
Father:
It's not time to make a change
Just relax, take it easy
You're still young, that's your fault
There's so much you have to know
Find a girl, settle down
If you want, you can marry
Look at me, I am old
But I'm happy
I was once like you are now
And I know that it's not easy
To be calm when you've found
Something going on
But take your time, think a lot
I think of everything you've got
For you will still be here tomorrow
But your dreams may not
Son:
How can I try to explain
When I do he turns away again
And it's always been the same
Same old story
From the moment I could talk
I was ordered to listen
Now there's a way and I know
That I have to go away
I know I have to go
Father:
It's not time to make a change
Just sit down and take it slowly
You're still young that's your fault
There's so much you have to go through
Find a girl, settle down
If you want, you can marry
Look at me, I am old
But I'm happy
Son:
All the times that I've cried
Keeping all the things I knew inside
And it's hard, but it's harder
To ignore it
If they were right I'd agree
But it's them they know, not me
Now there's a way and I know
That i have to go away
I know I have to go
(traduzione italiana)
Padre e figlio
Padre:
Non è tempo di cambiare
Rilassati, prendila con calma
sei ancora giovane, questa è la tua colpa
Hai ancora molte cose da conoscere
trovare una ragazza, sistemarti,
se vuoi puoi sposarti
Guarda me, sono vecchio,
ma sono felice
una volta ero come sei tu ora,
e so che non è facile
Rimanere calmi quando hai trovato
qualcosa che va
ma prendi il tuo tempo, pensa a lungo
Perché, pensa a tutto quello che hai avuto.
Per te sarà ancora qui il domani,
ma forse non i tuoi sogni.
Figlio:
Come posso provare a spiegare,
quando lo faccio, si volge altrove di nuovo
È sempre la stessa vecchia storia
Dal momento in cui potevo parlare,
mi fu ordinato di ascoltare
Ora c'è una strada e so
che devo andarmene
So che devo andare
Padre:
non è tempo di cambiare
Siediti, prendila con calma
sei ancora giovane, questa è la tua colpa
Ci sono ancora molte cose da affrontare
trovare una ragazza, sistemarti,
Se vuoi puoi sposarti
Guarda me sono vecchio,
ma sono felice
Figlio:
tutte le volte che piansi,
tenendo tutto dentro di me
È dura, ma è anche dura
ignorare tutto
Se avevano ragione, ero d'accordo,
ma sono loro che tu conosci, non me
Ora c'è una strada e io so
che devo andarmene
So che devo andare
E’ stata una delle tante colonne sonore della nostra adolescenza. Questa canzone di Cat Stevens
mi piace molto nella sua melodia musicale e il testo mi fa molto pensare, alla fine, quando il figlio dice “Ora c'è una strada e io so che devo andarmene. So che devo andare.” “Andare”. Non è lo stesso che “andare in un luogo”. E’ un significato più profondo, dove il verbo senza moto a luogo indica il senso del nostro viaggio privo di una meta.
Ma al di là di questa magnifica song, approfitto del titolo per raccontarvi una semplice ed interessante esperienza di quest’estate: la storia di un padre e di un figlio. E’ il sogno di ogni papà quello di guidare il proprio figlio sulla scia della propria passione, avviarlo alla bellezza di ciò che ti entusiasma e suggerirgli i piccoli/grandi segreti frutto della tua esperienza di “vecchio”.
Quest’anno è stata la volta di Gino e Miki: 50 e 16 anni. Forse è una storia che assomiglia molto a quella di Max e Mattia, di Alves e Matteo, di Ernesto e il suo pargolo, di Patrizio e Francesco, di Francesco e Al, di Saverio e Tonino o di Nicola e Antonino. Insomma, l’archetipo dell’avvio al fuoristrada che ogni papà motociclista sogna di realizzare col proprio figlio.
Andiamo con ordine. A fine luglio ricevo una lunga telefonata da mio compare (lo chiamo così perché, fra l’altro è stato testimone al mio matrimonio). Mi annuncia che quest’anno verrà giù in Calabria col carrello e moto al seguito. “Ma come: il DR non l’hai lasciato qua l’ultima volta che sei sceso?” Dopo un po’ di confusione dovuta all’emozione e all’improvviso afflusso di sangue al cervello (qualcosa si era sbloccato fra la matassa aggrovigliata dei miei neuroni arteriosclerotici!), afferro che si tratta del 125 di Miki, “il new entry del motoalpinismo in Aspromonte”. Bene! Preventiviamo così una settimana di fuoco a cavallo di ferragosto.
Fra imprevisti e contrattempi, ritardi nella consegna della sua casa da ristrutturare e impegni di lavoro, padre e figlio si concedono, dopo una serie di provini su asfalto per familiarizzare con il cambio, alla prima avventura sullo sterrato. E si perché il piccolo/grande Miki guida da un paio d’anni soltanto microcar monomarcia (di cui il papà è rivenditore a Varese). A complicare le cose una fiammante Husqvarna alta quanto un cavallo e piuttosto vuota ai bassi regimi.
Ad accompagnarli una coppia di coetanei. Strano gruppo il nostro! Il volpone della guida suggeriva un appuntamento di mattina presto, quasi all’alba, e proponeva di salire velocemente oltre i 1500m slm per evitare temperature eccessive. Ma i ragazzi si sa come sono. Le notti di Reggio sono state più sfrenate che mai quest’estate: fra lidi e disco-pub i nostri due giovanotti non sono andati a dormire prima delle tre. Immaginate quindi il risveglio!
Si decide, perciò, una comoda partenza. Al, lamentandosi del consumo dei propri copertoni racing su asfalto, ci “supplica” di partire in “off” e viaggiare sempre su terra. Poiché anch’io sono padre e le “lacrime dei bambini” mi toccano nel profondo del cuore, accetto di guidare il gruppo dalla spiaggia vicino alla casa di Al (perché non gli si sciupino le gomme!).

