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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Qui troverai resoconti di escursioni e raduni realizzati in Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Molise.
alp
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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da alp » dom 25 dic, 2011 6:50 pm

Sulle tracce di Edward Lear
Parte 1: prima esplorazione.




Introduzione

Nelle fredde e piovose serate invernali passate davanti al camino nella mia casa in montagna ho l’abitudine di leggere qualche bel libro. Anche se non è raro trovare un romanzo interessante, quello che ultimamente ho letto in modo appassionato è un diario di viaggio a piedi realizzato dallo scrittore inglese Edward Lear nel 1847 in giro per la provincia di Reggio Calabria. E’ un testo antico, dal sapore semplice e duro, come solo i nostri sentieri sanno esserlo.

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L’idea

Era da un po’ che, passando in treno da quelle parti, allungavo lo sguardo a mezza costa incuriosito da strani tagli di alberi fra le montagne, indubbio segno di antiche carrarecce. Finalmente trovo la voglia di andare a consultare l’IGM e quindi Google Earth. Conferma! C’è proprio un lungo sterrato che da Monte Grosso porta fino alla pianura, verso oriente. E questo conferma l’ipotesi che si è andata sviluppando a mano a mano che la lettura del romanzo dell’artista vittoriano procedeva. Ora bisognava trovare gli amici disposti a seguirmi in alcuni giri di ricognizione prima di poter affrontare un week-end sulle tracce dell’inglese.


Il gruppetto


Non tutti sono propensi a percorrere tanti chilometri di asfalto per esplorare una zona nuova. Bisognava raggiungere la Fiumara del Tuccio prima di iniziare a percorrere sentieri a noi sconosciuti. E poi, non sapendo a che ora avremmo raggiunto la prima meta prefissata, bisognava mettere in conto la non remota possibilità di rientrare dalla statale perché ormai buio. Fortuna vuole che siano dell’umore giusto Pino e Davide, il primo compagno d’avventure da diversi anni, l’altro entusiasta e curioso del nuovo giro ci seguirà con la fiducia che un cucciolo ingenuo ripone verso gli umani.



Tutto diverso e tutto uguale

Introduciamo il giro con l’ultima di copertina del nostro autore per localizzare i luoghi da lui visitati prima dell’unità d’Italia. A distanza di oltre un secolo e mezzo, buona parte delle mulattiere percorse in compagnia dell’amico Proby e di Ciccio, loro guida fedele, sono ancora tali probabilmente per la particolare posizione a mezza altezza fra il massiccio aspromontano e il mare, vie di scarsa utilità, nella concezione logistica contemporanea, ma un tempo utili perché protette dalle incursioni dei pirati (da mare) o dei briganti (da monte).
Oggi questi sentieri costituiscono le vie d’accesso a paesini ormai semiabbandonati. Spesso si tratta di interpoderali o, qualche volta, carrarecce che allacciano antichi borghi disabitati, dove vivono solo pochi vecchi che non ne vogliono sapere di spostarsi a ad abitare nelle zone marine assieme ai loro figli e nipoti.

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Partenza all’alba

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Come il nostro scrittore, anche noi all’alba ci siamo preparati per la nostra spedizione esplorativa. In inverno, alle sei di mattina, alla nostra longitudine, che corrisponde a quella di Bwayrat Al Hasun in Libia, fa ancora buio. Devi alzarti facendo attenzione a non svegliare moglie e figlie che altrimenti (e giustamente) si in*****no. Ti prepari la colazione abbondante con tea, caffè, spremuta d’arance, biscotti, pane e marmellata prima di indossare la fatidica “armatura del guerriero”.

