Dispatrio I Valsugana
Inviato: mar 11 nov, 2008 5:07 pm
ENDURO DEL DISPATRIO I: LA CALATA IN VALSUGANA
ANNUS HORRIBILIS ENDURENSIS
Doveva succedere.
Anche qui, nella mia valle.
La “Valleogra enduro felix” non è più tale.
Negli anni 90 si girava, sempre le stesse facce sulle moto; quando, raramente, si incontrava un altro gruppo era una festa e si proseguiva assieme. I divieti c’erano già, i montanari si incazzavano ogni tanto, ti porcavano dietro, evitavi di passare da loro per un mesetto e la cosa finiva lì. Sapevi che quella contrada non la dovevi attraversare perché c’era il tipo rognoso, in quell’altra c’era il cane rabbioso, e allora si tagliava da un’altra parte. Magari ogni tanto una multa, ci stava come “obolo” dato ai forestali.
Poi è arrivato il boom dell’enduro, i praticanti sono aumentati a dismisura, prima i locali, poi sono arrivati anche i “foresti” da fuori. E sono guai.
Perché è cambiato modo di fare enduro, o forse la testa ed anche la possibilità economica di chi lo fa, non so. La compagnia che mi ha iniziato all’enduro vero aveva un modo di farlo ben preciso:
-mezza giornata al sabato, di solito pomeriggio;
-parco moto prevalentemente 2T, autonomia scarsa;
-ritrovo ore 13 inverno, ore 14 estate, rientro al limitare del buio o solitamente prima di cena;
-Partenza e arrivo quasi sempre nel solito posto, la piazza;
tutta gente dello stesso paese, al limite limitrofi;
Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è, niente telefonate, mail, solo passaparola e moto club;
percorso più duro è meglio è, tanto bosco, tanto sentiero, lo sterrato è “trasferimento”;
asfalto il meno possibile, già farne 2 km è troppo!
È una filosofia da sportivo del sabato pomeriggio: pranzetto con la famiglia, svago settimanale, di nuovo a cena con famiglia/fidanzata/amante; c’è chi dedica il sabato pomeriggio alla partita di calcio, chi all’enduro; questo modo di intendere l’enduro non può che essere locale: in 4-5 ore, con queste premesse, si facevano magari molti km, anche 100, ma in linea d’aria non ci si spostava più di 20-30 km dalla base, al massimo si toccavano 2 valli.
Per me questa è la definizione di enduristi “local”; per i miei amici di allora andare sui Berici (30 km distanti) era una trasferta fuori zona, gli enduristi di Vicenza capoluogo dei “foresti”.
Io che con l’XR600 mi sparavo anche giri misti on-off in altre province ero una mosca bianca, guardato strano!
Invece da un po’ di anni la gente si sposta, fa strada.
Merito anche di internet; si conoscono nuove persone, si sente parlare di nuovi percorsi; moto su carrello, autostrada, parcheggio sotto alle montagne, e si parte, si ritorna; come quando si va a sciare.
Anno 2008, questo è il risultato; a Primavera sono apparsi con cadenza settimanale articoli contro le moto sul giornale locale, ovviamente sempre con titoloni, addirittura hanno avuto l’onore delle locandine fuori dai giornalai.
“Domenica 11 maggio 2008 provincia pag. 37 VALLI DEL PASUBIO
Troppe moto
sui campi
Residenti
esasperati
Sentieri dell'Alta Valleogra a rischio per gli escursionsti pedestri.
Con la bella stagione molti viottoli della vallata, affidati per gestione, manutenzione e tabellazione a varie associazioni del paese dal Comune, rischiano la paletta rossa. Colpa dei numerosi crossisti sconsiderati che causano danni sullo sterrato e sui prati non da poco.
«Nei giorni scorsi, verso le nove - racconta un pensionato del quartiere Savena - ho visto passare nel maggese di casa un gruppo di moto, alcune senza targa, e alle mie rimostranze mi hanno fatto gli sberleffi».
Lamenti che arrivano da altre contrade altovalleogrine, dove la presenza di motocross a fine settimana e nelle festività diventa talvolta
ingombrante: «In effetti - afferma un anziano di Val Maso - questi motociclisti diventano spesso invadenti e più di qualcuno è anche arrogante. In contrada teniamo puliti i prati, sistemiamo a fine inverno le nostre strade sterrate, ripuliamo i fossi e ripariamo i muretti di sasso e poi gruppi di centauri fracassoni con supermoto rovinano i nostri orticelli e il nostro lavoro. È ora di mettere un freno».
La zona, ad onor del vero, si presta ad escursioni da fuoristrada, ma troppo spesso si registrano parecchie intemperanze da parte di motociclisti esagitati, in barba alle normative che regolano la viabilità nelle aree rurali con tanto di tabelle di enti locali e regionali. «Chiediamo un po di rispetto».”
