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NEL REGNO DI ANNIBALE

Qui troverai resoconti di escursioni e raduni realizzati oltre i confini Italiani

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SuperHank
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NEL REGNO DI ANNIBALE

Messaggio da SuperHank » gio 04 feb, 2010 11:29 am

Questo racconto gira in rete, su soloenduro ed xr-italia, da parecchi anni, e forse lo avete già letto, ma ora, dopo un lungo lavoro di scansione del mio archivio fotografico, ho l’onore di presentarvi “Nel Regno di Annibale” Photo version!


NEL REGNO DI ANNIBALE

Qual è la migliore occasione per un appassionato endurista di festeggiare la “sudata” (?) laurea, il congedo e il capodanno del 2000?
A settembre presi così la fatale decisione: il nuovo millennio mi avrebbe raggiunto nel deserto africano!
Grazie ai contatti di mia mamma (non ridete!) entro in contatto con un gruppo in partenza per la Tunisia.
Le prospettive sono ottime: il capo gruppo è una vecchia volpe de deserto, con al suo attivo diverse partecipazioni al Rally di Tunisia, viaggi in moto e auto, e per un certo periodo è stato socio di una famosa agenzia di viaggi nel deserto.
Al seguito anche 2 fratelli meccanici titolari di una concessionaria moto, e anche altre persone del gruppo hanno esperienza d’Africa: in tutto siamo 21 persone, 5 4x4 e 8 moto.
Abbiamo anche le magliette personalizzate del viaggio: NEL REGNO DI ANNIBALE, questa è la meta.
Il programma prevede 10 gg di deserto nella Tunisia del sud: la partenza è da Djerba, l’obiettivo è raggiungere, dall’oasi di Douz, l’estrema punta meridionale della Tunisia, El Kadra, dove si toccano i confini di Algeria, Libia e Tunisia; l’andata costeggiando il confine algerino, ai margini del Grande Erg Orientale, rimanendo il più possibile in fuoripista sulle dune, il ritorno lungo la pista dell’oleodotto, la famosa Pipeline.

27/12/99 VENEZIA-TUNISI-DJERBA

Partenza in aereo dall’Italia del grosso della compagnia, tra cui io, mentre i piloti auto erano partiti già la vigilia di Natale con le moto sui carrelli : va béh, mi sono perso la romantica traversata in mare, ma vi assicuro che il mal di stomaco mi è venuto lo stesso anche in aereo!
Alla sera ci si ritrova tutti in hotel a Djerba; saluti, abbracci poi subito a letto: domani inizia l’avventura!

28/12/99 DJERBA-MEDENINE-DOUZ

Uscendo nel parcheggio per riprendere la moto ho la 1° sorpresa: i mezzi dei miei colleghi motociclisti.
Per mesi mi ero crucciato sulla presentabilità e affidabilità della mia vecchia e logora XR 600 ’89 e mi arrovellavo su come preparala al meglio e prevenire tutti i possibili guai; ma quando ho visto gli altri ho pensato: c@@@o, ma con che ferri vecchi che andiamo nel deserto!
Oltre alla mia, altre 2 XR 600 ’88 vissute, 1 TT 600 ’90 consunto da tanti (troppi!) viaggi nel deserto, 1 TT ’88 irriconoscibile con un bellissimo serbatoio in alluminio, una gloriosa Tenerè dell’85, una Husaberg 400 ’97, un KLX 650 ’00.
Lasciamo Djerba in direzione Medenine, attraversiamo il ponte che la collega alla terra ferma e dopo pochi km il primo fuoristrada in terra d’Africa: una pista sabbiosa che costeggia la laguna costiera per poi confondersi totalmente con il fondo asciutto della stessa.
Incredibile: uno spazio infinito, 8 moto allineate in perfetta formazione, affiancate a 20-30 m una dall’altra, sospese tra il cielo azzurro e la sconfinata distesa marrone perfettamente liscia; il fondo è a tratti duro e compatto, a tratti più umido, occorre usare la 4°, appena freni l’effetto decelerante del terreno è forte, la ruota posteriore lascia un solco da aratro!

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Pista sabbiosa lungo la laguna interna di Djerba

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Nella laguna secca

Ad un tratto, nell’arco di un solo km, doppio colpo di scena: le altre 2 XR si fermano!
Ci affanniamo al capezzale delle 2 Honda, ma non c’è niente da fare: scopriremo poi che una ha bruciato lo statore, l’altra ha sbiellato e grippato!

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La carovana ferma nel nulla

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Si contano i danni; in primo piano lo il fratello del capogruppo, alla guida dell’59x con cui il fratello corse il Tunisia. Dietro Alves con il casco e il resto della truppa.

Abbandoniamo lì le moto e raggiungo Medenine via asfalto, sotto un vento sferzante (io con uno dei 2 piloti appiedati montato dietro) per avvertire le auto della duplice rottura (che, tranne una, non ci avevano seguito sulla laguna).
Dopo parecchie ore le moto vengono recuperate, caricate sul pick-up e riprendiamo la marcia verso Douz.

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Misere borgata sulla via per Medenine

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Interminabile attesa dei recuperanti in una via della periferia di Medenine; notare l’asino con carretto fermo in mezzo all’incorcio; resterà là per ore, senza che nessuno se ne curi: “c’est l’Afrique”!

Saliamo una catena di montagne e facciamo benzina da un distributore locale: fusti di benzina messi sul marciapiede davanti casa! Dall’altra parte delle montagne ci aspetta una pista da sogno (almeno per me, abituato ai percorsi guidati e agli sterrati delle Alpi!): la stradina dal fondo roccioso, però con piccoli lingue di sabbia, percorre una valle circondata da basse montagnole rocciose completamente brulle, che il tramonto accende di un colore rosso cupo; la pista attraversa e riattraversa continuamente il letto in secca di uno uadi, non mancano piccole rampe da “saltare”, tutto molto divertente ma comunque tale da richiedere concentrazione nella guida.
Arriviamo all’imbrunire a Bir Soltaine, crocevia di piste: non è altro che un recinto di paglia con una baracca, una tettoia e una tenda dove 2 tunisini vendono cibi e bevande ai viandanti del deserto; il bello è la festosa accoglienza che riservano al nostro capo: mi sembra quasi che lui sia entrato nel bar sottocasa e non in questa specie di rifugio per i viandanti del deserto.
Ripartiamo al buio, con un freddo pungente, verso Douz, prima sulla Pipeline, poi lungo una pista sabbiosa: nonostante il freddo, sudo copiosamente per la tensione di guidare a 60km/h sulla sabbia (mai fatto prima!) e di notte (mai fatto fuoristrada di notte!).
Come se non bastasse Husaberg e Tenerè sono senza faro (!!!) e devono guidare davanti alle auto o a fianco di una moto (guarda caso proprio la mia!): dentro al casco volano porchi contro stì 2 cretini con cui rischio di incocciarmi ad ogni curvetta della pista!
Non bastasse tutto ciò, KLX buca l’anteriore: riparazione al volo e via!
Alle 21.00 giungiamo finalmente l’Hotel du Saharienne a Douz: come una torma di cavallette ci gettiamo sul buffet, i camerieri sono esterrefatti, dopo l’abbuffata doccia bollente e nanna.