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In una pagina del suo libro troviamo lo schizzo a matita che Lear (tra l’altro, validissimo pittore), ha abbozzato dalle colline che sovrastano la città, proprio nei pressi della zona in cui abito. Come doveva essere questa zona d’Italia prima del 1850? Non c’erano agriturismi o B&B! Certo che il nostro scrittore avrebbe potuto scegliere una maniera più confortevole per affrontare un viaggio del genere. Ma che artista sarebbe stato allora? Ed ecco, quindi un altro stralcio di pagina scritto dall’inglese. Visto il nostro scarso allenamento non abbiamo pensato minimamente di affrontare il percorso alla stessa maniera di Lear: a piedi.
Una nota folkloristica, se così possiamo dire: a distanza di oltre 160 anni si continuano a mantenere le solide tradizioni di ospitalità di allora. E’ veramente difficile, se non impossibile, trovare un luogo dove mangiare o dormire!

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L’appuntamento è sulla statale jonica. Oggi affronteremo un percorso in collina, lungo le alture del versante meridionale dell’estremo lembo della nostra penisola. E per richiamare ancora di più le sensazioni provate quel 26 luglio del 1847 da Edward Lear ci siamo fermati a fare una prima foto al paesaggio con i fichidindia in primo piano.

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La giornata, anche se non sembra delle migliori, pare offrire una certa stabilità di tempo grigio. Non si vedono all’orizzonte nuvoloni minacciosi. Anche se la temperatura è fresca noi tutti speriamo che non piova. Dopo l’ultima motomaialata passata sotto una bufera d’acqua per oltre sette ore ci è venuta la fobia della pioggia.

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Al distributore di benzina ci fermiamo per il pieno e incrociamo un vecchio amico: “Cosa c’è da vedere a Bagaladi?” ci chiede. E’ la stessa domanda di sempre. La stessa domanda che il nostro scrittore si è sentito dire oltre un secolo e mezzo fa. In effetti, anche oggi non c’è granché da vedere in quel paese e così gli consigliamo di scollinare e visitare la Fiumara ad est del crinale.

…continua…
A presto e...
Buon motortrip,

alp

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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da husqvarna100 » dom 25 dic, 2011 7:41 pm

Finalmente ti si rilegge .
Eravamo in profonda crisi di astinenza.
Buon Natale Lino.

Claudio.

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max37
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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da max37 » dom 25 dic, 2011 8:11 pm

e poi?
Max37

http://www.tecnicamotori.it/

La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

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Brianza
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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da Brianza » dom 25 dic, 2011 11:50 pm

Nell'attesa del seguito . . . .
. . . . . . . . . . Buon Natale a tutti.
:wink:
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alp
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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da alp » lun 26 dic, 2011 10:37 am

Prove ed errori

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Raggiungiamo velocemente Chorio, un povero paese al limite occidentale dell’Area Grecanica. Caffè e foto di rito col personaggio di turno (notare bratelle e “bb’rritta”). Da qui comincia il nostro “nuovo tour”: dovremo trovare il punto d’innesto che dalla fiumara sale verso la zona di Cambara. Non sarà facile! Ci perdiamo in una miriade di mulattiere che partono lateralmente dalla fiumara in piena e risalgono lungo il crinale orientale della stessa raggiungendo poderi nascosti fra uliveti secolari.
Proprio nella stessa zona, oltre centocinquanta anni fa, l’artista inglese scriveva quanto sotto riportato contemplando con lo sguardo a settentrione:

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Tentiamo varie interpoderali senza successo. Proprio quando cominciamo a sfiduciarci circa la possibilità di trovare la giusta via ho l’”insight”! By-passeremo il groviglio di sentieri che non ci permette di procedere utilizzando un ponte. Incrociamo gente del posto che ci suggerisce la via in cemento: non capiscono che vogliamo affrontare fango e terra. Molto strani questi cittadini!

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Procediamo in fila indiana fino al primo bivio da cui parte una lunga sterrata che sale tra terra e cemento. Vari incroci con interpoderali ci mettono in imbarazzo sulle opzioni da seguire. Andiamo a naso perché abbiamo ormai perso l’orientamento rispetto al tracciato che avevamo segnato sulla cartina.
Un po’ per intuito e con molta fortuna seguiamo il dorso di un crinale che taglia trasversalmente la costa e s’inerpica diritto verso monte. Scolliniamo e il panorama si sviluppa verso sud-est con immagini ampie lungo il versante meridionale del basso Aspromonte. Le piogge recenti hanno reso il terreno lussureggiante e l’occhio gode di un’indigestione di colori.