Montanari che si incazzano, comitati di ripristino sentieri che incolpano le moto dei peggiori disastri ambientali, motociclisti da fuori provincia di giorno e di notte, riunioni con la Forestale, trialisti che incolpano gli enduristi, forestali che dicono ai montanari di stare attenti, che se devono essere fiscali con le moto allora dovrebbero anche stangare tutti gli abusi a regolamenti vari (edilizi, boschivi.,) che fanno proprio i montanari, ma intanto devono far qualcosa e promettono controlli…fino alla gente che si fa giustizia da se, fascine di rami all’inizio dei sentieri, chiodi a 3 punte sparsi nel bosco ( i motociclisti che forano stanno zitti, me l’hanno detto, ma i ciclisti che forano la M-B o i camminatori che se li beccano nella suola mica tacciono, e il polverone aumenta!), addirittura una micidiale lama nel bosco:
Neanche Freddy Kruger poteva produrre una lama così!
Ma sarebbe ingiusto dare tutta la colpa a chi viene da fuori, anche i “local” si sono bevuti il cervello!
Vedi qui:
No comment.
Campionato Italiano di Trial, in una cittadina, Recoaro, che a dispetto del roboante appellativo “Terme”, versa da tanti anni in una grave crisi economica: il turismo stanziale va sempre più in calando, sostituito dal poco remunerativo popolo della “gita in giornata”; scarsità di neve in inverno, offerta di percorsi non all’altezza dei caroselli dolomitici o trentini; e si potrebbe continuare.
Ospitare il circus di una gara titolata (italiano o addirittura mondiale) almeno per qualche giorno porterebbe un po’ di gente negli alberghi, farebbe lavorare di più ristoranti e bar con gli spettatori; ma il CAI si incazza che il trasferimento delle moto in gara fra le varie zone avviene su un sentiero delicato, che verrebbe distrutto dal passaggio delle moto (anche se per definizione tutti i sentieri sono delicati per il CAI!).
Ma il CAI non ha tutti i torti: perché al MC gli è venuta l’idea di passare da lì?
Quando un “vecio” dell’enduro mi insegnò quel sentiero mi disse: “Questo è da fare solo in discesa per non rovinare il fondo, e nell’ultima parte a motore spento, sia per non rovinarlo sia per non farsi sentire dalle persone nel vicino parco pubblico.”. Questa è la giusta etica di un pilota che ama e conosce il territorio! Quanti estranei, i più per ignoranza, qualcuno per menefreghismo, farebbero altrettanto? Ma poi ci si va a far passare una gara! Assurdo!
IL DISPATRIO
In realtà io sono il primo dei foresti, ho cercato di girare il maggior numero possibile di percorsi nel Nord-est e non solo, ma quando sono fuori zona, se non ho una guida locale, cerco di stare il più possibile sul legale, e tra un divieto e 10 km di asfalto in più cerco sempre di scegliere la seconda, complice il fatto che da un paio d’anni ho il 750 con cui mi diverto anche su asfalto e posso fare tanta strada in più che con l’XR.
E allora, questa estate, ho preso spunto dal mio conterraneo L. Meneghello, lo scrittore di “Libera Nos a Malo”, che, terminata la guerra dove aveva combattuto come partigiano (esperienza che fornì ispirazione per “I Piccoli Maestri”), si recò in Inghilterra come lettore di lingua italiana e da quella lontana sede scrisse e descrisse la piccola realtà di provincia del suo paese, Malo.
Lui la chiamava “scrittura del dispatrio” e questo termine mi piace tanto, mi pare si adatti alla perfezione per descrivere giri in moto, piccoli viaggi quotidiani lontano dalla mia piccola patria dell’enduro.
Ho girato pochissimo nel vicentino, solo quel tanto che basta per uscire dai suoi confini verso valli a me sconosciute o quasi.
Perché cosa ha fatto SuperHank questa volta?
Nel Veneto non ci lasciano girare, scatta la repressione? Multe e divieti? Ed io, invece di rinchiudermi in un campo di pannocchie a girare in tondo, vado oltre, e per dirla alla maniera delle Brigate Rosse, “Portare l’attacco al cuore dello Stato!”, e me ne vado a fare fuoristrada nella regione più blindata in assoluto, quel Trentino Alto Adige così ostile alle moto nei boschi!
VECCHIE MULE E NUOVE STERRE
Il primo “Dispatrio” però non è stato del tutto tale; diciamo che mi sono perso per strada, perso nella bellezza delle mille varianti che i 7 Comuni sanno offrire.
Prendo quota per una sterrata che si innalza apparentemente senza fatica sulla pianura, nell’aria tersa del mattino risalta la mappa della pianura, i suoi fiumi, le sue strade, i capannoni delle grandi fabbriche, i grappoli di case che fanno i paesi.
Addio Vicentino, a mai più!