29/12/99 DOUZ-TEMBAINE 1°

La mattina trasformiamo il parcheggio dell’hotel in una officina a cielo aperto: chi cambia la gomma, chi l’olio, chi il filtro mentre i nostri meccanici cercano di salvare le XR.
Scoppia la querelle tra Husaberg, che critica la vetustà e l’impreparazione delle “jap”, e noi Xristi, che non scommettiamo una lira sul fatto che una moto senza pompa e filtro olio possa resistere alle fatiche del deserto: i fatti successivi ci smentiranno clamorosamente!

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1° giorno di viaggio e il parco mezzi è già alle corde: in fondo il KLX “forato” nella notturna, tutto a DX il bellissimo XR630 grippato e sbiellato, da cui è stato preso il generatore per l’altra XR.

Approfitto della pausa per visitare la città: la folla vociante per le strade polverose, la piazza del mercato con i suoi cento negozi che vendono di tutto, la polvere, le piccole officine di fabbri e meccanici dove puoi star certo che aggiustano tutto, le trattorie, gli alberghi solo dei locali, dove quasi nessun occidentale avrebbe coraggio di entrare, tutto questo fa sentire sulla pelle la tua appartenenza ad un altro mondo, così vicino eppure così lontano (spero che Wim Wenders mi perdoni la citazione!).
Il rapporto con i locali è ambivalente, sono soprattutto i più piccoli a sconcertarmi: alcuni ci guardano passare con stupore, incitandoci a impennare le moto; altri sono invece più ostili negli sguardi, qualcuno addirittura fa il segno di colpirci con delle pietre, qualche sasso vola davvero! Il nostro capo ci dice che il lancio dei sassi era un fenomeno diffuso, che aveva provocato problemi anche durante alcuni rally, tanto che la polizia era stata costretta ad intervenire (sicuramente con mano pesante, visto il posto in cui siamo!).Gli adulti mi sembrano sostanzialmente indifferenti, a parte quei pochi che fanno affari con i turisti; rifletto, e mi sembra che tutto sommato abbiano ragione: chi viaggia nella Tunisia del sud non ha molti contatti con i locali, e anche la ricaduta sull’economia non è poi così alta; noi, ad esempio, ci siamo portati proprio tutto dall’Italia, in Africa abbiamo comprato solo la benzina e un po’ di pane, e passate solo 4 notti in hotel su 11.
Nel pomeriggio, prima della partenza, assaggio le prime dune alla periferia dell’oasi: il risultato è pessimo!
La mia nulla esperienza di sabbia e di Cross si fanno pesantemente sentire: sul dritto quasi tutto bene, ma faccio fatica nei cambi direzione e i salti fuori dalle gobbe proprio non so farli; atterro scompostamente con l’anteriore, mi intraverso e cado strappando sella e spallaccio dello zainetto!
Nel tardo pomeriggio la carovana si mette finalmente in marcia: ci dirigiamo a sud, dritti dentro il deserto, quello vero!
Abbiamo con noi tutto l’indispensabile, acqua, benzina, gasolio, cibo, i prossimi giorni li trascorreremo interamente isolati da qualsiasi avamposto della civiltà, ogni sera dovremmo montare l’accampamento, fare il fuoco, cucinare, manutenzionare i mezzi al chiarore delle torce elettriche, siamo o non siamo RALLYSTI!! Delle 2 XR sono riusciti a ripararne una trapiantandole lo statore dall’altra, i 2 piloti si alterneranno alla guida mentre il “cadavere” dell’altra XR viene lasciato in custodia all’albergo.
Percorriamo una veloce pista dal fondo roccioso, con frequenti lingua di sabbia che la invadono: motore in accelerazione, peso il più possibile arretrato e l’ostacolo è superato! L’unico inconveniente, almeno per me, è che tenendo sempre in accelerazione il motore ben presto si raggiungono velocità notevoli e sentire la moto che si imbarca a 80km/h mi mette un po’ di apprensione.
Incontriamo una carovana di cammelli “servizio turistico tutto compreso”, un bar del deserto, raggiungiamo una torre bianchissima sul ciglio di un avvallamento: chissà a cosa serve?

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La vera nave del deserto: sua Maestà il CAMMELLO!

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Singolare torre in mezzo al nulla.

Facciamo ancora un po’ di strada, la pista comincia a diventare più difficoltosa per la sabbia, ci fermiamo e attrezziamo il campo.
Sarà la prima di molte serate passate davanti al fuoco, ascoltando affascinati le storie del deserto dalla nostra guida tunisina Edi (che non fa Orioli di cognome!), a chiacchierare scambiandoci le 1000 impressioni che il deserto suscita: c’è solo un po’ di magone e nostalgia per non poter condividere questi momenti con le persone care, ragazza, amici, famiglia.

