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L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”.
Prologo
Cos’è l’Awanagain Team e cosa c’entra la spedizione dei Garibaldini con una moto escursione al lembo estremo della penisola italica? E Alberto Sordi cosa ci fa su una moto americana degli anni ’50? La soluzione a tutti questi interrogativi “esistenziali” emergerà progressivamente seguendo passo passo l’evolversi di questa avventura.
Buona lettura.
Foto 17
INTRODUZIONE
I pensionati, si sa, vivono di ricordi. Rievocano vecchie storie negli incontri con gli amici, al bar o incontrandosi per le vie del centro storico. Non sono ancora in pensione ma, motociclisticamente è come se fossi in aspettativa (moto ferma da quasi tre mesi!). Ritorno, quindi, a un passato prossimo pieno di avventure vissute con amici vecchi e nuovi. E così, visto che siamo al motortriPub, vi voglio raccontare una delle ultime uscite fatte quest’inverno con un nuovo gruppo di “scalmanati”, quelli dell’Awanagain.
Foto 5
L’Awanagain Team è un gruppo di enduristi di antica tradizione nella mia città. Avevo sentito parlare di loro nei racconti mitici delle leggende metropolitane che vecchi compagni di viaggio narravano nei momenti di pausa, durante le uscite in fuoristrada. E’ gente tosta, piloti coraggiosi, enduristi esperti oltre che tecnicamente molto preparati. Non mi era mai capitato di incrociarli sugli sterrati locali. Solo una volta, per caso, uno di loro, Gennaro, aveva partecipato ad una escursione assieme ai “Cavalieri di San Giorgio” (vedi AVVENTURA PREPASQUALE A PIETRA KAPPA cliccando qui di seguito: http://motoalpinismo.forumup.it/viewtop ... oalpinismo) ed era così nata un’amicizia.
L’ANTEFATTO
Quando sabato sera, sul tardi, Gennarone mi telefona per invitarmi alla cavalcata del giorno dopo, subito vengo preso dalla paura e rifiuto, anche perché avevo impegni familiari. Un fremito ha scosso la mia schiena: pensare di cercare di star dietro ad una banda di enduristi sfegatati, rischiando di prendere qualche pietrata in faccia, non mi attirava per nulla. Questa paura dura però solo un quarto d’ora, non di più. Poi è subentrata la curiosità di conoscerli e il senso di orgoglio nell’essere ufficialmente invitato a partecipare ad una loro uscita… non è da tutti! Nell’arco di mezz’ora rintraccio moglie e figlie e riesco a liberarmi per l’intera mattinata, promettendo di rientrare per le due di pomeriggio.
Richiamo Gennaro e ci mettiamo d’accordo per l’appuntamento. Saremo cinque o sei e ci sarà anche Rocco, il leader indiscusso del Team, gran pilota ed eccellente meccanico. Tra curiosità e ansia passo le prime ore della serata immaginando di rimanere avvolto dalla polvere degli enduristi che mi precedono, sommerso dal fango durante l’attraversamento di luoghi impervi e soccombere alle sgommate dei miei compagni di avventura. Provare per credere.
L’APPUNTAMENTO
E così, puntuale come al solito, arrivo all’appuntamento. Trovo un WR 450 con la ruota posteriore smontata e Rocco che lavora nel retro del suo negozio per riparare la camera d’aria forata. Mi saluta appena, è concentratissimo sul suo lavoro. In meno di dieci minuti monta il retrotreno e si accorge della leva della frizione piegata. Con una 15 fa leva con attenzione e rimette il tutto a posto, meglio di prima. Niente male come inizio. Se la settimana scorsa ci fosse stato lui alla Fiumara di Mèlito probabilmente Tino non sarebbe rimasto a piedi col suo KTM (ma questa è un’altra storia che prima o poi vi racconterò).
Arrivano gli altri: siamo in sei. Ma perché Awanagain Team? – chiedo a Gennarone. Mi spiega che il nome deriva da una frase idiomatica che Alberto Sordi soleva ripetere durante un film di Steno, girato nel 1954, dal titolo “Un americano a Roma” in cui faceva la parte del romanaccio che si atteggiava ad americano. Il significato reale del termine, in effetti, significa “ne voglio ancora” (I wanna again” (è una forma slang, tipica del Bronx di New York City, N.Y.). Il gruppo di enduristi non ne vuole sapere di smettere di andare in moto. Da qui il motto!
Foto 18
Nella foto sotto: il gruppo al completo, prima della partenza, davanti al negozio di Rocco, concessionario KTM. Per l’occasione lui verrà con il 125 2T, snello come uno stambecco, che si vede centralmente. Gli altri cavalcano un HM, un WR e un Suzuki, tutti rigorosamente 450 racing, Gennaro è con la sua 520 KTM (il Tricker Yamaha è parcheggiato lì per caso!). Io sono, come al solito, la tartaruga della situazione ma, nonostante il mio lento procedere, li seguirò a ruota.
Foto 01
LA KASBAH E LA PRIMA STERRATA
Vanno avanti fra vicoli che attraversano il quartiere di Sbarre, viuzze in cui passiamo appena e di cui non conoscevo l’esistenza. Sembra di essere nella kasbah di una città musulmana! Passiamo fra baracche semidiroccate e casupole coi tetti in lamiera (questo è uno dei quartieri più poveri della città), anziane signore avvolte nei loro scialli neri si affacciano impaurite dal rombo dei motori. Un vecchio intento ad alimentare il suo braciere alza lo sguardo al nostro passaggio e ci sorride sornione. Raggiungiamo, seguendo passaggi laterali (col 125 non possiamo prendere l’autostrada), San Gregorio e saliamo lungo la Fiumara Valanidi II.
La lunghissima sterrata che sale dal mare mi fa assaggiare la polvere e qualche “sassolino”: mi trovo costretto ad abbassare la visiera del mio jet e a cavalcare a testa china per evitare pietrate al collo. Come inizio non è proprio dei migliori! Speriamo che la musica cambi in seguito!
Arriviamo alla “seconda di Valanidi” (la cui toponomastica corretta è il Ciosso). Corrono! Quando riesco a raggiungerli (giusto perché si sono fermati), Gennarone mi chiede se ne conosco qualche altra. Faccio segno di tornare indietro: saliremo seguendo un sentiero che porta a Serro Morello, una via piuttosto hard che poi prosegue sul crinale delle colline che sovrastano Ravagnese.