La strada che faccio è vietata; è stata aperta a colpi di buldozer non molti anni fa, la cicatrice sul fianco della montagna è visibile da km e km di distanza; non ha nulla del fascino delle vecchie strade militari di montagna costruite un secolo fa: non ha un ciglio ben definito, squadrato, di bianche pietre calcaree, intervallato da solitari paracarri sempre in pietra. Non ha poderose murature di pietra a sostenerla, a monte e a valle; non ha la lieve pendenza adatta a muli e uomini.
Il fondo è di pietra frantumata e pressata, il pendio ai lati si sfalda o è tenuto su da anonime reti metalliche, la pendenza è elevata e i tornanti ripidi, adatti ai mezzi a trazione integrali di oggi.
Il fatto è che questa brutta strada è andata a sovrapporsi ad una antica mulattiera, non militare: sulle sue lame di roccia e sui ghiaioni ho sputato sangue a portar su la moto, anche solo a farla in discesa il fiatone era dietro l’angolo; ora è stata castrata, privata di quasi tutto il suo percorso e quello che rimane è difficilmente usabile perché la strada la trancia di netto, senza inviti o scivoli per accedervi, occorrerebbe lanciarsi sulla scarpata per entrare o uscire dal sentiero.
Uno dei tipici casoni della zona.
Era, prima di noi fuoristradisti, utilizzata da contadini e malgari per accedere alla miriade di casoni dove falciavano e allevavano poche bestie durante la bella stagione.
Ora bestie non c’è ne sono più, falciare non si fa più, ma ai proprietari dei casoni tornava comodo poter raggiungere la loro proprietà, magari restaurandola come seconda casa. E allora è stata fatta la strada, con funzione antincendio, si disse, per quei pendii troppo spesso devastati dalle fiamme; e difatti da quando è stata costruita non ci sono più stati incendi in quelle lande!! Chi ha orecchi per intendere intenda … tutto ciò mi è stato detto da un amico del paese, informato sui fatti.
In sintesi: nessun fascino a percorrerla ora, solo bei panorami e la comodità di salire veloci in sterrata.
TRA CIELO E PIETRA
Finalmente in quota, mi dirigo verso nord est lungo le usuali sterrate nelle abetaie, teatro dei macelli del 15-18, sempre belle, da assaporare metro per metro: una semicurva con accenno di spazzolata della ruota posteriore, gli spruzzi marroni di una pozza presa un po’ veloce, un dosso che alleggerisce l’avantreno (parlare di salto con il 750 è quantomeno esagerato!).
Raggiungo cima Ekar, fra i pini torreggiano le lucide cupole dell’osservatorio astronomico; da ragazzo partecipai a una visita guidata alla struttura, come quasi tutti i bambini, io credo, ero nella fase in cui volevo diventare astronomo, astronauta, comunque sempre con la testa fra le stelle.
Osservatorio di Cima Ekar.
La carrabile, abbastanza accidentata per le capacità assorbenti delle sospensioni Cagiva, scende metaforicamente e realmente verso la terra, ossia verso la zona di enormi cave di marmo che si mangiano, pezzo su pezzo la montagna. Dagli eterei spazi siderali alla solida pesantezza di ciclopici blocchi da chissà quante tonnellate, mossi da mezzi altrettanto pesanti e potenti, in pochi metri.
Cave di marmo.
Mura ciclopiche.
Queste simpatiche vacche manco ci pensano a lasciarmi passare; mi obbligheranno ad un fuoripista nei pascoli per aggirare la mandria.
Pascoli e cielo.
Nelle terre alte del’Altipiano.
OLTRE L’ALTIPIANO
L’altipiano dei 7 Comuni è delimitato in 2 lati su 4 dalla vallata del Brenta; dal termine della valle, Bassano, fino ai laghi di Caldonazzo e Levico, solo 4 carrabili scendono a valle, per il resto solo sentieri e mulattiere neanche tanto facili. Le strade sono: la Valgadena e la Enego Primolano, aperte tutto l’anno; la “Kaiserjagerweg” la strada costruita dai cacciatori alpini dell’impero asburgico 90 anni fa, tra Caldonazzo e Monterovere (che tecnicamente sarebbe già in altipiano di Lavarone, territorio trentino e non veneto), chiusa in inverno; infine, la rotabile del Col del Vento, sempre di origine austro-ungarica, fra Grigno in Valsugana e quella porzione della piana di Marcesina che in epoca remota fu ceduta ai trentini in seguito a dispute di confine.
Quest’ultima mi aveva sempre affascinato, dalla valle si vedeva benissimo la traccia seghettata arrampicarsi fra le rocce, pure con gallerie. Ma non l’avevo mai percorsa, non ne ebbi mai l’occasione, poi il divieto in essere mi incuteva timore.