30/12/99 DOUZ-TEMBAINE 2°

Sveglia all’alba e via! La meta è Tembaine, una montagna rocciosa di colore nero in pieno deserto. La pista si fa decisamente più ostica: non è più un largo sterrato con linguette di sabbia, ma una traccia che si snoda attraverso una pianura increspata da mini-dune di max 2-3 mt di altezza. Le moto saltano come cavallette da queste “whoops del deserto”: all’inizio è bello ma dopo qualche decina di km in fisico ne risente! Ma come c***o fanno nei rally a farsi 10.000 km, non lo so!
Una jeep si insabbia ed assistiamo ad un disabbiamento da manuale, con traino e piastre sotto alle ruote.
Più avanti sono ancora le 2 XR superstiti, soprattutto la mia, ad avere problemi: la sabbia mi blocca il comando gas sul carburatore e mi ritrovo a saltare fuori dalle dune con la 3° spalancata: panico a bordo! Mi fermo in qualche modo spegnendo il motore. Il meccanico non ha altra idea di “bagnare” il carburatore con la benza per lavare via la sabbia mentre io prego che non mi vada a fuoco la moto!
Il sistema riesce ma dura poco, continuo a ripetere l’operazione ma dopo uno di questi “lavaggi” accendo, inserisco la marcia e la moto no si muove! Terrore: cambio andato, catena rotta? Nooo: le vibrazioni mi avevano sbullonato uno dei prigionieri della corona che mi bloccava il movimento della ruota! Rabbrividisco al pensiero se mi succedeva in movimento; il meccanico mi risistema il tutto mentre io assisto sconsolato all’operazione tra le spiritosaggini dei compagni e mi chiedo: ma che c***o sono venuto a fare qui!
Finalmente si riparte: costeggiamo delle basse collinette rocciose, arriviamo in una pianura dal fondo più compatto ma dura poco: ci aspetta l’attraversamento di una “catena” di dune che si innalzano di circa 20-25 mt sulla pianura.

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Piccole colline rocciose come isole in un mare di sabbia.

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Nella piattezza assoluta.

Riceviamo le istruzioni del caso e partiamo, prima le moto poi le auto: peso tutto indietro, occhio in avanti ad individuare il pendio più favorevole, meno ripido per salire. Man mano la moto rallenta, giro di più l’acceleratore, il motore frulla verso il fuorigiri, mi pare di vedere l’olio motore friggere dentro i carter! La sabbia imprigiona le ruote ma con l’ultimo spunto arrivo sul crinale, scendo dall’altro lato prendendo velocità e l’inerzia mi aiuta a raggiungere la cima della duna successiva: ho scoperto come si fa surf tra le dune, sembra di stare su un’ottovolante!

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Il cordone di dune

Individuare il pendio più favorevole è semplice, il guaio è non sapere cosa c’è oltre il crinale della duna: se il vento l’ha modellata uniformemente su entrambi i versanti la moto atterra dolcemente, mantenendo velocità ed inerzia per affrontare il pendio successivo; però si può trovare una scarpata quasi verticale ed allora si vola in alto, troppo in alto e ad ogni “atterraggio” riuscito si tira il classico sospiro di sollievo. E’ micidiale quando si trovano 2 pendii molto ripidi contrapposti e l’avvallamento tra le due dune assomiglia ad una dolina carsica: se si arriva troppo forti si rischia di impiantarsi, a mo’ di giavellotto, al centro della salita successiva; se si va troppo piano non si riesce più a risalire la china di questa specie di “imbuto”. L’epilogo è lo stesso: imprigionati in questa trappola, spariti dalla vista dei propri compagni, si viene abbandonati senza pietà al proprio destino!
A parte gli scherzi corre un brivido lungo la schiena se si pensa che bastano pochi mt. Per uscire dal campo visivo dei compagni e, nella malaugurata eventualità di un guasto o di un incidente, non è facile trovarsi in mezzo al mare di dune!
Per tale evenienza siamo dotati di specchietto, accendino e fumogeni per renderci visibili. Inoltre siamo "accoppiati" ad un altro pilota, se non lo vediamo più o si ferma per qualche motivo dobbiamo assolutamente fermarci anche noi, sia per aiutarlo e non lasciarlo solo sia perché l’assenza di 2 moto dal gruppo è più evidente rispetto a una.

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Anche le auto hanno il loro bel tribolare


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Pausa per i motociclisti

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Alves l’Africano.

Ci fermiamo sul punto più alto ad ammirare il panorama e vediamo Tembaine, lontano sull’orizzonte, un tavolato nero e piatto sopra il giallo spento della sabbia.
Scendiamo verso la pianura e, navigando a vista, raggiungiamo la montagna: ha la forma di ferro di cavallo, la cima è perfettamente piatta, soprastante di un centinaio di metri il terreno circostante.

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Tembaine ci aspetta

KLX cerca di arrivare in cima con la moto, ma si ferma a 2/3, noi preferiamo salire a piedi e da lassù aiutiamo un nostro compagno a lanciarsi col parapendio: osserviamo la scena e anche se il volo dura pochi minuti resterà sempre un bellissimo ricordo per il nostro amico e un po’ anche per noi.

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In volo nel deserto.

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Dalla cima

Approfittiamo della pausa per fare un “tagliando” alle nostre XR e risolvere i problemi di aspirazione (di sabbia!). Chiudiamo con il nastro americano tutti i possibili passaggi di aria tra la scatola filtro e il telaio mentre il meccanico, smontati i carburatori, si ingegna per risolvere il problema dell’acceleratore bloccato; sul più bello, a moto “aperte”, si alza il vento e in pochi minuti è Lei: la tempesta di sabbia!
Copriamo i mezzi smontati con un telone per proteggerli dalle raffiche di sabbia e siamo costretti a sedervici sopra per non farlo volare via, resistendo stoicamente alla furia degli elementi; nel frattempo il nostro meccanico, chiuso in macchina, con una fresetta e una morsa modifica ed adatta ai nostri carburatori una rondella allo scopo di impedire le infiltrazioni di sabbia. Ultimata “l’elaborazione”, ci rimonta la moto stando sotto il telone, mentre noi siamo sempre fermi in mezzo a quel turbinio di sabbia a fare da “peso” per il telone!
Finalmente il “supplizio” finisce e possiamo raggiungere il resto della carovana che, come i cowboy circondati dagli indiani, aveva messo i mezzi a 4 ruote in “quadrato” per proteggersi dalle frecce, pardon, dalle raffiche di sabbia.

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Tramonto nel deserto.

Il gran capo ci annuncia che, causa vento, non rizzeremo le tende e dormiremo all’addiaccio sotto le macchine!
Mangiamo pasta condita con sabbia, finalmente la tempesta cessa ma in compenso inizia a piovere: è il colmo e quelli con i nervi meno saldi cominciano a desiderare la casa, la mamma, ecc..
Sconsolato mi accingo a passare la notte tra il differenziale ed la marmitta di una Land Rover, quando finalmente la pioggia smette: trovo un volontario per montare la tenda e ci sistemiamo al coperto.

31/12/99 TEMBAINE-KSAR GHILANE

La mattina dell’ultimo giorno del secolo ci accoglie con uno splendido sole ed una arietta “frizzante”: durante il briefing del mattino i capi, visto le condizioni della sabbia, dei mezzi, il tempo perso, la sfiga galoppante, decidono di rinunciare al fuoripista sabbioso tra Tembain ed El Borma e raggiungere quest’ultima località passando per le piste segnate e l’oasi di Ksar Ghilane.