E’ una sterrata piuttosto difficile. La pioggia recente ha creato scanalature irregolari nel terreno che spesso è ostacolato da smottamenti. Nonostante le difficoltà nessuno è costretto a fermarsi e il gruppo procede avanti compatto. Io molte lunghezze indietro, arranco lentamente mentre sento il rombo dei loro motori racing scomparire nel nulla. Poco male: si fermeranno all’incrocio ad aspettarmi.
Foto 2
Breve sosta di controllo: i bulloni della corona lenti. Un paio di giri di brugola e tutto è a posto.
E così, al bivio per Padella, quando si fermano per sapere verso dove procedere, colgo i loro sorrisi sgargianti dentro i caschi integrali. Questo primo tratto è stato gradito: dovremmo proseguire per la Contrada Genovese ma il WR ha di nuovo problemi: non è giornata!!! Stavolta è la ruota anteriore ad essere bucata, probabilmente qualche spuntone di roccia avrà pizzicato la camera d’aria all’atterraggio dopo un salto. Nonostante la mia bomboletta di Fast, pare proprio che la ruota non ne voglia sapere di tirarsi su. A questo punto, visto che il paese è vicino, Rocco suggerisce all’amico sfortunato di rientrare, “che non è giornata!” Ci salutiamo e proseguiamo in quattro. Assieme (Suzuki e WR) cercheranno un gommista in zona, altrimenti rientreranno a casa.
Foto 3
Niente da fare oggi: sembra un segno del destino! Prima la ruota posteriore, poi l’altra. Meglio lasciar perdere. Sarà per un’altra volta.
Fine della prima parte.
Continua...
Prologo
Cos’è l’Awanagain Team e cosa c’entra la spedizione dei Garibaldini con una moto escursione al lembo estremo della penisola italica? E Alberto Sordi cosa ci fa su una moto americana degli anni ’50? La soluzione a tutti questi interrogativi “esistenziali” emergerà progressivamente seguendo passo passo l’evolversi di questa avventura.
Buona lettura.
Foto 17
INTRODUZIONE
I pensionati, si sa, vivono di ricordi. Rievocano vecchie storie negli incontri con gli amici, al bar o incontrandosi per le vie del centro storico. Non sono ancora in pensione ma, motociclisticamente è come se fossi in aspettativa (moto ferma da quasi tre mesi!). Ritorno, quindi, a un passato prossimo pieno di avventure vissute con amici vecchi e nuovi. E così, visto che siamo al motortriPub, vi voglio raccontare una delle ultime uscite fatte quest’inverno con un nuovo gruppo di “scalmanati”, quelli dell’Awanagain.
Foto 5
L’Awanagain Team è un gruppo di enduristi di antica tradizione nella mia città. Avevo sentito parlare di loro nei racconti mitici delle leggende metropolitane che vecchi compagni di viaggio narravano nei momenti di pausa, durante le uscite in fuoristrada. E’ gente tosta, piloti coraggiosi, enduristi esperti oltre che tecnicamente molto preparati. Non mi era mai capitato di incrociarli sugli sterrati locali. Solo una volta, per caso, uno di loro, Gennaro, aveva partecipato ad una escursione assieme ai “Cavalieri di San Giorgio” (vedi AVVENTURA PREPASQUALE A PIETRA KAPPA cliccando qui di seguito: http://motoalpinismo.forumup.it/viewtop ... oalpinismo) ed era così nata un’amicizia.
L’ANTEFATTO
Quando sabato sera, sul tardi, Gennarone mi telefona per invitarmi alla cavalcata del giorno dopo, subito vengo preso dalla paura e rifiuto, anche perché avevo impegni familiari. Un fremito ha scosso la mia schiena: pensare di cercare di star dietro ad una banda di enduristi sfegatati, rischiando di prendere qualche pietrata in faccia, non mi attirava per nulla. Questa paura dura però solo un quarto d’ora, non di più. Poi è subentrata la curiosità di conoscerli e il senso di orgoglio nell’essere ufficialmente invitato a partecipare ad una loro uscita… non è da tutti! Nell’arco di mezz’ora rintraccio moglie e figlie e riesco a liberarmi per l’intera mattinata, promettendo di rientrare per le due di pomeriggio.
Richiamo Gennaro e ci mettiamo d’accordo per l’appuntamento. Saremo cinque o sei e ci sarà anche Rocco, il leader indiscusso del Team, gran pilota ed eccellente meccanico. Tra curiosità e ansia passo le prime ore della serata immaginando di rimanere avvolto dalla polvere degli enduristi che mi precedono, sommerso dal fango durante l’attraversamento di luoghi impervi e soccombere alle sgommate dei miei compagni di avventura. Provare per credere.
L’APPUNTAMENTO
E così, puntuale come al solito, arrivo all’appuntamento. Trovo un WR 450 con la ruota posteriore smontata e Rocco che lavora nel retro del suo negozio per riparare la camera d’aria forata. Mi saluta appena, è concentratissimo sul suo lavoro. In meno di dieci minuti monta il retrotreno e si accorge della leva della frizione piegata. Con una 15 fa leva con attenzione e rimette il tutto a posto, meglio di prima. Niente male come inizio. Se la settimana scorsa ci fosse stato lui alla Fiumara di Mèlito probabilmente Tino non sarebbe rimasto a piedi col suo KTM (ma questa è un’altra storia che prima o poi vi racconterò).
Arrivano gli altri: siamo in sei. Ma perché Awanagain Team? – chiedo a Gennarone. Mi spiega che il nome deriva da una frase idiomatica che Alberto Sordi soleva ripetere durante un film di Steno, girato nel 1954, dal titolo “Un americano a Roma” in cui faceva la parte del romanaccio che si atteggiava ad americano. Il significato reale del termine, in effetti, significa “ne voglio ancora” (I wanna again” (è una forma slang, tipica del Bronx di New York City, N.Y.). Il gruppo di enduristi non ne vuole sapere di smettere di andare in moto. Da qui il motto!
Foto 18
Nella foto sotto: il gruppo al completo, prima della partenza, davanti al negozio di Rocco, concessionario KTM. Per l’occasione lui verrà con il 125 2T, snello come uno stambecco, che si vede centralmente. Gli altri cavalcano un HM, un WR e un Suzuki, tutti rigorosamente 450 racing, Gennaro è con la sua 520 KTM (il Tricker Yamaha è parcheggiato lì per caso!). Io sono, come al solito, la tartaruga della situazione ma, nonostante il mio lento procedere, li seguirò a ruota.
