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Dispatrio III Valsugana svelata

Inviato: lun 24 nov, 2008 1:52 pm
da SuperHank
ENDURO DEL DISPATRIO III: VALSUGANA SVELATA

Partenza di buon mattino, destinazione Valdastico, la via che da secoli mette in comunicazione il vicentino con il nord, in primis la Valsugana e la zona di Trento.

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Valdastico … da questo punto di osservazione non sembra una valle di qualche selvaggio e remoto paese?

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L’Anzino di Qua …

Sentieri e mulattiere tracciati fin dall’alto medioevo, la più famosa la “strada dell’Ancino”, “Anzino” o “Lanzino”; Ancino di Qua sul versante Veneto, Anzino di Là la discesa verso Caldonazzo. Percorsa per secoli da viandanti, pellegrini, commercianti, briganti, eserciti, una bellissima storia.
Qualche traccia è sopravvissuta al tempo e rimane ancor oggi.
A queste antiche vie si sono aggiunte 100 anni fa le opere militari della Grande Guerra, tese non a collegare più rapidamente le vallate, ma a raggiungere con celerità le vette, formidabili bastioni da cui difendesi e attaccare il nemico: altra tragica e affascinante storia.
Le strade moderne seguono altre logiche, vanno diritte alla meta, gli ostacoli li superano o li distruggono, con scavi e gallerie e ponti, le antiche mulattiere li aggirano, sfruttando le più nascoste caratteristiche del terreno.
Secondo voi io quale scelgo?

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Tunnel verde; quando la strada è così e sei in sella ad una maxi dovresti quantomeno preoccuparti…

Scelgo ovviamente, citando l’immenso Lou Reed, di prendere una “Walk On The Wild Side” della strada!
Ma per la camminata sul lato selvaggio non sono attrezzato in modo adeguato; se devi seguire una antica mulattiera medievale ci vuole una enduro leggera e snella, l’XR400 è già troppa, meglio un trial con la sella, o qualche sottospecie di bicicletta a motore.
Già l’Elefant è una signora moto da 2 quintali, che a girarla di peso non se ne parla, al più, se il terreno è liscio e non ci sono ostacoli, riesco, facendo perno sulla ruota anteriore, a trascinare la posteriore, ma non per più di mezzo metro, poi sono un uomo finito! In aggiunta poi io ho voluto fare il figo, schiaffandogli sui lati delle casse di alluminio da giro del mondo in 80 giorni, per far credere a tutti che sono un globetrotter in transito per il Catai. Quando la strada si restringe è la fine, le valige sbattono su tutto ciò che incontrano, quei sentieri abbandonati dove i rami si protendono sul passaggio diventano un incubo, se scosto un ramo con il braccio rimango in apnea per 2 secondi, aspettando in cozzo dell’alluminio sul legno, sperando di riuscire a tener in piedi la moto.
Il tunnel verde si restringe, si restringe, si restringe … non si passa più! Ma scostando rame e frasche non è che mi ritrovo la traccia, magari appena accennata a terra, no: il sentiero non esiste più, una slavina di roccia ha portato via tutto! Intransitabile perfino col trial.
Per mia fortuna ho il minimo di spazio per voltarmi, con 10 manovre faticosissime, ma posso voltarmi.
Così è la vita dell’endurista stradale: lunghi nastri di asfalto, piccoli assaggi di fuoristrada, sempre e solo troppo brevi parentesi di polverosa felicità.
Ritorno sulla SS, ne percorro velocemente i pochi tornanti con cui raggiungo il soprastante altipiano di Lavarone, già in terra trentina.

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Stop! La frana ha portato via tutto, della strada non ne esiste nemmeno più la traccia.

Il boscoso comune montano offrirebbe tanti e pregevoli itinerari naturali, ma i cartelli di divieto qui sono più numerosi dei funghi dopo un temporale d’autunno. Velocemente salgo al passo di Monterovere, sede nei secoli passati di un ospitale a rifugio e ristoro dei viandanti del’Anzino, ora più prosaicamente vi è un bar trattoria, e da li scendo per la magnifica “Kaiserjagerweg”, mulattiera costruita quasi cent’anni fa dai “Cacciatori delle Alpi” di sua Maestà l’Imperatore Francesco Giuseppe, allo scopo di rifornire le fortezze degli altipiani, a guardia dei confini.
La mulattiera, ora SP 133, pare ricalchi in parte, o forse una parte, dell’antico Ancino.
Per la mia gioia gli ingegneri stradali hanno lasciato uno scampolo di sentiero, dove posso impolverare almeno un poco i tasselli delle gomme.
In fondovalle, superstrada Valsugana e poi inizia l’esplorazione del versante SX della valle.