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Il campo base all’alba del 31-12-99, ultimo giorno del millennio!

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Chi ha detto che nel deserto fa caldo?
A sx me medesimo, a seguire la guida tunisina Edi, il mitico “Icio”, una femmina di cui non ricordo nome e aggancio al gruppo, la testa di…del figlio del “Capo, altra donna (con i “maroni” già a 1.000 per l’andazzo del viaggio!)

Questo percorso tra Tembain e Ksar Ghilane sarà uno dei più belli e vari di tutto il viaggio: attraversiamo una zona di dune basse che non presentano eccessive difficoltà nell’affrontarle.

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Alves camera-car

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I volponi del deserto

Improvvisiamo un “supercross” sulla sabbia per gli amici fotografi con salti, penne, scodate e tutto il resto del nostro repertorio fuoristradistico. KLX eccelle nei salti, volando letteralmente a molti mt. Di altezza in uscita dalle dune, mandando in visibilio gli astanti; io invece sono specializzato nel “terra-terra”, nel senso che le mie ruote rimangono sempre ben incollate al terreno!

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Alves Style…

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KLX Style…min***a!

Riesco però, in uscita da un salto, a centrare l’unico vegetale del deserto tunisino che superi il mezzo metro di altezza: un gagliardo alberello di 1,5 mt. Che mi si infila giusto tra il motore e la leva del cambio, piegando quest’ultima a 90°.
Già mi prefiguro di nuovo tutta la trafila: scarica l’auto, tira fuori la cassa dei ricambi, cambia il pezzo, rimetti tutto via ma invece ci pensa il capocomitiva che con un calcio ben assestato mi rimette in asse la leva! (anche al ritorno in Italia mai cambiata).

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Qui mi piace!

Percorriamo poi una pianura dal fondo compatto dove allentare le briglie ai nostri “cavalli-motore” e raggiungiamo una costruzione per cui il termine “cattedrale nel deserto” sembra fatto apposta: un portale ad arco, sostenuto da 2 piccole torri merlate ai lati da cui si diparte, per ogni lato, una mura lunga qualche decina di mt., tutto di colore bianchissimo: mi viene in mente quella pubblicità del cancello che si apre in pieno deserto oppure, più poeticamente, una sorta di “stargate” per l’ignoto. Ci dicono che segna l’ingresso di un parco naturale o qualcosa di simile, certo che provare a recintare il deserto è una idea balzana.

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Foto di gruppo alla porta del deserto

Scattiamo la foto ricordo di gruppo e ripartiamo quando, nei pressi del torrione bianco dove eravamo passati il 29/12, TT ’90 rompe: spacca i prigionieri del gruppo termico !!! e il motore letteralmente si apre versando fuori una fontana di olio bollente! I commenti si sprecano, non ci resta altro che caricare la moto sul pick-up e proseguire verso Ksar Ghilane.


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Io.

Lungo la pista Husaberg si ferma: sudiamo freddo ma è solo una banale rottura della catena di trasmissione: sostituzione del fermaglio e si riparte. L’affidabilità della moto svedese ci sorprende: il pilota la conduce con il guanto di velluto, senza strapazzarla inutilmente, e ogni 2 giorni (!) cambia l’olio motore e il motore non mostrerà mai segni di affaticamento; un grande pregio della Husby, a mio avviso, è il filtro aria posto in alto, sul trave superiore del telaio, dove respira aria “pulita”, mentre le nostre “jap”, respirando sotto la sella, raccolgono tutto il turbinio di sabbia sollevato dalla ruota posteriore.

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Le 6 moto superstiti in vista di Ksar Ghilane.

Nei pressi di Ksar Ghilane facciamo una sosta per visitare il rudere dell’omonimo fortino della Legione Straniera: un quadrilatero costruito in blocchi di pietra, posto sulla cima di una collinetta da cui si domina la piana circostante; in lontananza appare il verde profilo allungato dell’oasi. In se stesso non dice molto a chi, come me, ha visitato le imponenti fortificazioni della Grande Guerra sulle Alpi ma certamente lascia immaginare quanto fosse dura la vita dei legionari. Alla base della collina la torretta arrugginita di un’autoblinda o di un carro armato rimanda la memoria alla Volpe del Deserto per eccellenza, Rommel, l’Africa Korps, Montgomery, gli Scorpioni del Deserto! Ai margini dell’oasi, dalla parte opposta rispetto al fortino, lungo la strada che porta verso la costa, vi è anche un monumento, un semplice cippo, dedicato alla Colonna Leclerc, dal nome del generale francese che guidò i reparti della Francia Libera in Africa a fianco degli inglesi contro l’asse.

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Il fortino della Legione Straniera.

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Resti di autoblindo.

Interessante è l’origine dell’oasi di Ksar Ghilane: i tunisini cercavano il petrolio ma dal pozzo, con loro grande scorno, invece del l’oro nero uscì acqua calda, formando un laghetto e permettendo lo sviluppo dell’oasi.
Entriamo nell’oasi e l’impressione è quella di essere in caravanserraglio “moderno”: mezzi a 2 e 4 ruote di ogni tipo (perfino moto stradali), famigliole in vacanza, avventurosi fuoristradisti di tutta Europa, tunisini che sbarcano il lunario con i giri in cammello, un laghetto di acqua termale, 2 ristoranti, 1 campeggio, 1 pompa di benzina; tutto questo è Ksar Ghilane.
L’umanità che affolla questo luogo si sta preparando per festeggiare il nuovo anno, le tavole sotto le tende annunciano abbondanti libagioni e festa per tutta la notte, ma noi no, siamo dei duri, rifuggiamo da questo divertimento da villaggio turistico: la nostra guida è inflessibile, ci fermiamo solo il tempo di fare benzina (1 ora di coda al distributore!).
Al calar delle tenebre abbandoniamo quello che per me era il paradiso in terra e ci dirigiamo verso l’ignoto: come segno del nostro passaggio lasciamo il TT in panne al campeggio.
Guidiamo oltre un’ora la buio, il gruppo si sgrana lungo la pista, mi viene in mente una colonna di profughi in fuga, qualcuno si attarda, non ci saranno ancora problemi? No, per fortuna, ed arriviamo alla meta: il nulla!
Nel luogo dove passeremo le ultime ore dell’anno ci sono solo una baracca in paglia semi diroccata e un pozzo artesiano di acqua calda che forma una piccola pozza sulla sabbia: non mi ricordo nemmeno se il posto abbia un nome.
Montiamo il campo e prepariamo la cena sotto la tettoia della baracca: fa molto freddo, ci stringiamo tutti attorno al fuoco; le nostre cuoche ci preparano addirittura degli assaggini prima della pasta, c’è la birra e lo spumante, abbiamo perfino i fuochi d’artificio e balliamo al suono delle autoradio! Insomma, veramente un San Silvestro diverso dal solito!