Foto 01
LA KASBAH E LA PRIMA STERRATA
Vanno avanti fra vicoli che attraversano il quartiere di Sbarre, viuzze in cui passiamo appena e di cui non conoscevo l’esistenza. Sembra di essere nella kasbah di una città musulmana! Passiamo fra baracche semidiroccate e casupole coi tetti in lamiera (questo è uno dei quartieri più poveri della città), anziane signore avvolte nei loro scialli neri si affacciano impaurite dal rombo dei motori. Un vecchio intento ad alimentare il suo braciere alza lo sguardo al nostro passaggio e ci sorride sornione. Raggiungiamo, seguendo passaggi laterali (col 125 non possiamo prendere l’autostrada), San Gregorio e saliamo lungo la Fiumara Valanidi II.
La lunghissima sterrata che sale dal mare mi fa assaggiare la polvere e qualche “sassolino”: mi trovo costretto ad abbassare la visiera del mio jet e a cavalcare a testa china per evitare pietrate al collo. Come inizio non è proprio dei migliori! Speriamo che la musica cambi in seguito!
Arriviamo alla “seconda di Valanidi” (la cui toponomastica corretta è il Ciosso). Corrono! Quando riesco a raggiungerli (giusto perché si sono fermati), Gennarone mi chiede se ne conosco qualche altra. Faccio segno di tornare indietro: saliremo seguendo un sentiero che porta a Serro Morello, una via piuttosto hard che poi prosegue sul crinale delle colline che sovrastano Ravagnese.
E’ una sterrata piuttosto difficile. La pioggia recente ha creato scanalature irregolari nel terreno che spesso è ostacolato da smottamenti. Nonostante le difficoltà nessuno è costretto a fermarsi e il gruppo procede avanti compatto. Io molte lunghezze indietro, arranco lentamente mentre sento il rombo dei loro motori racing scomparire nel nulla. Poco male: si fermeranno all’incrocio ad aspettarmi.
Foto 2
Breve sosta di controllo: i bulloni della corona lenti. Un paio di giri di brugola e tutto è a posto.
E così, al bivio per Padella, quando si fermano per sapere verso dove procedere, colgo i loro sorrisi sgargianti dentro i caschi integrali. Questo primo tratto è stato gradito: dovremmo proseguire per la Contrada Genovese ma il WR ha di nuovo problemi: non è giornata!!! Stavolta è la ruota anteriore ad essere bucata, probabilmente qualche spuntone di roccia avrà pizzicato la camera d’aria all’atterraggio dopo un salto. Nonostante la mia bomboletta di Fast, pare proprio che la ruota non ne voglia sapere di tirarsi su. A questo punto, visto che il paese è vicino, Rocco suggerisce all’amico sfortunato di rientrare, “che non è giornata!” Ci salutiamo e proseguiamo in quattro. Assieme (Suzuki e WR) cercheranno un gommista in zona, altrimenti rientreranno a casa.
Foto 3
Niente da fare oggi: sembra un segno del destino! Prima la ruota posteriore, poi l’altra. Meglio lasciar perdere. Sarà per un’altra volta.
Fine della prima parte.
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Ultima modifica di alp il gio 01 gen, 1970 1:00 am, modificato 1 volta in totale.
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
alp
- max37
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- Località: Dueville ( Vi ) Moto: Cagiva Navigator 1000 Beta Alp 200
L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
che sfiga
Max37
http://www.tecnicamotori.it/
La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.
Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
http://www.tecnicamotori.it/
La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.
Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
SUL CRINALE DELLA CATENA DEI COLLI
(e non c’entra coi capi”COLLI”)
Non è la prima volta che capita che qualcuno del gruppo sia rimasto in panne. E non è la prima volta che, spontaneamente, il suo migliore amico decida di accompagnarlo per rientrare insieme. La solidarietà tra motociclisti si manifesta anche in questi piccoli atti di cortesia, semplice e spontanea.
Rimaniamo, perciò, in quattro e puntiamo decisamente verso Monte Cosentino, in fila indiana. Vado avanti lungo sentieri che si incrociano e loro fremono dietro. Sento i motori scalpitare e ho difficoltà a percepire il rumorino della mia Alpetta. Seguiamo la linea dei monti, proprio lungo la cima. Il crinale della catena collinare è battuto dal vento. Procediamo ad andatura lenta, inclinati di lato per contrastare l’intensità dei forti soffioni eoliani. Lo spettacolo del mare è incantevole da quest’altezza. Ci fermiamo un attimo e avverto che se qualcuno dovesse soffrire di vertigini sarebbe meglio deviare verso valle. Tutti mi fanno segno OK col pollice in alto. Avanti! Scorazziamo nel verde lungo un tratto collinare non coltivato per l’eccessiva pendenza e il forte vento. Scivolare qui vuol dire arrivare alla stradina a valle con un capitombolo di almeno 100m di dislivello. Meglio non pensarci!
Foto 4
Il tempo è grigio, plumbeo. Guardiamo in alto, verso i monti e sappiamo che lì non ci dovremo avvicinare: starà, di sicuro, nevicando. Meglio mantenerci in collina. I tre superstiti dell’Awanagain Team si divertono a scorazzare nel verde incolto della collina a spiovente sul mare, troppo battuta dai venti per poter permettere qualsiasi forma di coltivazione. “I wanna again” (ne voglio ancora) sembra ululare il forte vento in quota, o forse è solo la voce corale del gruppo di amici che non ne vuol sapere di abbandonare questo fantastico e magico luogo per proseguire il cammino. Dopo non poche urla (e qui ho fatto emergere il ruolo del Prof.) per farmi sentire (fra gli integrali da enduro e il rombo delle racing non era facile) li richiamo all’ordine riuscendo a convincerli a proseguire. Puntiamo dritti verso il Lago di Scillupia attraverso scorciatoie che i miei compagni non conoscevano. Mulattiere praticate dagli allevatori del posto che portano a pascolare le loro greggi alla ricerca di prati verdi.
Foto 6
Non ci provo neanche a salire su un mostro del genere. Il CRF 450 di Ciccio è alto quanto basta a intimorirmi. E dove poggerei i piedi se mi fermassi? Meglio lasciar perdere!