In pieno agosto, coi turisti a mare, piazzati di tutto punto con protezioni e casco sembravamo proprio fuori di testa. Nella foto in alto si nota una mamma con in braccio la propria bambina che dice: “vedi piccola, quelli lì sono dei tipi da cui è meglio starsene alla lontana!” Sarà!
Fatta la foto di rito, mettiamo in moto e cominciamo l’avventura a 40° Centigradi! Saliamo dolcemente fra alti canneti che, con la loro ombra, ci proteggono dal bagliore accecante del sole d’agosto. Il terreno è compatto, ogni tanto dobbiamo guadare una fiumarella che, per l’assenza di pioggia da oltre 2 mesi, sembra più che mai anemica. Dopo una decina di km, Al sembra ancora in forma: non toglie il casco perché prenderebbe freddo con lo sbalzo di temperatura (2.000°C dentro – solo 40°C fuori). Viaggiamo fra una natura secca, assolutamente priva di umidità: ci ritroviamo costretti a viaggiare molto distanziati l’uno dall’altro per evitare polveroni. Il problema consiste nel riuscire a tenere a bada “il pilota” che impaziente corre avanti e ogni km si ferma ad aspettarci. Appena lo raggiungiamo riparte alzando tonnellate di polvere che lasciamo sistematicamente diradare e, dopo una decina di minuti ripartiamo per raggiungerlo nuovamente. Ma si può andare avanti così?

I miei occhi si lamentano ma non piangono. Sono felice di aver ricominciato ad andare per i “miei” sterrati, felice di cavalcare la piccola e “gloriosa” alpetta, felice di ricominciare una stagione di moto dopo un lungo periodo di impegni non proprio coinvolgenti. Oggi più che mai ci sarebbe stato di grande aiuto l’oftalmologo del gruppo, il nostro Tino col suo Kappone. Ma è troppo occupato con le immersioni subacquee. Il nostro campione, nella stagione estiva mette la moto al chiodo e si rinfresca nelle acque profonde fra Scilla e le Eolie. Aspettiamo l’autunno!
Le lacrime sono troppo preziose in questa vallata impolverata. Dopo appena mezz’ora mi accorgo di avere il dotto lacrimale completamente asciutto (alla prima fontana procederò con le mie abluzioni mistiche!), per ora mi fermo e mi accontento di schiaffarmi in faccia il mezzo litro d’acqua che tengo sempre nello zaino. Guardo Al, fermo poco più avanti, che mi sorride sotto il casco e mi fa segno chiedendo se è tutto OK. Nonostante le lacrime che mi mancano, rispondo di si e procediamo.

Non facciamo molta strada: non più di una decina di km di terreno polveroso e troviamo finalmente un po’ di frescura dove riempire le nostre borracce e affondare nell’acqua le nostre “cape toste”. Che idea quella di “sterrare” sotto il picco del sole, impolverati da sembrare i cow-boys dei films di Leone nel “mezzogiorno di fuoco”. Fra me e me mi riprometto di non rifarlo mai più: d’ora in poi se andrò in estate per sentieri lo farò solo oltre certe quote altimetriche e protetto dal sottobosco, se possibile. Ma ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare. Non possiamo tirarci indietro!

Intanto rifletto su questi nostri giri in moto e, come ogni volta, da un anno a questa parte, mi riprometto di lasciare che siano gli altri a scrivere il loro resoconto sull’uscita e vorrei limitarmi ad inserire semplicemente le foto. Ma per l’ennesima volta, ecco che mi ritrovo, a tarda notte, mentre aspetto per andare a recuperare le mie pargole dalle loro uscite con gli amici in queste ultime notti di settembre.
Avevo raccomandato a Miki di segnare qualche appunto subito dopo l’uscita, per memorizzare i momenti più significativi o, magari, i passaggi più impegnativi. Ma bisogna anche capire i nostri ragazzi: così tanti ormoni in circolo non aiutano certo a concentrarti sul raccontino di una gita in moto. L’attenzione va altrove, molto oltre gli orizzonti di una piccola vallata aspromontana.