01/01/00 KSAR GHILANE-BIR AOUINE

La notte è stata freddissima, e la mattina ci svegliamo con una bianca sorpresa: le dune del deserto sono ricoperte di candida brina!!! Qualche temerario fa la toilette mattutina immergendosi nella pozza, io mi tengo lo sporco che mi tiene anche caldo!

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Alba del 3° Millennio; Brina sul deserto…

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…e sulla mi tenda!

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Per fortuna c’è l’acqua calda in bagno!

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L’oleodotto della Pipe Line.

Ritorniamo sulla Pipeline, direzione sud, e raggiungiamo un posto di blocco militare dove controllano i nostri passaporti e permessi: ora siamo in zona militare, prima eravamo in posti “per tutti”, ci sentiamo un po’ privilegiati.
Le piste che percorriamo sono facili, dal fondo duro e compatto, vado al massimo e tocco i 130 km/h, bestiale!! Però un poco mi preoccupo perché anni prima avevo toccato il fondo scala. Inoltre mi accorgo di una fastidiosa perdita d’olio dal coperchio filtro olio.
La giornata scorre tranquilla, a parte l’esplosione accidentale (causa vibrazioni) della bomboletta di FAST che tenevo nella mascherina portafaro con conseguente impiastricciamento di moto e pilota; ne pomeriggio invece è la volta di un cazzo di sasso che, scagliato dalla ruota ant., mi centra giusto l’alluce: a sera sarà così gonfio da non riuscire quasi a infilare il piede nello scarpone.

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Erbé a chameaux.

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In accelerazione per superare una rampona.

Incontriamo un altro gruppo di motociclisti italiani in viaggio in quelle zone: ci si racconta le proprie esperienze “africane”, i programmi futuri. Impietoso è il raffronto del parco mezzi: da una parte mono e bicilindriche nuove e seminuove, dalla altra (noi) con i nostri ferri; per non parlare dei soliti tedeschi e austriaci super accessoriati visti a Ksar Ghilane o a Douz. Nel nostro gruppo 2 piloti moto hanno dato forfait per stanchezza, teniamo duro in 6 con le 6 moto rimaste; anche alcuni passeggeri auto danno segni di stanchezza.
Al termine della tappa raggiungiamo la postazione militare di Bir Aouine, vicino al confine algerino: è un fortino dall’aspetto molto misero, alla far west, con le capre scheletriche che vi pascolano attorno e i soldati (certe facce!) annoiati dentro: il richiamo al “Deserto dei Tartari” viene da solo, non deve essere facile fare il militare qui: per fortuna che le donne della nostra compagnia hanno un numeroso gruppo di giovani baldi e forti attorno, questi soldati le osservano con uno sguardo “stupratore”!

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Laggiù in fondo, mimetizzato con la vegetazione, il fortino tunisino di Bir Aouine.

Registriamo il nostro passaggio e poi andiamo ad accamparci lì vicino, in vista di una duna che dicono essere la più alta della Tunisia: effettivamente è enorme, gli avvallamenti e le gobbe sulla sua superficie creano un effetto prospettico che quasi “trasfigura” la montagna di sabbia e si ha la percezione di osservare un miraggio. Alcuni ardimentosi affrontano il mostro con i mezzi motorizzati, ma nessuno riesce a domarlo e a raggiungere la vetta; io preferisco risparmiare le forze, mie e dell’XR, e dedico il tempo a riparare i danni fisici e materiali.

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La madre di tutte le dune!

La sera ci regala un cielo incredibile: il numero e l’intensità della luce delle stelle non sono minimamente paragonabili ai cieli nostrani, illuminati a giorno da milioni di fari; La Via Lattea è un fiume di stelle nel cosmo, non ti stancheresti mai di osservarla; di che spettacolo ci siamo privati noi occidentali, per la nostra paura del buio!
La notte ci porta anche una temperatura “polare”: il termometro precipita fino a –9°!, l’acqua delle taniche ghiaccia ed ancora prima dell’alba sono già sveglio dal freddo.

02/01/00 BIR AOUINE-EL BORMA

La tappa odierna ci porterà fino ad El Borma, dove dobbiamo fare rifornimento di carburante e acqua.
I paesaggi si susseguono simili al giorno prima: pianure rocciose con qualche accumulo di sabbia portata dal vento, bordate da piccole collinette consunte dagli elementi atmosferici.

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Paesaggio tunisino.

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Camera Car per Alves.

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Pista al Bivio.

Uno dei motociclisti si stacca dal gruppo e rischiamo di perderlo ma in capo a mezz’ora il pericolo è scampato. Il cielo è di piombo, l’aria molto fredda, la velocità elevata (siamo di media sui 70-80 km/h) e la relativa facilità di guida ci fanno concentrare sul freddo, che riesce a penetrarti sul corpo nonostante gli strati multipli di vestiti; quando durante le soste vediamo i passeggeri delle auto sonnecchiare al calduccio, sdraiati sui sedili, con la musica di sottofondo… beh, immaginate voi se l’invidia non nasce spontanea, assieme al pensiero che la forse l’auto sia migliore per viaggiare nel deserto!
Man mano che ci avviciniamo ad El Borma compaiono dune sempre più grandi e la pista richiede più attenzione per i continui banchi di sabbia: vediamo un lunghissina duna che corre parallela a lato della strada, con un ciglione ripidissimo, quasi verticale. saliamo in cima e poi ci divertiamo a scenderla usando teli e giacche come slitte improvvisate, mentre KLX cerca al solito di fare la salita impossibile e Alberto fa il suo giretto in parapendio.

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Le dunone di El Borma.

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Idem.

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Ciao!!