Trotterellando avanti, mi rendo conto dopo alcuni minuti che non riesco più a sentire il rombo delle motone del gruppo: che stia andando troppo veloce non mi passa neanche per la testa. Mi fermo per guardare che fine abbiano fatto gli amici e mi accorgo di averli persi. So che tornare indietro potrebbe essere rischioso e così li aspetto tranquillo al bordo della carreggiabile appena imboccata. Approfitto per bere e mettere giù qualcosa che mi faccia recuperare un po’ di energia. La fatica comincia a farsi sentire. Finalmente qualcuno arriva: è Ciccio che mi avverte che si sono fermati perché il 520 di Gennaro cominciava a surriscaldare, forse per mancanza d’acqua nel radiatore. Decidiamo di aspettare gli altri e andare a valle per cercare qualche fontana lungo la strada.
Foto 20
Con l’aiuto di Rocco, il nostro Gennarone fa il pieno al radiatore e continuiamo a procedere verso valle. Attraversiamo il paese di Motta e imbocchiamo una carrareccia che ci porta verso Sant’Andrea. Risaliamo prudentemente lungo il letto di un torrente da cui, a monte, si stacca un sentiero che conduce a Monte Agliola (362m slm). Il gruppo procede sempre compatto: i tre piloti dell’Awanagain Team avanti ed io arrancando dietro, a distanza e con molta fatica. Con i potenti enduro racing la salita è gradevolissima. Pennellano le curve derapando dolcemente e, all’uscita, continuando a far slittare la ruota posteriore con un colpo d’acceleratore. Io procedo sempre in aderenza. I pochi cavalli della mia motoretta bastano appena e le gomme da trial non mi permettono di piegarmi in curva più di tanto.
Quando incrociamo la strada asfaltata ci fermiamo a riposare. Apro il mio solito zaino (qualcuno mi prende in giro soprannominandomi Eta Beta, il famoso personaggio dei fumetti di Disney) e tiro fuori i rinomati torroni di Squillace, una specialità deliese, ma solo Ciccio li accetta. Gennaro ha avuto da poco problemi di stomaco (ha esagerato coi dolci) e Rocco preferisce mantenersi leggero (beve il suo litro e mezzo di tea fatto in casa). Durante la sosta si decide la tappa successiva: si scenderà lungo una fiumara non troppo in piena e poi risaliremo su un sentiero impervio ma non impossibile.
IL RITO INIZIATICO
Ad un bivio mi soffermo un attimo a riflettere: è il momento! Si, penso con un impeto d’orgoglio, è il momento di mostrare ciò di cui sono capace. Decido, quindi, di seguire un percorso hard, con pavimentazione completamente andata. Canaloni profondi quasi mezzo metro disposti longitudinalmente e di traverso rappresentano gli ostacoli che ci tocca affrontare con non poche difficoltà. Dall’alto delle loro enduro racing questo tratto impervio rappresenta di sicuro una prova di grande abilità. Dal basso della sella del mio Beta è relativamente facile rimanere in piedi controllando la moto.
Riuscire a completare questa breve ma difficile tratta mi ha certamente permesso di ottenere il battesimo ufficiale da parte di questo gruppo di “scalmanati”. E si, bisogna superare delle prove difficili in un rito iniziatico prima di poter entrare a far parte di un gruppo: è un’antica tradizione ultramillenaria che appartiene a qualsiasi comunità etnica. Non di meno anche l’Awanagain Team richiede qualche sacrificio. Lo faccio di buon grado consapevole, comunque, che un motoalpinista non potrà mai entrare a pieno titolo a far parte di un team di enduristi puri come loro. E’ così, punto e basta!
Superata la prova ci fermiamo per i commenti: sono entusiasti e, forse, dopo qualche passaggio trialistico, Rocco (che è meno alto di me!) avrà capito un po’ meglio perché uso questa buffa motoretta che sembra un bassotto. Dall’alto del suo KTM 125 se l’è vista brutta un paio di volte quando gli è mancato il terreno sotto i piedi.
continua...
(e non c’entra coi capi”COLLI”)
Non è la prima volta che capita che qualcuno del gruppo sia rimasto in panne. E non è la prima volta che, spontaneamente, il suo migliore amico decida di accompagnarlo per rientrare insieme. La solidarietà tra motociclisti si manifesta anche in questi piccoli atti di cortesia, semplice e spontanea.
Rimaniamo, perciò, in quattro e puntiamo decisamente verso Monte Cosentino, in fila indiana. Vado avanti lungo sentieri che si incrociano e loro fremono dietro. Sento i motori scalpitare e ho difficoltà a percepire il rumorino della mia Alpetta. Seguiamo la linea dei monti, proprio lungo la cima. Il crinale della catena collinare è battuto dal vento. Procediamo ad andatura lenta, inclinati di lato per contrastare l’intensità dei forti soffioni eoliani. Lo spettacolo del mare è incantevole da quest’altezza. Ci fermiamo un attimo e avverto che se qualcuno dovesse soffrire di vertigini sarebbe meglio deviare verso valle. Tutti mi fanno segno OK col pollice in alto. Avanti! Scorazziamo nel verde lungo un tratto collinare non coltivato per l’eccessiva pendenza e il forte vento. Scivolare qui vuol dire arrivare alla stradina a valle con un capitombolo di almeno 100m di dislivello. Meglio non pensarci!
Foto 4
Il tempo è grigio, plumbeo. Guardiamo in alto, verso i monti e sappiamo che lì non ci dovremo avvicinare: starà, di sicuro, nevicando. Meglio mantenerci in collina. I tre superstiti dell’Awanagain Team si divertono a scorazzare nel verde incolto della collina a spiovente sul mare, troppo battuta dai venti per poter permettere qualsiasi forma di coltivazione. “I wanna again” (ne voglio ancora) sembra ululare il forte vento in quota, o forse è solo la voce corale del gruppo di amici che non ne vuol sapere di abbandonare questo fantastico e magico luogo per proseguire il cammino. Dopo non poche urla (e qui ho fatto emergere il ruolo del Prof.) per farmi sentire (fra gli integrali da enduro e il rombo delle racing non era facile) li richiamo all’ordine riuscendo a convincerli a proseguire. Puntiamo dritti verso il Lago di Scillupia attraverso scorciatoie che i miei compagni non conoscevano. Mulattiere praticate dagli allevatori del posto che portano a pascolare le loro greggi alla ricerca di prati verdi.