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Vronte è un piccolo agglomerato di casette sparse lungo una collina che degrada dolcemente verso oriente. Qui la gente vive di misera agricoltura, alleva pecore e maiali da vendere in città. Non c’è nemmeno una chiesa o una bottega! Si fa il pane in casa nel forno a legna una volta a settimana a turno. L’ospedale più vicino è ad una trentina di chilometri di strada tortuosa e dissestata: meglio non ammalarsi da queste parti!


Comincia il bello!


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Davide è stracontento! Viaggia sulla sua moto con un sorriso pieno, come al solito, d’altra parte! E’ abituato a girare sempre lungo i soliti sentieri. La vista di zone per lui nuove lo rende euforico.
Ci fermiamo per osservare il prossimo crinale da attraversare. Ci toccherà prima ridiscendere la vallata orientale per poi risalire sul ripido. Chi sa se incontreremo fango. Non lo sopporto proprio. Le mie gomme da trial, per giunta quasi alla frutta, hanno la capacità di fare incollare la fanghiglia creando una “mappazza autobloccante”.

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Sosta per qualche foto: che panorami! La Fiumara dell’Amendolea vista da Plembaci fa davvero un bell’effetto! L’umore del piccolo gruppo di amici è sereno. Superata la prima fase di nervosismo, quando non siamo riusciti a trovare il sentiero che avevamo ipotizzato di attraversare, ora siamo contenti e appagati nello spirito da visioni bucoliche e dall’attesa della bella arrampicata che dalla zona di Baronia ci porterà al Boschetto di Serra Progheti a oltre 1100 m. slm.

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Proseguiamo tranquilli nella zona di Manguso quando siamo attratti da un segnale del Club Alpino Italiano che indica un sentiero che potrebbe permetterci di tagliare un lungo giro. Proviamo ad addentrarci ma dopo neanche un chilometro incrociamo un autoctono che ci ferma e che ha voglia di fare quattro chiacchiere. E’ agli arresti domiciliari, non vede mai nessuno e passa il suo tempo a pascolare i pochi animali che possiede la sua famiglia. Ci sconsiglia di procedere e noi non gli chiediamo neanche il motivo. Salutiamo e seguiamo il suo consiglio arrampicandoci lungo la Fiumara di Armaconi che ci porterà, seguendo una carrareccia che si sviluppo per oltre 750 m. di dislivello fino a Vùa.


Vùa

Il panorama che ci accompagna lungo la risalita offre qualche bellezza. Alle spalle lo Jonio, sulla sinistra l'Etna che svetta coi suoi 3330 metri e di fronte i contrafforti dell'Aspromonte. Secondo la leggenda una regina armena avrebbe guidato le sue genti sul monte Vùa. Dal nome latinizzato, Bova detto così perché luogo adatto al ricovero dei buoi, derivò lo stemma rappresentante il bue, cui in epoca cristiana, fu aggiunta la figura della Madonna col Bambino in braccio. Il borgo antico, anch’esso (come Chorio) di tradizione grecanica, offre rari squarci di antiche e nobili vestigia.

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Il tempo tende al brutto e noi dobbiamo ancora prendere quota arrampicandoci dal paese fino alla sorgente della Fiumara Ziyuso (1186 m. slm.). Qui il paesaggio autunnale fa da padrone. Siamo immersi fra faggi e abeti. Fa molto freddo perché tira una brezza da nord e ci troviamo proprio in cima alla cresta che sovrasta il Vallone di Casalinuovo e quello di Cipore. Il terreno assume colorazioni irreali col suo manto di foglie secche appena cadute. Non possiamo non fermarci: trovo la scusa che ho sete e Pino approfitta per scattare una foto.