L’aria è percorsa da nuvole sfumate dal bianco candido al grigio cupo, sullo sfondo di un cielo blu cobalto: il cielo d’Africa non finisce mai di stupire.
Giungiamo ad un posto di controllo e, dopo rapido controllo, entriamo nell’area di El Borma: mi aspettavo di trovare una città di frontiera alla Deadwood, piena di operai, commercianti, baristi, intrallazzatori, puttane, insomma tutta l’umanità che ci si aspetta di trovare nei luoghi dove ricchezza e cupidigia si mescolano in un cocktail esplosivo. Invece sembra di più un gulag : tanti piccoli villaggi di prefabbricati, lontani uno dall’altro, dove vivono gli operai delle diverse compagnie, chiusi da recinti e sorvegliati dai militari, e nessuno in giro.

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La desolazione di El Borma; foto scattata con la macchina nascosta dalla giacca, visto che era severamente vietato farlo!

Attendiamo per un tempo interminabile nel piazzale di un benzinaio semi abbandonato l’arrivo di qualcuno, finalmente si presentano un paio di poliziotti e un operaio: facciamo rifornimento e ci mettono a disposizione una linea per telefonare a casa: da bravi stiamo tutti in fila ad attendere il nostro turno per assicurare le famiglie che siamo ancora vivi e vegeti!
Usciamo da El Borma in direzione sud, costeggiando i campi petroliferi con le caratteristiche pompe dall’instancabile e continuo moto alternato; al calare del buio ci fermiamo e montiamo il campo, ignari di quello che ci aspetta l’indomani.


03/01/00 EL BORMA-EL KADRA

Ripartiamo lungo una veloce pista sabbiosa che conduce all’ultima postazione petrolifera di cui non ricordo il nome: lì la “strada” termina e ci attendono oltre 100 km, forse 150, di fuoripista nel deserto sabbioso, fino a El Kadra, meta ultima del nostro viaggio. Il tratto che percorriamo è super: la pista si inerpica su delle dune belle alte, dal profilo dolce, per cui si raggiungono velocità elevate. Affrontare le carregge lasciate dai mezzi pesanti a 80 km/h non è certo rilassante, la moto serpeggia sulla pista come un serpente ubriaco e le braccia sono 2 morse che devono tenere il timone, pardon il manubrio, sulla rotta giusta in mezzo al mare di sabbia. A tutta manetta in 4° riesco a toccare i 100 km/h: adrenalina pura nelle vene, fare i 200 km/h con la stradale non è lontanamente paragonabile a questo. il motore urla chiedendo pietà, rallento, e mi domando angosciato se riuscirò a fare tutti i km di dune che ci separano da El Kadra.
Vengo passato da KLX: sono impressionato dalle prestazioni della verdona che avrò modo di provare più tardi sullo stesso percorso: dove io sono in 4° a manetta il Kawasaki quasi raggiunge i pieni giri in 5°, con uno spunto che ti tira fuori dalla sabbia come uno skilift! L’unica pecca che le trovo è una stabilità relativamente minore rispetto all’XR.

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Il pistone sabbioso.

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4 salti in attesa delle auto; l’ultima foto di quel maledetto giorno.

In 4 moto raggiungiamo per primi la stazione petrolifera e ci fermiamo ad attendere il resto del gruppo, chiacchierando con quello che pare essere il capoccia del posto. Passa il tempo e non arriva nessuno e allora TT ’88 torna indietro da solo per vedere cosa è successo; e il tempo passa e continua a non arrivare nessuno. Finalmente compare un’auto dei nostri che ci fa segno di tornare indietro. A 15 km da lì ritroviamo il gruppo: facce tese, preoccupate, attorno a TT ’88, steso su una barella improvvisata, in stato confusionale; la sua moto accartocciata per terra.
Cos’è successo? Il ritardo del gruppo era dovuto a XR ’88, che si era fermato definitivamente per la rottura della distribuzione; TT ’88 invece ha commesso l’imprudenza di tornare indietro non per la pista, ma facendo le dune 10 mt. a lato: saltando da una di queste è atterrato con l’anteriore, sbattendo violentemente a terra e perdendo conoscenza. Nel frattempo la carovana, caricata l’XR rotta sul pick-up, si era rimessa in marcia, e per un soffio non si accorgeva del ferito: solo il passeggero dell’ultima auto, proprio suo zio, si accorgeva del corpo immobile sulla sabbia e dava l’allarme. Fortunatamente il bilancio è relativamente meno grave di quel che sembra: il nostro compagno ha “solo” una frattura alla spalla, il TT invece ha la ruota anteriore distrutta. Il ferito viene caricato sull’auto del capogruppo ( che è anche suo padre), la moto sul pick-up “scopa” e ritorniamo mestamente verso El Borma.
Attendiamo per un tempo interminabile all’esterno di uno di quei villaggi-caserma, appoggiati al muro di cinta, notizie del nostro compagno: forse lo stanno operando, forse i militari lo portano via in elicottero, forse…alla fine viene caricato sull’ambulanza e parte in direzione dell’ospedale di Tataouine, località ad oltre 200 km di distanza, in gran parte sterrati! A seguito del ferito partono suo padre e suo zio: come non bastasse ancora tutto quanto, durante il loro viaggio hanno problemi all’impianto elettrico dell’auto e sono costretti a guidare per le montagne tunisine senza fari, alla luce di una torcia portatile sporta dal finestrino, per non parlare del gelo che entra da lì!
Riepilogo: abbiamo un pilota infortunato in viaggio verso l’ospedale, il nostro capogruppo ci ha giustamente “abbandonati” per assistere il figlio, 2 moto guaste sul pick-up e altre 2 “parcheggiate” in 2 oasi diverse: potrebbe andare peggio!
Usciamo da El borma e ci accampiamo ai piedi del muraglione di sabbia del giorno prima: bisogna assolutamente far andare una moto, non c’è posto sufficiente sul pick-up; la ruota dell’XR viene “trapiantata” sul TT ma c’è un piccolo inconveniente: manca il freno!! L’attacco pinza di Honda e Yamaha è diverso e allora niente freno, tanto noi siamo dei gran manici, non abbiamo bisogno del freno anteriore! O forse no?


04/01/00 EL BORMA-TATAOUINE-KSAR GHILANE

Ci alziamo prestissimo, attanagliati dal freddo polare e prendiamo la strada per Tataouine, lungo la Pipeline.
Il cielo è grigio cupo, intonato ai nostri sentimenti: non sappiamo nulla dei nostri compagni, il nostro viaggio è stato stravolto, qualcuno si chiede se riuscirà a recuperare il proprio mezzo abbandonato nel deserto!

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La ritirata.

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Linee elettriche: ritorno alla civiltà.