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L’Anzino di la … verso Caldonazzo.

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Tra pochi secondi sarò in quella mulattiera…


AI PIEDI DEI LAGORAI

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Polenta strasse…una strada da buongustai!

Sulla mappa diverse strade si inerpicano in piccole vallate che calano dalla catena principale dei Lagorai, il gruppo montuoso che divide la Valsugana dalla valle di Cembra e di Fiemme; ma come saranno queste strade? Asfaltate? Sterrate? Sarà possibile chiudere degli anelli, transitando da un versante all’altro, varcando un passo da una valle ad un’altra, senza dover scendere ogni volta in Valsugana? Tutte queste domande, questi dubbi, queste speranze maturate in lunghe meditazioni sulla mappa adesso avranno risposta.
Una meta: malga Sette Selle, a 1.906 m.s.l.m. adagiata ai piedi dell’omonimo monte della catena dei Lagorai, che svetta quasi a 2.400 metri. Prima tappa un borgo, una località, una contrada, dal nome spagnoleggiante, “Suerta”; sulla mappa pare dotata di punto ristoro, ho proprio voglia di un caffè in quota.
La strada sale, sale, sale, sempre asfaltata, piacevolissima, ma sempre di bitume; arriva alfine lo sterrato, ma sono alle porte di Suerta, oramai!
Ma non sono triste, anzi, il luogo mi conquista: la sterrata percorre un minuscolo altipiano incastrato fra vette glabre di alberi; piccole baite graziosamente ristrutturate punteggiano i pascoli, c’è l’immancabile casa parrocchiale per i campi scuola, con gli immancabili scout, e c’è pure la chiesa! Manca solo il mio caffè … non c’è traccia di rifugio ristoro!

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Avevo visto giusto a salire fin qua.

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Questa è la chiesa del villaggio!

Non credo proprio che nessuno abiti stabilmente qui, ma non mi dispiacerebbe avere una seconda casa in un luogo siffatto, ci passerei i mesi estivi, e il lavoro quotidiano sarebbe meno pesante.
In teoria sulla mappa riportano un collegamento che attraverso i pascoli porterebbe alla malga Sette Selle, ubicata giusto nella testata della valle, a 1.900 metri; ma questa mulattiera non c’è, non trovo nemmeno un sentiero tracciato, e i ripidi pendii erbosi non sono invitanti ne tantomeno consigliati alle moto.
Però, forse un km prima del paese, c’era una strada sterrata che si staccava e puntava in alto; urge verificare.

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Questa è una casa dipinta.

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Strada non collaudata.


A CASA DI HEIDI

Il cartello diceva qualcosa del tipo “strada non collaudata” 20 km/h max, passaggio a proprio rischio …” bene, bene, bene! E la strada quello che promette lo mantiene: stretta, spesso in trincea, con le sponde più alte del fondo, fondo di pietrame inconsistente e smosso, ripido, a tratti molto ripido: il Cagiva sbanda e salta ma il suo pilota tiene botta, e intanto l’altimetro sale: 1.500 metri, 1.600. 1.700 …

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Sempre più in alto…

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…fin lassù…

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Più o meno.. mi fermo qui, sotto lo spallone terminale del monte.

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Ancora non lo sapevo, ma avrei scalato quella montagna laggiù in fondo.

Mi fermo nel mezzo di un meraviglioso prato, quasi a quota 1.800; la carrozzabile termina in una baita, oltre prosegue solo una traccia su prato, mirante allo spallone montuoso che mi sovrasta.
È fresco, sono solo, c’è il silenzio del vento che accarezza i lunghi fili d’erba: sto bene qua.
Scendendo a valle, provo tutte le possibili deviazioni sterrate, ma di solito terminano in baite ristrutturate o in ristrutturazione; non tutte, una, vena giugulare di queste sperdute costruzioni, scavalca il crinale e scende da un’altra parte, ma un cartello di proprietà privata mi inibisce il passaggio. Chiuderò su carta l’anello, osservando la direzione dei 2 tronconi che avevo percorso.

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La discesa era un po’ difficoltosa.

Le provo un po’ tutte, nel più puro stile enduro esplorativo.
Trovo un’altra sterrata che percorre il fianco ovest del monte; salgo, salgo, quasi riesco a scavalcare il crinale, ma la strada termina poche decine di metri di quota sotto alla forcella; il sentiero non parrebbe neanche male, sicuramente ce la farei con il 400, e magari, essendo in più d’uno, ci riuscirei anche col 750, ma da solo … va bene così.

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Quasi fin sotto il crinale..poche decine di metri di quota e scollinavo, ma era un sentiero da XR.