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L’imprevisto?

Un evento viene definito imprevisto quando, nonostante i ragionamenti e le aspettative riguardanti possibili incognite, si manifesta inaspettatamente. Possiamo considerare non prevedibile la mancanza di carburante se abbiamo calcolato la percorrenza in chilometri e il consumo medio della moto? Evidentemente l’atteggiamento di Davide nei confronti del tragitto è stato eccessivamente semplicistico e la valutazione del consumo ottimistico. Consideriamo anche l’andatura allegra con la quale il nostro baldo giovane ha guidato e il risultato non può che essere previsto.

A questo punto del percorso sarebbe stato utile avere caricato sul GPS i way-points tracciati sulle mappe. Purtroppo siamo dovuti andare avanti a naso (vista anche la spessa nebbia che era scesa) e Davide si è anche accorto di avere poca benzina nel serbatoio. In queste condizioni c'è poco da fare: l’unica è seguire la via più semplice e breve per raggiungere l’asfalto e un distributore.

…continua…
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alp

sapphire
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Messaggio da sapphire » lun 26 dic, 2011 8:26 pm

Che belle foto caro Alp ! Vedo con piacere che il freddo non ti ferma.

alp
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Messaggio da alp » lun 26 dic, 2011 8:35 pm

Abbiamo la fortuna di poter scegliere l'altitudine a cui viaggiare.

Forse per cattiva informazione, Edward Lear percorse gli stessi sentieri in piena estate con un caldo torrido. Il viaggio da lui intrapreso è bello se fatto nelle stagioni intermedie. Queste nostre prime perlustrazioni servono a sgranchirci i muscoli: in inverno è facile trovare terreni argillosi zuppi d'acqua e d'estate la polvere e il sole creano troppo disagio.
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alp

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Messaggio da alp » lun 26 dic, 2011 9:01 pm

Da Pietracalcina a Staiti fino a Brancaleone

Così, invece di prendere la sterrata per Puntone D’Artea, scendiamo verso Pietracalcina e arriviamo a Zuccalio dove, presi dal freddo, ci fermiamo un attimo ad appesantirci. Stranamente, troviamo un clima più duro qui che non a quote maggiori, probabilmente a causa del forte vento che taglia il versante orientale della montagna.

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Guardando in basso intravediamo sentieri che configurano una fitta rete che da Falcusa arrivano a Sciondolò. Ma non possiamo improvvisare senza benzina nel serbatoio di Davide. Dobbiamo al più presto raggiungere qualche distributore sulla strada che costeggia il mare, sperando che sia aperto o che ci sia l’automatico. Arriviamo al Piano di Cuvalo. La stanchezza comincia a farsi sentire e pure la fame vuole soddisfazione. Il casello è chiuso, non ci sono operai al lavoro, oggi è domenica. Come Eta Beta nei fumetti di Topolino, estraggo dallo zaino la solita busta piena di “intrugli energetici”: noci, mandorle e fichi secchi. Basterà giusto per rallentare i morsi della fame ancora per un’oretta, il tempo di arrivare a Staiti dove speriamo di trovare una bottega aperta.

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Staiti non è quello che si può definire un paese turistico: non solo non troviamo una bottega ma neanche un bar. Decidiamo, perciò, di scendere a Bruzzano e, via litoranea, raggiungiamo Brancaleone, sperando che la nostra buona sorte ci faccia trovare un benzinaio e almeno un bar aperto.
Fatta una decina di chilometri in discesa (Davide procedeva a motore spento!), per fortuna troviamo un automatico e mettiamo qualche rustico (anche se un po’ stantio) sotto i denti. Una volta rifocillati, pensare di riprendere il percorso abbandonato ci sembra improponibile.


Verso Palizzi

Si son fatte quasi le due di pomeriggio. Abbiamo poco più di tre ore per rientrare a casa con la luce del giorno. Decidiamo di affrontare l’asfalto fino a Palizzi Marina per poi risalire al borgo antico e tagliare per il Castello dei Principi Ruffo. Gli amici con le “racing” si lamentano: affrontare chilometri di statale con i tasselli così pronunciati non è il massimo.