L’estate scorsa scoprii 2 cose: la prima che la strada era stata asfaltata (NOOOO!!!!), la seconda che il comune di Grigno rilasciava a chiunque ne facesse richiesta il pass giornaliero per percorrere la strada. Meglio di niente, pensai, e volendo fare le cose per bene telefonai in comune per chiedere il permesso per il mio giro. Ma Non avevo fatto i conti con l’ottusità della burocrazia italiana; non potevo fornire i miei dati al telefono, dovevo andare personalmente in comune a fare e ritirare il foglio, in quest'epoca telematica non potevano mandarmi il pass tramite fax ed e-mail! Ma dai!
Mio malgrado decidevo di percorrere la strada sfidando il divieto: non potevo stravolgere il senso di marcia del mio giro, non potevo perdere ore negli uffici. Mi andava bene: nella lunga discesa incrociavo solo degli operai stradali intenti a pulire il ciglio della strada, e non mi dicevano nulla; un’auto che saliva e un paio di ciclisti.
Signori, che strada! Cosa doveva essere da sterrata!
Varda che roba!
Stretta, aggrappata al un pendio verticale come un’edera ad un muro, sospesa centinaia di metri sopra il fondovalle; passaggi aperti nella roccia, ponti su canaloni che scaricano sassi, panorama a volo d’uccello su tutta la Valsugana.
Valsugana 1.
Valsugana 2.
Archi di roccia.
Splendida.
IL CAGIVON RITORNA SUL BROCCON
Giunto in fondovalle senza problemi, mi dirigevo verso il Tesino e il Celado per la piacevole strada che sale da Grigno.
Nuovo tipo di postazione autovelox; credo sia un bunker del Vallo Alpino, costruito in epoca fascista, visto che è orientato verso la Vallagarina.
Cartolina dal Tesino.
Dal Celado cercavo un collegamento verso il paese di S.Donato, l’attacco del Broccon.
Un piacevole sterrato di terra battuta mi portava nella direzione giusta, ma il successivo, che mi avrebbe fatto risparmiare molti km, era vietato, perciò rimanevo fedele ai miei principi e compivo un lungo giro su asfalto fino a S.Donato.
Sterrata in Celado.
Verso S.Donato; mi chiedo se c’è gente che abita stabilmente in quella borgata e si fa ogni giorno questa strada per andare al lavoro!
S.Donato downtown.
La sotto passa una strada: adesso vado a curiosare…
Giunto in loco, prima di affrontare il Broccon attirava la mia attenzione una sottile linea bianca che, scollinando a 1.400 e passa metri, collega S.Donato con Lamon; non ne avevo mai sentito parlare nel giro dei fuoristradisti, possibile che fosse sterrata?
No, non lo era; o almeno non lo era più. Lo scollinamento era ancora sterrato, una carrareccia in terra battuta dentro una suggestiva foresta di pini, ma lunga poche centinaia di metri; i 2 rami in discesa sui versanti entrambi asfaltati; dalla sella brevi carrabili a servizio di baite, ma nessun anello degno di nota.
Il classico buco nell’acqua.
Oramai le strade sterrate sono una specie in via di estinzione, almeno da noi.
Pian dei Lei, 1.500 m.s.l.m..
Non mi restava che il Broccon.
Cosa dire di nuovo su tale superbo percorso sterrato? Niente.
Rispetto all’ultima volta, notavo la mancanza del caratteristico cartello che consentiva il passaggio solo a moto e mezzi fuoristrada!
Poi il percorso come lo ricordavo: primo tratto: larga sterrata polverosa; secondo tratto: sterrata ghiaiosa con tornanti, la moto si infossa nella ghiaia; terzo tratto: si riduce a poco più che mulattiera, dal fondo accidentato e duro; quarto tratto: ultimi allunghi sui pascoli, già in dirittura di arrivo al passo.
Resta sempre un gran bel giro.
Broccon la sterrata.
Broccon la mulattiera.
Passo Broccon: i Lagorai a far da quinta.
Dal passo Broccon scendevo verso il Tesino; mia intenzione percorrere le strade più secondarie della zona, ai piedi della Cima d’Asta, sperando di scoprire qualche nuovo sterratino di collegamento, per chiudere un anello sulla destra Valsugana.
Mai speranza fu più vana! In poche parole, se la strada era aperta al transito la trovavo asfaltata, appena “cattavo” uno sterro pronto c’era il divieto. Di delusione in delusione mi portavo verso Caldonazzo, salivo a Monterovere per la “Kaiserjagerweg”, e mi consolavo sulla via del ritorno a casa con gli sterrati tra Vezzene e Verena.
Ho aperto con l’Altipiano, chiudo con l’Altipiano: pascoli delle Vezzene.
Sempre meno sterrati per la verità: dalle Vezzene fino al confine provinciale c’è un nuovo divieto (non rispettato da nessuno, a dire il vero), mentre il tratto di strada da Camporosà a Campovecchio è tutto asfaltato…BUUUUHHHHH!!!!
Questo primo dispatrio non è stato granché, ho perso tempo in Altipiano e a parte qualche sterratino non ho scoperto alcunché in Valsugana.