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Però mi fermavo alla casa di Heidi.

Altro tentativo a quota più bassa, altro sterrato (questa volta si, sterrato fin da subito), in direzione
Malga Sette Selle. Dio mio che bellezza!
Una sterrata di ghiaia bianca lattescente, baluginante quasi abbagliante al sole d’agosto, prati verdi e gialli che sono un invito a sdraiarcisi sopra per scoprire le cangianti forme che i cumulonembi tracciano nel cielo, vette rocciose, grigie e severe come vecchi professori intenti a controllare gli allievi in esame, che osservano il mio passaggio, piccole baite nascoste da una cortina di alberi, che paiono quasi interrarsi loro stesse nel pendio, quasi a cercare protezione nella terra dalla furia del temporale che presto o tardi oggi precipiterà sui loto tetti, tutto ciò i miei occhi vedono in questa valle.
Ma è destino che non ci arrivi alla malga Sette Selle.
Anche questa strada si perde fra i pascoli, e pure una deviazione laterale che in teoria mi avrebbe dovuto permettere di raggiungere l’altro versante e proseguire verso la malga, termina in una baita; baita che è abitata da amici, o almeno credo; infatti sulla legnaia sono appoggiate una Aprilia RX senza targa e una vecchissima trial spagnola, una Montesa ancora con i freni a tamburo e il doppio ammortizzatore posteriore. Immagino padre col trial e giovane figlio con l’RX che sgommano il sabato pomeriggio epr raggiungere la loro seconda cosa sui monti …
Tipica situazione che si incontra in Trentino: di moto enduro se ne vedono rarissime in giro, ma se apri i portoni dei garage, se curiosi nel retro di ogni baita salta fuori un vecchio cross, una moto enduro spogliata di fari e targa, un trial dei pionieri di 30 e passa anni fa; per gli abitanti di qui che hanno baite e appezzamenti nei monti sono comode queste vecchie fuoristrada per circolare nei boschi, e sono sicuro che, a loro, la forestale non rompe i maroni!
Vorrei entrare e chiedere ai proprietari di queste vecchie glorie se c’è qualche modo di proseguire, ma poi rinuncio, mi pare di essere invasivo a voler a tutti i costi passare in moto; me ne torno da dove sono venuto.
Non proprio; scopro la possibilità di scendere direttamente lungo il torrente, per quella che è poco più di una pista; la vedo, ci penso, la faccio.
L’umidità del solco vallivo fa si che la vegetazione sia lussureggiante, gli estesi pascoli sono un ricordo, piante di tutte le specie invadono la carreggiata, un rivolo continuo di acqua sorgiva si infiltra tra le schegge che costituiscono il fondo stradale, devo prestare un po’ di attenzione in questi frangenti.
Riguadagnato l’asfalto, mi portavo sull’altro versante della valle, alla ricerca di nuove sterrate, non prima di aver giustamente riempito il mio pancino con delle specialità locali in un piacevole ristorante incontrato lungo la via.

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Questa foto mi piace un sacco!

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Scendendo lungo il torrente la pista si faceva più impegnativa.


LA TRAVERSATA MALGA SEROT - MONTE PANAROTTA

Avevo perso tutta la mattina per esplorare questa valle laterale; non è stato tempo sprecato, ma avevo ancora molta strada da fare, era tempo di abbandonare i vicoli ciechi e cercare di proseguire verso ovest.

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In alto, sempre più in alto…

Ma se poi ti trovi un bivio sterrato sconosciuto, non è peccato mortale non provarli tutti e 2?
Soprattutto quando finisci a 1800 metri, in mezzo a pini e larici, nella più totale solitudine:

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Laggiù un’altra sterrata mi aspetta …

Ora basta, andiamo avanti, ho un sacco di strada da fare, si va, si parte, si corre, non ci si ferma più.
Corre il Cagiva per questa sterra d’alta quota, che tocca le malghe della Valsugana.
Qui è diverso: c’è gente, un certo movimento di avventori alle malghe che fanno servizio ristoro, i campeggi estivi di parrocchie e simili.
Non mi par vero che sia ancora sterrata, spero che lo rimanga per lungo tempo ancora, spero di poter portare mia figlia, un giorno a fare lo stesso giro, fermarsi con lei a mangiare un panino al formaggio in uno di questi prati, in una di queste malghe, raccontarle di quanto poi non sia tutto così cambiato da quindici anni prima.

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… eccola.