Foto 6
Non ci provo neanche a salire su un mostro del genere. Il CRF 450 di Ciccio è alto quanto basta a intimorirmi. E dove poggerei i piedi se mi fermassi? Meglio lasciar perdere!
Trotterellando avanti, mi rendo conto dopo alcuni minuti che non riesco più a sentire il rombo delle motone del gruppo: che stia andando troppo veloce non mi passa neanche per la testa. Mi fermo per guardare che fine abbiano fatto gli amici e mi accorgo di averli persi. So che tornare indietro potrebbe essere rischioso e così li aspetto tranquillo al bordo della carreggiabile appena imboccata. Approfitto per bere e mettere giù qualcosa che mi faccia recuperare un po’ di energia. La fatica comincia a farsi sentire. Finalmente qualcuno arriva: è Ciccio che mi avverte che si sono fermati perché il 520 di Gennaro cominciava a surriscaldare, forse per mancanza d’acqua nel radiatore. Decidiamo di aspettare gli altri e andare a valle per cercare qualche fontana lungo la strada.
Foto 20
Con l’aiuto di Rocco, il nostro Gennarone fa il pieno al radiatore e continuiamo a procedere verso valle. Attraversiamo il paese di Motta e imbocchiamo una carrareccia che ci porta verso Sant’Andrea. Risaliamo prudentemente lungo il letto di un torrente da cui, a monte, si stacca un sentiero che conduce a Monte Agliola (362m slm). Il gruppo procede sempre compatto: i tre piloti dell’Awanagain Team avanti ed io arrancando dietro, a distanza e con molta fatica. Con i potenti enduro racing la salita è gradevolissima. Pennellano le curve derapando dolcemente e, all’uscita, continuando a far slittare la ruota posteriore con un colpo d’acceleratore. Io procedo sempre in aderenza. I pochi cavalli della mia motoretta bastano appena e le gomme da trial non mi permettono di piegarmi in curva più di tanto.
Quando incrociamo la strada asfaltata ci fermiamo a riposare. Apro il mio solito zaino (qualcuno mi prende in giro soprannominandomi Eta Beta, il famoso personaggio dei fumetti di Disney) e tiro fuori i rinomati torroni di Squillace, una specialità deliese, ma solo Ciccio li accetta. Gennaro ha avuto da poco problemi di stomaco (ha esagerato coi dolci) e Rocco preferisce mantenersi leggero (beve il suo litro e mezzo di tea fatto in casa). Durante la sosta si decide la tappa successiva: si scenderà lungo una fiumara non troppo in piena e poi risaliremo su un sentiero impervio ma non impossibile.
IL RITO INIZIATICO
Ad un bivio mi soffermo un attimo a riflettere: è il momento! Si, penso con un impeto d’orgoglio, è il momento di mostrare ciò di cui sono capace. Decido, quindi, di seguire un percorso hard, con pavimentazione completamente andata. Canaloni profondi quasi mezzo metro disposti longitudinalmente e di traverso rappresentano gli ostacoli che ci tocca affrontare con non poche difficoltà. Dall’alto delle loro enduro racing questo tratto impervio rappresenta di sicuro una prova di grande abilità. Dal basso della sella del mio Beta è relativamente facile rimanere in piedi controllando la moto.
Riuscire a completare questa breve ma difficile tratta mi ha certamente permesso di ottenere il battesimo ufficiale da parte di questo gruppo di “scalmanati”. E si, bisogna superare delle prove difficili in un rito iniziatico prima di poter entrare a far parte di un gruppo: è un’antica tradizione ultramillenaria che appartiene a qualsiasi comunità etnica. Non di meno anche l’Awanagain Team richiede qualche sacrificio. Lo faccio di buon grado consapevole, comunque, che un motoalpinista non potrà mai entrare a pieno titolo a far parte di un team di enduristi puri come loro. E’ così, punto e basta!
Superata la prova ci fermiamo per i commenti: sono entusiasti e, forse, dopo qualche passaggio trialistico, Rocco (che è meno alto di me!) avrà capito un po’ meglio perché uso questa buffa motoretta che sembra un bassotto. Dall’alto del suo KTM 125 se l’è vista brutta un paio di volte quando gli è mancato il terreno sotto i piedi.
continua...
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
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- max37
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mi sa che prima o poi devo venirti a trovare
Max37
http://www.tecnicamotori.it/
La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.
Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
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Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
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L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
Si ma quando non piove.
Di acqua ci basta la nostra.
Ciao Lino ,spero che dalla prossima settimana tu possa finalmente allietarci con i tuoi nuovi report in sella alla rinata Alpetta.
Claudio.
Di acqua ci basta la nostra.
Ciao Lino ,spero che dalla prossima settimana tu possa finalmente allietarci con i tuoi nuovi report in sella alla rinata Alpetta.
Claudio.
- betaflo
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- Iscritto il: ven 21 dic, 2007 12:44 pm
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Una giornata un pò sfortunata; leggo comunque che ti sei divertito.
La tua alpetta ti stà chiamando, non farla aspettare
Ciao!!
La tua alpetta ti stà chiamando, non farla aspettare
Ciao!!
Il mondo è un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina
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Grazie all'intervento del nostro generoso Husky, domani dovrebbero arrivare i ricambi per l'Alp . Spero di tornare ad essere operativo quanto prima.
Proprio dieci minuti fa, ho ricevuto il file del percorso che gli amici hanno realizzato sabato scorso in Sicilia. Peccato non esserci stato! Mi hanno raccontato che si sono divertiti molto. Spero che qualcuno di loro si attivi per realizzare un bel report fotografico.
Proprio dieci minuti fa, ho ricevuto il file del percorso che gli amici hanno realizzato sabato scorso in Sicilia. Peccato non esserci stato! Mi hanno raccontato che si sono divertiti molto. Spero che qualcuno di loro si attivi per realizzare un bel report fotografico.