Però una giornata di moto è sempre una buona giornata:o no?
Ciao
Alves
ANNUS HORRIBILIS ENDURENSIS
Doveva succedere.
Anche qui, nella mia valle.
La “Valleogra enduro felix” non è più tale.
Negli anni 90 si girava, sempre le stesse facce sulle moto; quando, raramente, si incontrava un altro gruppo era una festa e si proseguiva assieme. I divieti c’erano già, i montanari si incazzavano ogni tanto, ti porcavano dietro, evitavi di passare da loro per un mesetto e la cosa finiva lì. Sapevi che quella contrada non la dovevi attraversare perché c’era il tipo rognoso, in quell’altra c’era il cane rabbioso, e allora si tagliava da un’altra parte. Magari ogni tanto una multa, ci stava come “obolo” dato ai forestali.
Poi è arrivato il boom dell’enduro, i praticanti sono aumentati a dismisura, prima i locali, poi sono arrivati anche i “foresti” da fuori. E sono guai.
Perché è cambiato modo di fare enduro, o forse la testa ed anche la possibilità economica di chi lo fa, non so. La compagnia che mi ha iniziato all’enduro vero aveva un modo di farlo ben preciso:
-mezza giornata al sabato, di solito pomeriggio;
-parco moto prevalentemente 2T, autonomia scarsa;
-ritrovo ore 13 inverno, ore 14 estate, rientro al limitare del buio o solitamente prima di cena;
-Partenza e arrivo quasi sempre nel solito posto, la piazza;
tutta gente dello stesso paese, al limite limitrofi;
Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è, niente telefonate, mail, solo passaparola e moto club;
percorso più duro è meglio è, tanto bosco, tanto sentiero, lo sterrato è “trasferimento”;
asfalto il meno possibile, già farne 2 km è troppo!
È una filosofia da sportivo del sabato pomeriggio: pranzetto con la famiglia, svago settimanale, di nuovo a cena con famiglia/fidanzata/amante; c’è chi dedica il sabato pomeriggio alla partita di calcio, chi all’enduro; questo modo di intendere l’enduro non può che essere locale: in 4-5 ore, con queste premesse, si facevano magari molti km, anche 100, ma in linea d’aria non ci si spostava più di 20-30 km dalla base, al massimo si toccavano 2 valli.
Per me questa è la definizione di enduristi “local”; per i miei amici di allora andare sui Berici (30 km distanti) era una trasferta fuori zona, gli enduristi di Vicenza capoluogo dei “foresti”.
Io che con l’XR600 mi sparavo anche giri misti on-off in altre province ero una mosca bianca, guardato strano!
Invece da un po’ di anni la gente si sposta, fa strada.
Merito anche di internet; si conoscono nuove persone, si sente parlare di nuovi percorsi; moto su carrello, autostrada, parcheggio sotto alle montagne, e si parte, si ritorna; come quando si va a sciare.
Anno 2008, questo è il risultato; a Primavera sono apparsi con cadenza settimanale articoli contro le moto sul giornale locale, ovviamente sempre con titoloni, addirittura hanno avuto l’onore delle locandine fuori dai giornalai.
“Domenica 11 maggio 2008 provincia pag. 37 VALLI DEL PASUBIO
Troppe moto
sui campi
Residenti
esasperati
Sentieri dell'Alta Valleogra a rischio per gli escursionsti pedestri.
Con la bella stagione molti viottoli della vallata, affidati per gestione, manutenzione e tabellazione a varie associazioni del paese dal Comune, rischiano la paletta rossa. Colpa dei numerosi crossisti sconsiderati che causano danni sullo sterrato e sui prati non da poco.
«Nei giorni scorsi, verso le nove - racconta un pensionato del quartiere Savena - ho visto passare nel maggese di casa un gruppo di moto, alcune senza targa, e alle mie rimostranze mi hanno fatto gli sberleffi».
Lamenti che arrivano da altre contrade altovalleogrine, dove la presenza di motocross a fine settimana e nelle festività diventa talvolta
ingombrante: «In effetti - afferma un anziano di Val Maso - questi motociclisti diventano spesso invadenti e più di qualcuno è anche arrogante. In contrada teniamo puliti i prati, sistemiamo a fine inverno le nostre strade sterrate, ripuliamo i fossi e ripariamo i muretti di sasso e poi gruppi di centauri fracassoni con supermoto rovinano i nostri orticelli e il nostro lavoro. È ora di mettere un freno».
La zona, ad onor del vero, si presta ad escursioni da fuoristrada, ma troppo spesso si registrano parecchie intemperanze da parte di motociclisti esagitati, in barba alle normative che regolano la viabilità nelle aree rurali con tanto di tabelle di enti locali e regionali. «Chiediamo un po di rispetto».”