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Da Brancaleone a Palizzi Marina impieghiamo poche decine di minuti. Non abbiamo neanche il tempo di lamentarci per i dolori al sedere (visto che in piedi si sta solo sullo sterrato per evitare multe). L’ultima volta che ho battuto il sentiero che sale longitudinalmente lungo il crinale della catena montuosa che finisce in mare è stato quattro anni fa. Nonostante ciò ricordo al primo tentativo l’imbocco giusto. Quello che non mi viene in mente sono invece la miriade di piccoli incroci che fanno seguito per cui si rende necessario fermarsi continuamente a chiedere informazioni ai locali (quando si trovano!).

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La risalita verso l’antica Palizzi è caratterizzata da una carreggiabile che, portandoci in quota, si restringe sempre più. Sembra di attraversare l’Irlanda con i suoi ampi prati verdi incolti. Raggiungiamo un’altura da cui si domina il mare. Ai tempi delle incursioni saracene doveva far comodo un luogo d’avvistamento del genere. In effetti, esistono ancora delle torri spagnole che risalgono ad oltre tre secoli orsono. Solo qualcuna si salva dal degrado totale. Peccato, alcune sono davvero belle.

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Ed eccomi in posa con il KTM 450 Six Days di Pino. Con moto del genere non mi ci trovo proprio: troppo alte, troppo potenti, troppo costose, troppo da manutenere, troppo di troppo insomma. La mia Easy fa il suo dovere con la stessa devozione che aveva l’Alp per le passeggiate tranquille. E poi, ad ogni uscita, sto valutando sempre meglio l’ormai famoso “slow ride” di Ernesto.

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Davide sembra impazzito tanto si diverte ad attraversare arbusti alla ricerca della giusta via per procedere. Non è facile: si rischia di finire in qualche voragine o impantanati nella fanghiglia. Io rimango dietro (come al solito) e seguo le impronte dei miei anfitrioni. Altra curva ampia e altro spettacolo panoramico davanti e sotto di noi. Parte del viaggio sull’asfalto per rientrare a casa è certamente ripagato da una sosta su quest’altura.

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Non vogliamo abbandonare questo spettacolo ma sappiamo che non facendolo ne pagheremo le conseguenze viaggiando al buio: poco prudente sulla SS 106, famosa per gli incidenti ai motociclisti (le auto procedono a grande velocità e le luci che ci sono intorno impediscono la discriminazione visiva fine delle flebili luci di posizione posteriore delle moto).
Continuiamo a salire sperando che il sentiero senza traccia si apra prima o poi. E così è, per fortuna. E’ evidente che ormai non ci passa più nessuno da queste parti. Un vero peccato per il panorama che offre il percorso. Qualche chilometro ancora e scorgiamo in lontananza un taglio nella vegetazione. Pino precede la fila e ci suona per segnalarci l’OK! E’ fatta. Troviamo un’ulteriore radura dove fermarci a riposare un attimo, scattiamo un foto e ripartiamo di buona lena.

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Arriviamo abbastanza stremati all’antico borgo di Palizzi. La stretta mulattiera percorsa a salire attraversava campi fitti di vegetazione selvatica, aree fangose e tratti sabbiosi: una mezza tortura! Continuiamo a salire lungo una stretta trazzera che si espande fino a divenire una comodissima carreggiabile da percorrere anche in auto. A suo tempo, probabilmente, il nostro leggendario artista si sarà fermato proprio dove ci siamo sistemati noi, in suo onore, ad ammirare la grande rocca sul piccolo borgo.

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Verso il Castello dei Principi

Piccola sosta ristoratrice con ciò che rimaneva della poltiglia di cibo iperenergetico e si riprende il viaggio cominciando a spostarci verso ovest quando, finalmente, ad un bivio inizia la discesa. Ci tengo a mettermi in posa proprio dove avevo fatto una identica foto quattro anni fa con l’Alp. Ricordi di “gioventù!”