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
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L’Awanagain Team e il sentiero de “i Mille”
IL SENTIERO DE “I MILLE”
Siamo arrivati al fondo della vallata. Loro sono già lì che mi aspettano e nonostante le difficoltà sono belli e pimpanti, non proprio come me, stanco e preoccupato dopo essere riuscito a stento a evitare più di una caduta proprio al limite, nonostante la sella bassa dell’Alpetta. Il letto della fiumara in secca ci accoglie. Guardiamo intorno a noi affascinati. Il mio sguardo cerca il sentiero che più di un secolo fa permise a qualche migliaio di “camicie rosse” di salire in collina ed accamparsi per la notte prima di affrontare le difficoltà di quello che sarà lo strano destino dell’eroe dei due mondi: essere ferito ad una gamba proprio nel cuore dell’Aspromonte.
Ecco! In lontananza appare il bivio che dalla fiumara si arrampica ripido lungo la massima pendenza della collina. E’ lui, ma non promette niente di buono: erba verde (e scivolosa) e fango dovranno essere affrontati per poter arrivare in cima e proseguire lungo il crinale fino a giungere alle Colline di Carcea, mitico luogo entrato nella storia dell’unità d’Italia per aver ospitato l’accampamento dell’esercito garibaldino nelle notti che hanno preceduto la battaglia aspromontana.
IL FANGO
Si sale, si sale lungo un sentiero d’erba su cui le jeep hanno lasciato due strisce di fango. Facciamo attenzione a rimanere sul verde ma, nonostante ciò, perdo il controllo e finisco lungo una binario di fango. La moto non ne vuole sapere di ripartire: salita ripida e fondo viscido. Gennaro mi urla di uscire dal binario e rimanere sul verde. Loro coi tasselli da enduro vanno che è una meraviglia! Seguo il suo consiglio ed evito di affrontare la salita dalla massima pendenza… e arrivo anch’io su. Proseguiamo ancora per qualche centinaio di metri e ci ricolleghiamo alla dorsale che sale fino a Monte Torrione (969m slm).
Foto 7
Scolliniamo sull’altro versante, andiamo verso Punta Colonna dove troveremo fango fino ad affondare. La mia Alpetta rimarrà bloccata e in aiuto accorrerà il generoso Ciccio (in primo piano nella foto sotto). Fango che blocca la ruota posteriore. Fango che blocca la ruota anteriore. Fango negli stivali che affondano nel grigio melmoso fino alla caviglia: sabbie mobili? Ma, come per magia (non so ancora come!), inserita la primina, riesco a disimpegnarmi prima che intervenga Ciccio: miracoli di questa motoretta!
Foto 14
Avanti, sempre più su, finalmente usciamo dalla zona fangosa. Il terreno si compatta ed è un piacere andare. Non sarà un caso se l’imago collettiva prevede l’endurista infangato ed il trialista pulitino: con le gomme da trial non si riesce ad andare bene sul terreno argilloso! Pur togliendo il parafango anteriore la ruota non va e la poca potenza del motore non riesce a liberare il copertone dal fango che si accumula dietro il forcellone.
Proseguiamo in mezzo agli spruzzi di fango che mi arrivano in faccia lanciati dalla mia ruota anteriore. Ma ora che mi sono liberato dalla terribile morsa fa anche piacere essere colpiti da qualche chilo di terra argillosa altrimenti, tornare a casa senza macchie non c’è gusto (la battuta è per anna73 che se la deve vedere con tre centauri scalmanati!). Un consiglio dopo la seconda brutta esperienza col fango: evitate di entrarci con le gomme da trial!
LE COLLINE DI CARCEA
Foto 8
E passiamo, quindi a paesaggi più bucolici. Nella foto sopra, quella macchiolina colorata sono i miei compagni di viaggio immersi nel verde meraviglioso delle colline di Carcea. Siamo a mezzacosta: a Nord si sale verso la zona preaspromontana, a sud si arriva a Mèlito Porto Salvo, dove il 19 agosto 1860, Garibaldi sbarcò con 3.360 camicie rosse.
I GARIBALDINI SULLE COLLINE DI CARCEA
Partito da Quarto, avversato nelle sue intenzioni dal Presidente del Consiglio Cavour, dopo la liberazione della Sicilia dal giogo borbonico, Garibaldi decide di attraversare lo stretto di Messina e sbarcare in Calabria.
Salpati da Giardini (vicino Taormina), verso l’una della notte di domenica 19 agosto le navi garibaldine giungono sulla costa calabrese, a Melito. Qui, sfortunatamente, si incagliavano sulla spiaggia di Rumbolo. Ogni sforzo per disincagliarle fu vano. I pescatori di Melito, indifferenti agli avvenimenti politici che stavano succedendo, con le loro barche e a “suon di quattrini” (che vergogna!) aiutarono i garibaldini a sbarcare dalle navi incagliate.
Garibaldi, sbarcato con 3.360 camicie rosse, si diresse col suo stato maggiore alla casina Ramirez (in Annà, oggi rinomato ristorante della zona), e vi stabilì il suo quartier generale. Il resto delle camicie rosse si accampò sulle colline di Carcea, proprio nei luoghi che abbiamo appena attraversato.
Foto 19
Che fatica seguirli e poi, una volta che riesco ad avvicinarmi ecco che ripartono di gran carriera. Neanche il tempo per fare foto. L’enduro è questo!
Nella foto sotto la silouette (si fa per dire) di Rocco e Ciccio. Stavolta sono riuscito ad anticipare il gruppo: li ho fregati con la scusa di far loro ammirare il panorama e sono scappato, letteralmente a razzo, per catapultarmi avanti e piazzarmi in posizione per riprendere il gruppo.
Foto 9
Liberatici dall’incubo del fango, saliamo fin sui 1000m slm. L’aria piacevolmente fresca crea uno strano effetto eccitatorio sul nostro Gennarone che impenna il suo 520 come se fosse un quattordicenne sul motorino (da notare invece che il nostro “giovanotto” è padre di 5, dico cinque, figlie!!!!). E sotto, il nostro “Awanagain” in piena azione, in posizione d’attacco.
Foto 10
SE NON CI FOSSE ROCCO…
Foto 11
Basta! Non ce la faccio più! Mi hanno distrutto. Accidenti! Sono proprio tosti questi qui! Aspetto che qualcuno di loro si fermi. Non gliela voglio dare questa soddisfazione. Comunque, andrò avanti finché mi tiene il fiato: certo non voglio correre il rischio di farmi male. Rallento ancora (ma si può rallentare oltre?). Finalmente noto una fontanella: sono salvo! Pausa-lavaggio! Sosta per togliere un po’ di fango: Rocco pulisce il suo 125 e poi passa la pompa a Gennaro che, incoscientemente, riesce a bagnare la candela costringendo il paziente Rocco a smontarla e asciugarla.