Montanari che si incazzano, comitati di ripristino sentieri che incolpano le moto dei peggiori disastri ambientali, motociclisti da fuori provincia di giorno e di notte, riunioni con la Forestale, trialisti che incolpano gli enduristi, forestali che dicono ai montanari di stare attenti, che se devono essere fiscali con le moto allora dovrebbero anche stangare tutti gli abusi a regolamenti vari (edilizi, boschivi.,) che fanno proprio i montanari, ma intanto devono far qualcosa e promettono controlli…fino alla gente che si fa giustizia da se, fascine di rami all’inizio dei sentieri, chiodi a 3 punte sparsi nel bosco ( i motociclisti che forano stanno zitti, me l’hanno detto, ma i ciclisti che forano la M-B o i camminatori che se li beccano nella suola mica tacciono, e il polverone aumenta!), addirittura una micidiale lama nel bosco:
Neanche Freddy Kruger poteva produrre una lama così!
Ma sarebbe ingiusto dare tutta la colpa a chi viene da fuori, anche i “local” si sono bevuti il cervello!
Vedi qui:
No comment.
Campionato Italiano di Trial, in una cittadina, Recoaro, che a dispetto del roboante appellativo “Terme”, versa da tanti anni in una grave crisi economica: il turismo stanziale va sempre più in calando, sostituito dal poco remunerativo popolo della “gita in giornata”; scarsità di neve in inverno, offerta di percorsi non all’altezza dei caroselli dolomitici o trentini; e si potrebbe continuare.
Ospitare il circus di una gara titolata (italiano o addirittura mondiale) almeno per qualche giorno porterebbe un po’ di gente negli alberghi, farebbe lavorare di più ristoranti e bar con gli spettatori; ma il CAI si incazza che il trasferimento delle moto in gara fra le varie zone avviene su un sentiero delicato, che verrebbe distrutto dal passaggio delle moto (anche se per definizione tutti i sentieri sono delicati per il CAI!).
Ma il CAI non ha tutti i torti: perché al MC gli è venuta l’idea di passare da lì?
Quando un “vecio” dell’enduro mi insegnò quel sentiero mi disse: “Questo è da fare solo in discesa per non rovinare il fondo, e nell’ultima parte a motore spento, sia per non rovinarlo sia per non farsi sentire dalle persone nel vicino parco pubblico.”. Questa è la giusta etica di un pilota che ama e conosce il territorio! Quanti estranei, i più per ignoranza, qualcuno per menefreghismo, farebbero altrettanto? Ma poi ci si va a far passare una gara! Assurdo!
IL DISPATRIO
In realtà io sono il primo dei foresti, ho cercato di girare il maggior numero possibile di percorsi nel Nord-est e non solo, ma quando sono fuori zona, se non ho una guida locale, cerco di stare il più possibile sul legale, e tra un divieto e 10 km di asfalto in più cerco sempre di scegliere la seconda, complice il fatto che da un paio d’anni ho il 750 con cui mi diverto anche su asfalto e posso fare tanta strada in più che con l’XR.
E allora, questa estate, ho preso spunto dal mio conterraneo L. Meneghello, lo scrittore di “Libera Nos a Malo”, che, terminata la guerra dove aveva combattuto come partigiano (esperienza che fornì ispirazione per “I Piccoli Maestri”), si recò in Inghilterra come lettore di lingua italiana e da quella lontana sede scrisse e descrisse la piccola realtà di provincia del suo paese, Malo.
Lui la chiamava “scrittura del dispatrio” e questo termine mi piace tanto, mi pare si adatti alla perfezione per descrivere giri in moto, piccoli viaggi quotidiani lontano dalla mia piccola patria dell’enduro.
Ho girato pochissimo nel vicentino, solo quel tanto che basta per uscire dai suoi confini verso valli a me sconosciute o quasi.
Perché cosa ha fatto SuperHank questa volta?
Nel Veneto non ci lasciano girare, scatta la repressione? Multe e divieti? Ed io, invece di rinchiudermi in un campo di pannocchie a girare in tondo, vado oltre, e per dirla alla maniera delle Brigate Rosse, “Portare l’attacco al cuore dello Stato!”, e me ne vado a fare fuoristrada nella regione più blindata in assoluto, quel Trentino Alto Adige così ostile alle moto nei boschi!
VECCHIE MULE E NUOVE STERRE
Il primo “Dispatrio” però non è stato del tutto tale; diciamo che mi sono perso per strada, perso nella bellezza delle mille varianti che i 7 Comuni sanno offrire.
Prendo quota per una sterrata che si innalza apparentemente senza fatica sulla pianura, nell’aria tersa del mattino risalta la mappa della pianura, i suoi fiumi, le sue strade, i capannoni delle grandi fabbriche, i grappoli di case che fanno i paesi.
Addio Vicentino, a mai più!