Divoriamo i km di sterrato, attraversiamo le montagne “rocciose” fino a Remada, dove ritroviamo dopo tanto tempo e tanti km l’asfalto. A mezzogiorno arriviamo a Tataouine: ritroviamo i nostri 3 amici, distrutti dalla fatica ma sereni. Festeggiamo l’incontro con un banchetto luculliano: ci accomodiamo in sala da pranzo direttamente con l’abbigliamento tecnico, stivaloni compresi, tutti incrostati di sabbia, sudore, olio e benzina, sotto lo sguardo allibito di un gruppo di turisti giapponesi (anche qui!!). Poi ci stravacchiamo nella Hall come cammelli sotto una palma, aspettando le decisioni del gran capo.
Il gruppo si divide: un’auto, con a bordo il ferito, 3 persone stanche del viaggio e l’autista, si dirige verso Djerba per prendere l’aereo per l’Italia; noi proseguiamo verso Ksar Ghilane e Douz, a recuperare le moto.
Partiamo nel pomeriggio sotto un temporale, ci mancava solo l’acqua e noi siamo riusciti a prenderla perfino in Tunisia!
Ci attende una pista molto guidata e tecnica che attraversa le valli e le montagne: fantastica, peccato che i troppi pensieri mi rovinino la guida; conosco la mia moto, ogni suo piccolo rumore, mi sembra di vederle gli organi interni in movimento, non ho bisogno di avere indicatori di temperatura, pressione, livelli, ecc., sento che non funziona bene!
La notte ci sorprende ancora sulla pista, il faro mi molla quasi subito e stavolta tocca a me il brivido di guidare sulla sabbia solo con luce “riflessa”! Sono momenti di tensione, rischio il ciocco con Tenerè, mio lume: l’arrivo all’oasi è un sollievo, come toccare terra dopo un naufragio, come arrivare al Lago Rosa di Dakar, come Marco Polo all’arrivo in Catai; la nostra carovana attraversa il palmeto in “parata”, mi illudo che tutti ci guardino, ci ammirino con stupore, siamo eroi, non abbiamo mollato!
Il gran Capo ci fa la grazia di non montare il campo, alloggiamo direttamente nelle tende affittate dal campeggio, su dei veri letti col materasso!
Dopocena ci deliziamo con un piacere voluttuoso: facciamo il bagno nel laghetto termale a 30°! Stiamo a bagnomaria, non si uscirebbe più, su una riva c’è il tubo che sputa fuori l’acqua direttamente dal pozzo in pressione, lì davanti è come fare l’idromassaggio in Iaccuzzi. La tragedia è uscire nell’aria a 6-7°, la sensazione è di trasformarsi in cristallo per poi spezzarsi subito dopo, ma siamo dei duri, superiamo anche questa e ci concediamo un meritato sonno.


05/01/00 KSAR GHILANE-DOUZ

La giornata inizia con i soliti lavori meccanici: si smonta l’impianto frenante del TT ’90 ( quello col motore scoppiato, lasciato a Ksar Ghilane) per montarlo sul TT ’88 (quello incidentato a El Borma); sorge spontanea la considerazione che sarà un bel casino, al ritorno in Italia, restituire ad ogni proprietario i suoi pezzi di moto, con tutti i “trapianti” effettuati!
Provo ad avviare il mio XR, do un paio di scalciate ma la leva si blocca, CHE CAZZO SUCCEDE!?! Kick starter, cambio, frizione, albero motore?
NO, sentenzia il meccanico: è la distribuzione, come l’XR ’88 di Alberto. Il morale mi sprofonda al livello della falda freatica, che ne sarà di me e della mia motina? Sul pick-up non c’è posto per caricare tutti i nostri ferri vecchi: ma, come il capitano non abbandona la sua nave che affonda, io non lascio la mia moto nel deserto!
Ma arrivano i nostri, ossia sempre il nostro mitico meccanico: via sella, serbatoione Acerbis, coperchio testata; la catena di distribuzione, con un lasco esagerato, ha saltato 3 denti e mandato tutto il motore fuori fase; inoltre le camme hanno perso l’indurimento superficiale ed una presenta una erosione di materiale.
Mi riconsegna la moto rimessa in fase, funzionante ed accesa, raccomandandomi una guida di velluto, se voglio arrivare a Douz.

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Sosta al cafè Bir Soltaine, crocevia di piste e punto topico per qualsiasi viaggiatore del deserto.

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Interni del locale.

Prendiamo la Pipeline, gli altri vanno al galoppo, io al piccolo trotto, quasi mi seminano, ma per fortuna giungiamo tutti a Douz senza altri intoppi.
Spendiamo il resto della giornata in giro per la cittadina, la sera una festicciola in Hotel chiude la giornata.

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Il mercato di Douz.


06/01/00 DOUZ-MATMATA-MEDENINE-DJERBA

Al momento della partenza l’XR mi abbandona definitivamente, non c’è più tempo di rimetterla in funzione: abbiamo 4 moto fuori uso su 8, 3 XR e 1 TT; dove metterle? Ma sul pick-up, ovviamente! Smontiamo le ruote anteriori, incastriamo i manubri, et voilà, 4 moto sono dentro il cassone: che fine ingloriosa per il mio “cavallo”!
Uno dei piloti dà forfait per esaurimento scorte, così “eredito” il Tenerè ’85 e concludo il viaggio in sella ad una moto: su 8 piloti, solo 3, io, KLX e Husaberg siamo riusciti a stare in moto tutti i 10 giorni!
Riattraversiamo per l’ennesima volta la brulla pianura semi desertica, verso le montagne: lì le piste assomigliano un pò agli sterrati di casa nostra, fondo duro, pietra, sassi rossi, tante curve; sinceramente il “Tenerone” mi delude: mi aspettavo di più dalla “madre di tutte le navi del deserto”. Il motore è più progressivo e dolce dell’XR, ha un bel tiro ma le sospensioni sono legnose, i freni scarsetti e soprattutto la trovo molto impacciata e lenta nei veloci cambi di direzione.

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Alves e la Tenerè, regina d’Africa; notare il “cartello stradale” alle mie spalle!