Foto 12
Beh, che dire di questa foto? Coincidenza: che getto “la pompa di Rocco”!!!!!
Foto 13
La gita prosegue, sempre a mezzacosta, nella zona a monte di Fossato. Il recupero durante la sosta-lavaggio è bastato solo parzialmente a rimettermi in sesto. Gli “scalmanati” continuano le loro corse, o forse è solo la mia abitudine a viaggiare lento che mi fa percepire la loro andatura come veloce. D’altra parte devo rientrare per l’ora di pranzo, l’ho promesso ai miei familiari, per cui cerco di mettercela tutta per non restare troppo indietro.
Concludiamo con un primo piano di Gennarone che, ovviamente, è sempre in movimento (non riesce a stare mai fermo quest’uomo) e di Ciccio (tranquillo ma grintoso al punto giusto quando serve esserlo!).
Foto 15
Foto 16
RIFLESSIONI “RESPIRATORIE”
Nuovi amici, esperti, viaggiano veloci sui loro mezzi elaborati. Cerco di seguirli ma mi accorgo di perdere qualcosa: la calma e il respiro lento. Mi viene in mente Ernesto, che del respiro ascetico è un profondo conoscitore. Se corro vado in anaerobiosi, entro in dispnea e mi manca la percezione dell’armonia del mio corpo nello spazio che mi circonda. Il procedere lento, che tanto mi è mancato in questa avventura odierna, mi fa sentire meglio gli odori circostanti e mi permette una respirazione diaframmatica più che toracica, quest’ultima tipica dell’affanno. Rifletto sulle mie esperienze in compagnia di agguerriti enduristi e capisco ancora di più la profonda differenza che esiste col mio modo di concepire il viaggiare in moto per sterrati: questo è il motoalpinismo… e i miei amici di forum sono lontani…
Post scriptum:
Qualcuno di voi, esperti di moto d’epoca, ricorda quale fosse quella su cui ”l’Albertaccio nazionale” ha girato il film? Provate a visionare qualche spezzone che potrebbe essere d’aiuto cliccando su http://www.film.tv.it/trailer.php/410/u ... no-a-roma/ e poi cliccate su “TRAILER” per vedere il filmato.
Post post scriptum:
Svelato l’arcano! Con l’avventura odierna abbiamo coniugato la filmografia della De Laurentis con la storia dell’unità d’Italia, la cultura popolare e quella scolastica, l’escursione motoalpinistica e le leggende metropolitane della città di Reggio in una miscela che solo lo spirito tollerante e bontempone al tempo stesso dei nostri pazienti lettori ci può permettere.
Ringrazio i miei “compagni di gioco” per avermi aspettato a lungo ai numerosi bivi dell’infinita rete di sentieri che popolano la nostra provincia e mi scuso per non aver avuto prima la possibilità di pubblicare sul forum questo report con le foto che da diverso tempo aspettavano.
Ciao e…
Siamo arrivati al fondo della vallata. Loro sono già lì che mi aspettano e nonostante le difficoltà sono belli e pimpanti, non proprio come me, stanco e preoccupato dopo essere riuscito a stento a evitare più di una caduta proprio al limite, nonostante la sella bassa dell’Alpetta. Il letto della fiumara in secca ci accoglie. Guardiamo intorno a noi affascinati. Il mio sguardo cerca il sentiero che più di un secolo fa permise a qualche migliaio di “camicie rosse” di salire in collina ed accamparsi per la notte prima di affrontare le difficoltà di quello che sarà lo strano destino dell’eroe dei due mondi: essere ferito ad una gamba proprio nel cuore dell’Aspromonte.
Ecco! In lontananza appare il bivio che dalla fiumara si arrampica ripido lungo la massima pendenza della collina. E’ lui, ma non promette niente di buono: erba verde (e scivolosa) e fango dovranno essere affrontati per poter arrivare in cima e proseguire lungo il crinale fino a giungere alle Colline di Carcea, mitico luogo entrato nella storia dell’unità d’Italia per aver ospitato l’accampamento dell’esercito garibaldino nelle notti che hanno preceduto la battaglia aspromontana.
IL FANGO
Si sale, si sale lungo un sentiero d’erba su cui le jeep hanno lasciato due strisce di fango. Facciamo attenzione a rimanere sul verde ma, nonostante ciò, perdo il controllo e finisco lungo una binario di fango. La moto non ne vuole sapere di ripartire: salita ripida e fondo viscido. Gennaro mi urla di uscire dal binario e rimanere sul verde. Loro coi tasselli da enduro vanno che è una meraviglia! Seguo il suo consiglio ed evito di affrontare la salita dalla massima pendenza… e arrivo anch’io su. Proseguiamo ancora per qualche centinaio di metri e ci ricolleghiamo alla dorsale che sale fino a Monte Torrione (969m slm).
Foto 7
Scolliniamo sull’altro versante, andiamo verso Punta Colonna dove troveremo fango fino ad affondare. La mia Alpetta rimarrà bloccata e in aiuto accorrerà il generoso Ciccio (in primo piano nella foto sotto). Fango che blocca la ruota posteriore. Fango che blocca la ruota anteriore. Fango negli stivali che affondano nel grigio melmoso fino alla caviglia: sabbie mobili? Ma, come per magia (non so ancora come!), inserita la primina, riesco a disimpegnarmi prima che intervenga Ciccio: miracoli di questa motoretta!
Foto 14
Avanti, sempre più su, finalmente usciamo dalla zona fangosa. Il terreno si compatta ed è un piacere andare. Non sarà un caso se l’imago collettiva prevede l’endurista infangato ed il trialista pulitino: con le gomme da trial non si riesce ad andare bene sul terreno argilloso! Pur togliendo il parafango anteriore la ruota non va e la poca potenza del motore non riesce a liberare il copertone dal fango che si accumula dietro il forcellone.
Proseguiamo in mezzo agli spruzzi di fango che mi arrivano in faccia lanciati dalla mia ruota anteriore. Ma ora che mi sono liberato dalla terribile morsa fa anche piacere essere colpiti da qualche chilo di terra argillosa altrimenti, tornare a casa senza macchie non c’è gusto (la battuta è per anna73 che se la deve vedere con tre centauri scalmanati!). Un consiglio dopo la seconda brutta esperienza col fango: evitate di entrarci con le gomme da trial!