La strada che faccio è vietata; è stata aperta a colpi di buldozer non molti anni fa, la cicatrice sul fianco della montagna è visibile da km e km di distanza; non ha nulla del fascino delle vecchie strade militari di montagna costruite un secolo fa: non ha un ciglio ben definito, squadrato, di bianche pietre calcaree, intervallato da solitari paracarri sempre in pietra. Non ha poderose murature di pietra a sostenerla, a monte e a valle; non ha la lieve pendenza adatta a muli e uomini.
Il fondo è di pietra frantumata e pressata, il pendio ai lati si sfalda o è tenuto su da anonime reti metalliche, la pendenza è elevata e i tornanti ripidi, adatti ai mezzi a trazione integrali di oggi.
Il fatto è che questa brutta strada è andata a sovrapporsi ad una antica mulattiera, non militare: sulle sue lame di roccia e sui ghiaioni ho sputato sangue a portar su la moto, anche solo a farla in discesa il fiatone era dietro l’angolo; ora è stata castrata, privata di quasi tutto il suo percorso e quello che rimane è difficilmente usabile perché la strada la trancia di netto, senza inviti o scivoli per accedervi, occorrerebbe lanciarsi sulla scarpata per entrare o uscire dal sentiero.
Uno dei tipici casoni della zona.
Era, prima di noi fuoristradisti, utilizzata da contadini e malgari per accedere alla miriade di casoni dove falciavano e allevavano poche bestie durante la bella stagione.
Ora bestie non c’è ne sono più, falciare non si fa più, ma ai proprietari dei casoni tornava comodo poter raggiungere la loro proprietà, magari restaurandola come seconda casa. E allora è stata fatta la strada, con funzione antincendio, si disse, per quei pendii troppo spesso devastati dalle fiamme; e difatti da quando è stata costruita non ci sono più stati incendi in quelle lande!! Chi ha orecchi per intendere intenda … tutto ciò mi è stato detto da un amico del paese, informato sui fatti.
In sintesi: nessun fascino a percorrerla ora, solo bei panorami e la comodità di salire veloci in sterrata.
TRA CIELO E PIETRA
Finalmente in quota, mi dirigo verso nord est lungo le usuali sterrate nelle abetaie, teatro dei macelli del 15-18, sempre belle, da assaporare metro per metro: una semicurva con accenno di spazzolata della ruota posteriore, gli spruzzi marroni di una pozza presa un po’ veloce, un dosso che alleggerisce l’avantreno (parlare di salto con il 750 è quantomeno esagerato!).
Raggiungo cima Ekar, fra i pini torreggiano le lucide cupole dell’osservatorio astronomico; da ragazzo partecipai a una visita guidata alla struttura, come quasi tutti i bambini, io credo, ero nella fase in cui volevo diventare astronomo, astronauta, comunque sempre con la testa fra le stelle.
Osservatorio di Cima Ekar.
La carrabile, abbastanza accidentata per le capacità assorbenti delle sospensioni Cagiva, scende metaforicamente e realmente verso la terra, ossia verso la zona di enormi cave di marmo che si mangiano, pezzo su pezzo la montagna. Dagli eterei spazi siderali alla solida pesantezza di ciclopici blocchi da chissà quante tonnellate, mossi da mezzi altrettanto pesanti e potenti, in pochi metri.
Cave di marmo.
Mura ciclopiche.
Queste simpatiche vacche manco ci pensano a lasciarmi passare; mi obbligheranno ad un fuoripista nei pascoli per aggirare la mandria.
Pascoli e cielo.
Nelle terre alte del’Altipiano.
OLTRE L’ALTIPIANO
L’altipiano dei 7 Comuni è delimitato in 2 lati su 4 dalla vallata del Brenta; dal termine della valle, Bassano, fino ai laghi di Caldonazzo e Levico, solo 4 carrabili scendono a valle, per il resto solo sentieri e mulattiere neanche tanto facili. Le strade sono: la Valgadena e la Enego Primolano, aperte tutto l’anno; la “Kaiserjagerweg” la strada costruita dai cacciatori alpini dell’impero asburgico 90 anni fa, tra Caldonazzo e Monterovere (che tecnicamente sarebbe già in altipiano di Lavarone, territorio trentino e non veneto), chiusa in inverno; infine, la rotabile del Col del Vento, sempre di origine austro-ungarica, fra Grigno in Valsugana e quella porzione della piana di Marcesina che in epoca remota fu ceduta ai trentini in seguito a dispute di confine.
Quest’ultima mi aveva sempre affascinato, dalla valle si vedeva benissimo la traccia seghettata arrampicarsi fra le rocce, pure con gallerie. Ma non l’avevo mai percorsa, non ne ebbi mai l’occasione, poi il divieto in essere mi incuteva timore.
L’estate scorsa scoprii 2 cose: la prima che la strada era stata asfaltata (NOOOO!!!!), la seconda che il comune di Grigno rilasciava a chiunque ne facesse richiesta il pass giornaliero per percorrere la strada. Meglio di niente, pensai, e volendo fare le cose per bene telefonai in comune per chiedere il permesso per il mio giro. Ma Non avevo fatto i conti con l’ottusità della burocrazia italiana; non potevo fornire i miei dati al telefono, dovevo andare personalmente in comune a fare e ritirare il foglio, in quest'epoca telematica non potevano mandarmi il pass tramite fax ed e-mail! Ma dai!