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Dopo tante ore in moto ci sentiamo tutti davvero stanchi. E’ da stamattina alle otto che viaggiamo rubando qua e là solo brevi soste con la scusa di bere un po’ o di fotografare il paesaggio. Riduciamo drasticamente l’andatura. Nessuno di noi ha intenzione di farsi male proprio ora. Le soste aumentano e aumenta pure la consapevolezza che ci toccherà fare alcune decine di chilometri di asfalto per rientrare a casa evitando il buio.

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I paesaggi continuano a mutare con una velocità incredibile. Dacché sembra di essere in un paese nordeuropeo col suo verde lussureggiante, fatta una curva, si cambia versante ed ecco riapparire la tipica vegetazione mediterranea con la sua esposizione verso il Mar Jonio.

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A mano a mano che il sole scende all’orizzonte la temperatura si abbassa e tutti cominciamo a sentire davvero freddo (parliamo di una dozzina di gradi sopra lo zero, comunque). Per fortuna abbiamo portato di che appesantirci! Sosta per lo stretching (che serve a riscaldarci meglio), ci vestiamo con qualche maglione in più, scattiamo una foto e ripartiamo alla volta del Castello dei Principi Ruffo.

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Percorriamo uno sterratone facile e veloce in discesa quando, dietro un curvone, il castello ci compare all’orizzonte in tutta la sua grandezza: fa una certa impressione. E’ decadente, pericolante e spettrale. Sullo sfondo c’è la pietraia della fiumara che sembra un enorme lago. Fa quasi paura essere da queste parti a quest’ora. Il buio si avvicina e non vediamo l’ora di rientrare a casa: siamo intirizziti.

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L’asfalto verso casa: riflessioni

Perdiamo quota fino raggiungere la zona dei ruderi della Chiesetta di Santa Caterina. Continua a far freddo nonostante la fatica della guida su sterrato. Pochi chilometri d’asfalto prima di raggiungere la statale che ci riporterà a casa.
Lungo la via del ritorno, ad andatura tranquilla (sto aspettando che mi arrivi il pignone 14: gli attuali rapporti 13/50 vanno benissimo in fuoristrada ma sono un’agonia nei trasferimenti) rifletto sulla giornata. Le nostre intenzioni erano di raggiungere La Fiumara La Verde e arrivare a quella del Bonamico attraversando la Fiumara del Bùtramo. Non avendo riportato i way-points sul GPS abbiamo sbagliato strada e non abbiamo potuto tentare niente di diverso per la mancanza di benzina nella moto di Davide. Tuttavia, siamo riusciti a visitare alcuni luoghi attraversati da Lear nel suo avventuroso viaggio dell’estate del 1847: Staiti, Bruzzano e Palizzi.
Rientriamo a Reggio che è buio da un pezzo.
Concludiamo il racconto con un brano del romanzo del nostro scrittore che descrive la zona che abbiamo attraversato oggi per ultima, prima di imboccare la superstrada che ci ha riportati a casa un’ora dopo il tramonto.

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…continua nella seconda parte…
A presto e...
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alp

sapphire
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Messaggio da sapphire » lun 26 dic, 2011 9:27 pm

Bravo Alp, basta trovare la giornata giusta e il divertimento è assicurato !

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Sulle tracce di Edward Lear. Parte 1: prima esplorazione.

Messaggio da rokes » gio 29 dic, 2011 1:31 pm

Caro Alp, finalmente un nuovo report di una tua uscita!
Questa mi piace in particolar modo, studiata e preparata a partire da un libro letto come una mappa da decifrare,
mai banale, visto lo spirito d'avventura col quale tu ed i tuoi compagni affrontate il "viaggio",
e mai, ovviamente, priva d'imprevisti! :mrgreen:

Ciao!
Paolo

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