Bordeggiando la Valsugana mi stavo avvicinando alla zona turistica di Vetriolo Terme e Panarotta 2000; lo sterrato lasciava posto all’asfalto, ma ai successivi bivi tenevo sempre la direzione verso monte, sperando di ritrovare qualche sterrato; lo trovavo, salivo, salivo ma incappavo in un divieto di transito, nei pressi di una malga.
Stavolta domandavo lumi al malgaro su come raggiungere la Panarotta.
L’introverso e scostante, all’apparenza, montanaro si prodigava in informazioni interessanti:
A:” El me scusa, ma par dove posso arivare in Panarotta?”
M:” Ahh, te devi tornar xo da dove che te arrivi e ‘ndare a destra. Ma se te voi te ghe rivi anca da qua, lungo stà strada!”
A: “Ma non è vietata?” obiettavo.
M:“Si, lo è, ma passano tante moto, la strada va su alta, e poi rimane in costa, ci passano sempre le moto, nessuno controlla quasi mai!”
A:” Ma ghe la faso a passare con stà moto? Come xea messa la strada?” (faccio il prudente).
M:” I ghe passa sempre con le moto, la xe un strada militare, la xe un poco streta, te se (fa segno di strettezza con le mani), ma i ghe passa tutti, tranquillo!”
Ed io, tranquillo, ringrazio e vado.
Prendere nota: strada militare larga, ci passano tutti, vai tranquillo.
All’inizio è cosi: una meravigliosa pista nei boschi di larici, tutta a gobbe e salti, percorre un piccolo pianoro per poi spostarsi sulla costa del monte.
Ma poi si restringe, si restringe, cazzo come si restringe!
Mi ritrovo su un sentiero largo 1 metro ( i miei cassoni posteriori fanno 95 cm di larghezza!); il fondo è di soffice humus, un impasto di terra ed aghi di pino, pini che affiorano ai lati del sentiero e si protendono verso il centro, obbligandomi a slalomare fra i loro fusti, ma ogni tanto un sonoro “STOCK” mi avvisa che li ho centrati con le valige! A terra radici malefiche cercano di svirgolarmi dalla moto, ogni tanto qualche modesto scalino, ma per mia fortuna la pendenza rimane poco rilevante, pur continuando a guadagnare quota.
Non ho più possibilità di fare una inversione ad U, se non in rare piazzole dove il sentiero si allarga, ognuna di queste me le stampo in testa, per sapere quanto mi sto allontanando dalla salvezza!

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Per fortuna che era una strada!

Sono quelle situazioni in cui ogni metro è sospirato, una tensione immane. Non perché sia difficile in se stesso, ma ti domandi ogni istante se oltre quella semicurva di cui non vedi il proseguo, troverai un ostacolo, una pianta caduta, il sentiero franato, un gradone di un metro, e sai che non sarai in grado di passare, e allora dovrai voltarti, ma sai che sarà quasi impossibile farlo …
Vatti a fidare dei malgari! È sempre così, situazione sperimentata 1000 volte, chi non conosce le moto non sa mai dare indicazioni a misura di tale mezzo, per questo spesso nemmeno vado a chiedere ai locali informazioni, e preferisco fidarmi della mia esperienza, del mio sesto senso, di mappe e guide cartacee.
Il pavido vi dirà che quel percorso è pericolosissimo, intransitabile con qualsiasi mezzo a motore, anche se si tratta di una carrareccia che farebbe anche uno scooter; l’ottimista invece vi manderà tranquillamente su di un percorso alpinistico stile ferrata, tanto per lui una moto da trial e una Goldwing sono entrambe mezzi a 2 ruote, con minime differenze!

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Le moto ci passano sempre …

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… si, si, si, proprio tutte le moto, anche le Goldwing! È proprio una via da Elefanti.

OKKEI, qui sono cazzi.
Ma non dei peggiori: il sentiero supera un impluvio della montagna, anche se non si vede c’è un minuscolo rivolo di acqua che sgorga da una vicina sorgente; per fortuna prima del, chiamiamolo così, guado ci sarebbe spazio per il retro front; bene.
La rampetta è abbastanza ripida, ma il problema peggiore è la buca alla base e i sassi al termine, entrambi ostacoli in cui possono incappare le mie valige, sbilanciarmi e farmi cadere; per fortuna il pendio a lato, pur se ripidissimo, non inizia immediatamente la sua caduta, se mi scappasse la moto si fermerebbe sotto il sentiero; sarebbe un mezzo disastro, certo, ma molto meglio che vedere il ferro, e magari il pilota, precipitare per qualche centinaio di metri a valle!
Ispeziono con attenzione la rampa a piedi, e opto per il passaggio a monte sia della buca alla base che dei sassi al termine; dentro la prima, 2 dita sulla frizione, occhi ridotti a strette fessure, parto; i tasselli fanno buona presa, la moto resta dritta e non si imbarca, passo la buca, prendo inerzia prima dei sassi, li passo di slancio: è fatta!
Il sentiero prosegue brutto per poche centinaia di metri, come avevo previsto, poi si apre in una ariosa sella, crocevia di percorsi; in ogni direzione della Rosa dei Venti c’è un possibile percorso, dal sentiero alpinistico alla sterrata carrabile: un solitario palo infisso al suolo indica le varie scelte.
Alla mia sinistra una lunghissima rampona tutta dossi e gobbe punta con decisione verso la quota 2.000 della Panarotta, ma credo di essermi già giocato il jolly per oggi, e poi sono in zona “minata”, meglio levare le ancore al più presto, per cui prudentemente scelgo la sterrata più facile e mi avvio verso la stazione sciistica più in basso.

