFF, reggo poco. :roll:
Si, ero in configurazione "road", Ducati MTS 1000. Lei, poverina, l'ho "Spiezzata" in due :shock:

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Messaggio da Alverman » ven 17 ott, 2008 8:42 pm

:D Sono dei giri che ho fatto con la prima Morini 350 Kanguro agli inizi anni 80, è veramente bello rivedere e gustare questi posti INCONTAMINATI.

La Carnia è tutta da scoprire....ed ora che ho preso una Beta Alp4 a 50 anni, mi riporta a rifare questi percorsi.

Complimenti per il servizio e magari se ci troviamo in qualche sentiero :shock: :shock: ...

ciao...
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Claudio

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