Mio malgrado decidevo di percorrere la strada sfidando il divieto: non potevo stravolgere il senso di marcia del mio giro, non potevo perdere ore negli uffici. Mi andava bene: nella lunga discesa incrociavo solo degli operai stradali intenti a pulire il ciglio della strada, e non mi dicevano nulla; un’auto che saliva e un paio di ciclisti.
Signori, che strada! Cosa doveva essere da sterrata!
Varda che roba!
Stretta, aggrappata al un pendio verticale come un’edera ad un muro, sospesa centinaia di metri sopra il fondovalle; passaggi aperti nella roccia, ponti su canaloni che scaricano sassi, panorama a volo d’uccello su tutta la Valsugana.
Valsugana 1.
Valsugana 2.
Archi di roccia.
Splendida.
IL CAGIVON RITORNA SUL BROCCON
Giunto in fondovalle senza problemi, mi dirigevo verso il Tesino e il Celado per la piacevole strada che sale da Grigno.
Nuovo tipo di postazione autovelox; credo sia un bunker del Vallo Alpino, costruito in epoca fascista, visto che è orientato verso la Vallagarina.
Cartolina dal Tesino.
Dal Celado cercavo un collegamento verso il paese di S.Donato, l’attacco del Broccon.
Un piacevole sterrato di terra battuta mi portava nella direzione giusta, ma il successivo, che mi avrebbe fatto risparmiare molti km, era vietato, perciò rimanevo fedele ai miei principi e compivo un lungo giro su asfalto fino a S.Donato.
Sterrata in Celado.
Verso S.Donato; mi chiedo se c’è gente che abita stabilmente in quella borgata e si fa ogni giorno questa strada per andare al lavoro!
S.Donato downtown.
La sotto passa una strada: adesso vado a curiosare…
Giunto in loco, prima di affrontare il Broccon attirava la mia attenzione una sottile linea bianca che, scollinando a 1.400 e passa metri, collega S.Donato con Lamon; non ne avevo mai sentito parlare nel giro dei fuoristradisti, possibile che fosse sterrata?
No, non lo era; o almeno non lo era più. Lo scollinamento era ancora sterrato, una carrareccia in terra battuta dentro una suggestiva foresta di pini, ma lunga poche centinaia di metri; i 2 rami in discesa sui versanti entrambi asfaltati; dalla sella brevi carrabili a servizio di baite, ma nessun anello degno di nota.
Il classico buco nell’acqua.
Oramai le strade sterrate sono una specie in via di estinzione, almeno da noi.
Pian dei Lei, 1.500 m.s.l.m..
Non mi restava che il Broccon.
Cosa dire di nuovo su tale superbo percorso sterrato? Niente.
Rispetto all’ultima volta, notavo la mancanza del caratteristico cartello che consentiva il passaggio solo a moto e mezzi fuoristrada!
Poi il percorso come lo ricordavo: primo tratto: larga sterrata polverosa; secondo tratto: sterrata ghiaiosa con tornanti, la moto si infossa nella ghiaia; terzo tratto: si riduce a poco più che mulattiera, dal fondo accidentato e duro; quarto tratto: ultimi allunghi sui pascoli, già in dirittura di arrivo al passo.
Resta sempre un gran bel giro.
Broccon la sterrata.
Broccon la mulattiera.
Passo Broccon: i Lagorai a far da quinta.
Dal passo Broccon scendevo verso il Tesino; mia intenzione percorrere le strade più secondarie della zona, ai piedi della Cima d’Asta, sperando di scoprire qualche nuovo sterratino di collegamento, per chiudere un anello sulla destra Valsugana.
Mai speranza fu più vana! In poche parole, se la strada era aperta al transito la trovavo asfaltata, appena “cattavo” uno sterro pronto c’era il divieto. Di delusione in delusione mi portavo verso Caldonazzo, salivo a Monterovere per la “Kaiserjagerweg”, e mi consolavo sulla via del ritorno a casa con gli sterrati tra Vezzene e Verena.
Ho aperto con l’Altipiano, chiudo con l’Altipiano: pascoli delle Vezzene.
Sempre meno sterrati per la verità: dalle Vezzene fino al confine provinciale c’è un nuovo divieto (non rispettato da nessuno, a dire il vero), mentre il tratto di strada da Camporosà a Campovecchio è tutto asfaltato…BUUUUHHHHH!!!!
Questo primo dispatrio non è stato granché, ho perso tempo in Altipiano e a parte qualche sterratino non ho scoperto alcunché in Valsugana.
Però una giornata di moto è sempre una buona giornata:o no?
Ciao
Alves