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Son passato, sono un figo del tassello!

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La tentazione di fare quella rampona era grande, ma ho preferito non chiedere troppo alla sorte.


DO YOU SPEAK MOCHENO?

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Ora mi sposto in Svezia, come potete intuire dal cartello.

I Mòcheni sono un gruppo etnico di modeste dimensioni (poco più di 2000 persone), insediato lungo il versante orientale dell'omonima valle. Nella valle si parla un dialetto tedesco che sembra essere una diretta derivazione dell'alto tedesco antico portato qui nel Medioevo. L'origine dei Mocheni sembra vada fatta risalire ad un'immigrazione di coloni tedeschi, chiamati dai signori feudali alla fine del XIII secolo, allo scopo di rendere produttiva una zona fino ad allora scarsamente antropizzata.
Il termine deriverebbe da variante di pronuncia del verbo tedesco machen, "fare", caratterizzante i mocheni come popolo di lavoratori, e più specificamente della frase mache ich "faccio io" che nel dialetto diviene mòchen i da cui, appunto, mocheni.

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Ed ora si cambia: sterratoni fangosi nel bosco di abeti.

Ma non ho avuto occasioni di interloquire con i Mocheni; infatti mi mantenevo in quota, attorno ai 1.200-1.400 metri, incrociando solo vacche mochene allo stato brado, percorrendo lunghe sterrate fangose nelle foreste di abeti, ricche di fangose pozze marroni che guado imperterrito e sicuro come un vascello d’alto mare. Il temporale che da ore mi seguiva prova a scaricare la sua forza sulla mia testa, ma cadevano poche gocce che non mi disturbavano minimamente la guida.
Una sterrata chiusa per la posa di un acquedotto non era un problema, il gentilissimo operaio mi indicava una via alternativa per proseguire, sempre su sterrato.
Solo la carenza di benzina mi allertava, entravo in riserva; con 4 litri ne faccio di strada, ma se poi per caso trovavo un imprevisto che mi avrebbe costretto a tornare sui miei passi, allora poteva essere un problema.

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Non so, a me suggerisce qualche posto da “Grande Nord”, le foreste di Finlandia e Svezia …

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Tagliate quell’albero, mi rovina la foto.

Ma la benzina era sufficiente, anche perché nelle lunghe discese procedevo a motore spento per sfruttare l’effetto gravità.
Ho fatto le sterrate fra le brughiere in quota, ho fatto, le mulattiere, ho fatto le piste nelle foreste, cosa manca? Ma un po’ di sano “fiuming”!
E allora un piacevole percorso lungo il torrente mi riportava a valle: sterrata, acciottolato, terra battuta, asfalto alternati a casaccio, sempre accompagnato dallo scrosciare di cascate e dallo zampillare delle limpide acque.

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E per finire un pò di fiuming…

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… con cascate.

Di nuovo in Valsugana, veloce rientro per dove sono passato all’andata, passo della Fricca e Valdastico.

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Cartolina dalla Valsugana.

E anche la Valsugana è stata svelata.

Ciao
Alves

giro

Inviato: lun 24 nov, 2008 2:07 pm
da cichetelo
certo che ............ Alves... ne hai di coraggio per andare in giro con sto Elefante. :shock:
Comunque ancora complimenti, come vorrei poterti imitare!!!

Ciao Raffaele

Dispatrio III Valsugana svelata

Inviato: lun 24 nov, 2008 3:18 pm
da frank
proprio un bel giro...complimenti

Dispatrio III Valsugana svelata

Inviato: mer 26 nov, 2008 3:44 pm
da alp
Grandioso come al solito, Alves.

Mi è piaciuto tantissimo leggere il dialogo col malgaro. Sto facendo un corso accelerato di vicentino.

Grazie ma ... prudenza! ... e buon divertimento!!!