LE COLLINE DI CARCEA
Foto 8
E passiamo, quindi a paesaggi più bucolici. Nella foto sopra, quella macchiolina colorata sono i miei compagni di viaggio immersi nel verde meraviglioso delle colline di Carcea. Siamo a mezzacosta: a Nord si sale verso la zona preaspromontana, a sud si arriva a Mèlito Porto Salvo, dove il 19 agosto 1860, Garibaldi sbarcò con 3.360 camicie rosse.
I GARIBALDINI SULLE COLLINE DI CARCEA
Partito da Quarto, avversato nelle sue intenzioni dal Presidente del Consiglio Cavour, dopo la liberazione della Sicilia dal giogo borbonico, Garibaldi decide di attraversare lo stretto di Messina e sbarcare in Calabria.
Salpati da Giardini (vicino Taormina), verso l’una della notte di domenica 19 agosto le navi garibaldine giungono sulla costa calabrese, a Melito. Qui, sfortunatamente, si incagliavano sulla spiaggia di Rumbolo. Ogni sforzo per disincagliarle fu vano. I pescatori di Melito, indifferenti agli avvenimenti politici che stavano succedendo, con le loro barche e a “suon di quattrini” (che vergogna!) aiutarono i garibaldini a sbarcare dalle navi incagliate.
Garibaldi, sbarcato con 3.360 camicie rosse, si diresse col suo stato maggiore alla casina Ramirez (in Annà, oggi rinomato ristorante della zona), e vi stabilì il suo quartier generale. Il resto delle camicie rosse si accampò sulle colline di Carcea, proprio nei luoghi che abbiamo appena attraversato.
Foto 19
Che fatica seguirli e poi, una volta che riesco ad avvicinarmi ecco che ripartono di gran carriera. Neanche il tempo per fare foto. L’enduro è questo!
Nella foto sotto la silouette (si fa per dire) di Rocco e Ciccio. Stavolta sono riuscito ad anticipare il gruppo: li ho fregati con la scusa di far loro ammirare il panorama e sono scappato, letteralmente a razzo, per catapultarmi avanti e piazzarmi in posizione per riprendere il gruppo.
Foto 9
Liberatici dall’incubo del fango, saliamo fin sui 1000m slm. L’aria piacevolmente fresca crea uno strano effetto eccitatorio sul nostro Gennarone che impenna il suo 520 come se fosse un quattordicenne sul motorino (da notare invece che il nostro “giovanotto” è padre di 5, dico cinque, figlie!!!!). E sotto, il nostro “Awanagain” in piena azione, in posizione d’attacco.
Foto 10
SE NON CI FOSSE ROCCO…
Foto 11
Basta! Non ce la faccio più! Mi hanno distrutto. Accidenti! Sono proprio tosti questi qui! Aspetto che qualcuno di loro si fermi. Non gliela voglio dare questa soddisfazione. Comunque, andrò avanti finché mi tiene il fiato: certo non voglio correre il rischio di farmi male. Rallento ancora (ma si può rallentare oltre?). Finalmente noto una fontanella: sono salvo! Pausa-lavaggio! Sosta per togliere un po’ di fango: Rocco pulisce il suo 125 e poi passa la pompa a Gennaro che, incoscientemente, riesce a bagnare la candela costringendo il paziente Rocco a smontarla e asciugarla.
Foto 12
Beh, che dire di questa foto? Coincidenza: che getto “la pompa di Rocco”!!!!!
Foto 13
La gita prosegue, sempre a mezzacosta, nella zona a monte di Fossato. Il recupero durante la sosta-lavaggio è bastato solo parzialmente a rimettermi in sesto. Gli “scalmanati” continuano le loro corse, o forse è solo la mia abitudine a viaggiare lento che mi fa percepire la loro andatura come veloce. D’altra parte devo rientrare per l’ora di pranzo, l’ho promesso ai miei familiari, per cui cerco di mettercela tutta per non restare troppo indietro.
Concludiamo con un primo piano di Gennarone che, ovviamente, è sempre in movimento (non riesce a stare mai fermo quest’uomo) e di Ciccio (tranquillo ma grintoso al punto giusto quando serve esserlo!).
Foto 15
Foto 16
RIFLESSIONI “RESPIRATORIE”
Nuovi amici, esperti, viaggiano veloci sui loro mezzi elaborati. Cerco di seguirli ma mi accorgo di perdere qualcosa: la calma e il respiro lento. Mi viene in mente Ernesto, che del respiro ascetico è un profondo conoscitore. Se corro vado in anaerobiosi, entro in dispnea e mi manca la percezione dell’armonia del mio corpo nello spazio che mi circonda. Il procedere lento, che tanto mi è mancato in questa avventura odierna, mi fa sentire meglio gli odori circostanti e mi permette una respirazione diaframmatica più che toracica, quest’ultima tipica dell’affanno. Rifletto sulle mie esperienze in compagnia di agguerriti enduristi e capisco ancora di più la profonda differenza che esiste col mio modo di concepire il viaggiare in moto per sterrati: questo è il motoalpinismo… e i miei amici di forum sono lontani…
Post scriptum:
Qualcuno di voi, esperti di moto d’epoca, ricorda quale fosse quella su cui ”l’Albertaccio nazionale” ha girato il film? Provate a visionare qualche spezzone che potrebbe essere d’aiuto cliccando su http://www.film.tv.it/trailer.php/410/u ... no-a-roma/ e poi cliccate su “TRAILER” per vedere il filmato.
Post post scriptum:
Svelato l’arcano! Con l’avventura odierna abbiamo coniugato la filmografia della De Laurentis con la storia dell’unità d’Italia, la cultura popolare e quella scolastica, l’escursione motoalpinistica e le leggende metropolitane della città di Reggio in una miscela che solo lo spirito tollerante e bontempone al tempo stesso dei nostri pazienti lettori ci può permettere.
Ringrazio i miei “compagni di gioco” per avermi aspettato a lungo ai numerosi bivi dell’infinita rete di sentieri che popolano la nostra provincia e mi scuso per non aver avuto prima la possibilità di pubblicare sul forum questo report con le foto che da diverso tempo aspettavano.
Ciao e…
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
alp