Raggiungiamo Matmata, dove praticamente non ci fermiamo, per cui le case trogloditiche le intravedo appena; passiamo per una cava dove si trovano tronchi fossili, ne raccolgo piccoli pezzettini, mi sembra di cattivo gusto portare via macigni grandi come meloni! Percorriamo in discesa una accidentata stradina sterrata dentro una valle scoscesa, quasi confondendosi con il letto in secca del torrente: è il nostro ultimo fuoristrada in terra d’Africa, non resta che il trasferimento verso Djerba.
Raggiungiamo l’isola da nord, con il traghetto: lo prendiamo dopo una lunga attesa e sbarchiamo che è già buio.
Ultima corsa per le strade di Djerba: non c’è un lampione a pagarlo oro, i fari del Tenerè sono andati, strizza di sbattere contro un tunisino, un carretto, un dromedario!
Finalmente appare il nostro lussuosissimo hotel, il viaggio è finito: purtroppo le cucine sono già chiuse, perciò andiamo a festeggiare a pizza e pesce da un italiano che ha aperto un ristorante in riva alla spiaggia; mi rompe un po’ che abbiamo pagato 2 notti in questo hotel da favola, dove siamo rimasti in tutto 15 ore, senza riuscire a sfruttare la cucina, la piscina e tutti gli altri comfort: tanto valeva andare in una bettola!
Andiamo a riposare mentre i nostri piloti auto partono per il lungo viaggio di ritorno.


07/01/00 DJERBA-TUNISI-ITALIA

3 ore di sonno e siamo già in aeroporto; a Tunisi ci resta il tempo di visitare Houm El Soukt, caratteristico borgo collinare, e bere il nostro ultimo tè alla menta, poi l’aereo ci riporta in un attimo in Italia, alla vita di tutti i giorni, ed è già tempo di ricordi ed aneddoti da raccontare ad amici e parenti.


Nelle settimane successive intensa è la sensazione di straniamento che provo nei confronti della normalità: dopo una esperienza così eccezionale (almeno nel mio piccolo) trovarsi di nuovo alle prese con lavoro, casa, traffico, tutto sembra banale ed insulso: anche le relazioni con la maggior parte delle persone sembrano superficiali e scontate, mentre nel deserto, anche fra sconosciuti, si cementa subito l’unità del gruppo e presto sembra di conoscersi da sempre.
Anche l’enduro non è immune da ciò: i miei soliti giri, che mi parevano fantastici, mi appaiono come la passeggiata in centro al confronto con una via ferrata sulle Alpi!
Per un po’ di tempo divento “l’Africano” per i miei amici, mi atteggio a pilota “vissuto”, rotto ad ogni pericolo; faccio mia una frase di Ungaro apparsa su un vecchio articolo di Motociclismo: Per chi ama il fuoristrada, l’Africa non può mancare nel suo carnet! Che verità!
L’altra faccia della medaglia è la triste conta dei danni, spenderò milioni per ripristinare la moto (catena, pattini, tenditore distribuzione, albero a camme, pistone e successivamente trasmissione finale e silenziatore).
Forse economicamente non valeva la pena, ma abbandonare la compagna di 1000 avventure non me lo sentivo proprio e con pazienza è ritornata bellissima!
Per fortuna ( o sfortuna, dipende) il “Mal d’Africa” mi passa: L’enduro nostrano è un’ottima cura, continuo ad ampliare i miei giri, cresce il desiderio di mettermi alla prova nelle competizioni, progetto altre avventure.
Da allora non sono più tornato in Africa, più per problemi contingenti che per mancanza di desiderio: il mio è un arrivederci, so già che prima o poi ci ritornerò!

Alves

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Messaggio da carlo » gio 04 feb, 2010 8:03 pm

Ma hai scritto un racconto noioso? 8)

Bello bello bello, mi hai fatto venire voglia di andare in Africa in moto, ma anche dato un bel po' di strizza! Forse le dune
sono fatte per essere fotografate e attraversate a piedi, e non in moto :roll:
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Messaggio da husqvarna100 » gio 04 feb, 2010 9:45 pm

Bel colpo Alves.
Il tuo giro e' un po' datato e pertanto piu' affascinante ancora.
Vedere con gli occhi e le foto altrui posti che conosco benissimo mi fa
tornare la nostalgia,manco ormai da ben sei mesi.
Certo che un numero cosi' alto di sventure in una sola spedizione penso
che sia da record.

Ciao.
Claudio.

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fredrix
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Messaggio da fredrix » gio 04 feb, 2010 11:06 pm

Bellissimo!Complimenti per il viaggio,per la passione,per il resoconto e le foto!Gli incovenienti ci stanno,naturalmente si amplificano da soli quando c'è la novità....

alp
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Messaggio da alp » sab 06 feb, 2010 12:02 pm

In versione africana non ti conoscevo. Ma quante ne hai fatte in vita tua?

Il report mi è piaciuto davvero tanto:
le foto ingiallite, di quei colori un po' strani.
I paesaggi sono molto belli ma il racconto supera tutti:
paura, fatica, gioia e stupore
mi hanno coinvolto al punto da sentirmi in viaggio con te
in quei fantastici giorni di fine millennio.

Grande Alves!
A presto e...
Buon motortrip,

alp

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max37
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Messaggio da max37 » sab 06 feb, 2010 4:44 pm

grande alves
Max37

http://www.tecnicamotori.it/

La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

lamberto
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Messaggio da lamberto » sab 06 feb, 2010 9:17 pm

Bellissimo report Alves!
Mi ha fatto venire una voglia di andare nel deserto che non ti dico 8)

Lamberto

SuperHank
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Messaggio da SuperHank » dom 07 feb, 2010 3:54 am

husqvarna100 ha scritto:Bel colpo Alves..
Certo che un numero cosi' alto di sventure in una sola spedizione penso
che sia da record.
.
Eh si, la sfiga è stata nostra assidua compagna in quel viaggio ... tu manchi da 6 mesi, io da 10 anni, fa un pò te la misura della nostalgia.
Anche se devo ammettere che ho più nostalgia delle mie piccole avventure croate e slovene, fatte al 100% da me, che il viaggio in Africa, dove sono stato solo un partecipante a rimorchio di altre persone.

Purtroppo le foto sono scadenti, fatte con una macchinetta da 4 soldi e la pellicola (non che la pellicola sia scadente in se, ma bisogna saperla usare!)
Se fosse ora in epoca digitale mi sa che avrei fatto migliaia di scatti!
Ciao
Alves

motera
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NEL REGNO DI ANNIBALE

Messaggio da motera » ven 19 feb, 2010 12:19 am

Complimenti x tutto Alves :viaggio e report. :wink:

Condivido con te il mal d'africa e spero di tornarci presto.... e un giorno in moto! :D

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