Quando finalmente raggiungiamo una quota accettabile, il mio sistema neuronale pare funzionare meglio e azzardo una prova su sterrato del DR400. Che moto! Mi sembra di navigare sul gommone: ammortizza che neanche ti sembra di correre su terra. Un’accelerazione che ti scuote la schiena e quando prendi i dossi: che salti! L’unico neo, per me, misero nanerottolo da 170cm, è l’altezza: veramente esagerata! La foto è venuta mossa perché dietro la fotocamera c’era Gino, proprio in direzione della mia traiettoria: l’ho mancato per poco, acciderbolina!
Ricambiataci la moto, procediamo velocemente (Lui, lentamente io) lungo il letto asciutto di una delle più grosse fiumare della provincia: quella che separa il versante jonico da quello tirrenico. Solitamente piena d’acqua, questi ultimi mesi di siccità l’hanno completamente prosciugata e il bel guado che, fino a qualche mese fa eravamo soliti fare nei nostri trasferimenti in quota, rimane soltanto un lontano ricordo a cui stentiamo a credere: ci sembra quasi impossibile che tanta portata d’acqua sia scomparsa nel nulla.

E nella foto sopra, Gino è passato dall’altro lato dell’obiettivo: eccolo in una magnifica curva in derapata controllata, seguito dal neofita dell’enduro aspromontano, il “piccolo” Miki. Beh, lo stile non è identico ma si può lavorare bene. Nell’arco di un paio di uscite il nostro pilotino ha fatto proprio dei bei progressi. D’altra parte, con un Prof come il suo papà! Lo ricordo vincitore assoluto di una gara locale di Regolarità sul suo Fantic 125. Era il 1974 o giù di lì. A quei tempi le moto da fuoristrada mi facevano paura. Avevo una specie di timore reverenziale verso quei mostri fumosi e rumorosi. Col mio Benelli 125 bicilindrico a 2T correvo silenzioso su asfalto. Altre dimensioni!

La passione per il fuoristrada non è nuova in Miki: ha già un passato di minicross. Certo il motoalpinismo non è la stessa cosa. Abituarsi alle lunghe distanze, riuscire a dosare lo sforzo e la fatica, anticipare quelli che possono essere gli imprevisti del tracciato sono le tipiche variabili che affronta quotidianamente chi va in montagna per giornate intere e non è usuale in chi frequenta, invece, il solito circuito del campetto da cross. Ma questo, a detto del suo papà, è un’ottima palestra: ti fa familiarizzare con l’impostazione della curva e coi salti. Certo, nel motoalpinismo non hai da impostare curve (devi semplicemente cercare di evitare di investire l’auto che ti spunta all’improvviso dalla curva) e di salti neanche a parlarne. Credo proprio che nei pensieri reconditi (ma poi neanche tanto) di Gino ci sia un figlio crossista. Anzi, mi è parso di capire che al rientro a Varese farà la follia di acquistare una 125 da pista. Vedremo!

Ed ecco Gino che imita il rombo che il motore deve fare quando è su di giri: woo, woo, woo! In effetti, il motore del WRE non si presta molto a questo tipo di giri in montagna: fa troppo caldo, entra in coppia ad un numero di giri troppo elevato per permettere partenze in aderenza, è alto per certi passaggi tecnici. Forse, per un sedicenne neofita, la moto ideale potrebbe essere un basso e tranquillo 4T, diciamo la solita motorizzazione Yamaha/Honda/Suzuki dalla solidità ed elasticità comprovata da oltre 30 anni di utilizzo su varie tipologie di moto: la coppia in basso, la limitata altezza da terra e i consumi irrisori si prestano a facilitare il compito di chi si avvicina per la prima volta al motoescursionismo in montagna.

Ecco, infatti, la fine che ha fatto la protezione del radiatore del liquido di raffreddamento: squagliato! E che dire dei bulloni che fissano alla marmitta la protezione metallica di raffreddamento? Volati via non si sa dove! E lo stesso il catarifrangente: effetto vibrazioni! Insomma: se è una moto per il fuoristrada bisogna che in fuoristrada si comporti degnamente. Test non superato!
Ma veniamo agli antecedenti. Procediamo nella nostra salita verso il fresco. Piano piano la vegetazione prende il posto dei colori secchi. Ecco il DR che procede tranquillo su per una ampia carreggiabile. Ancora non si fa fatica: le pendenze non sono mai eccessive e la larghezza della strada ci permette di avanzare in parallelo ed evitare di affumicarci inutilmente.

Qui di sotto, la sosta prima di affrontare la salita più impegnativa di questa prima parte del percorso. Ci fermiamo a guadagnare fiato, bere quel po’ d’acqua che abbiamo risparmiato e suggerire qualche dritta al nostro Miki che sembra attento più che mai alla lezione. Nelle sue orecchie c’è ancora il suono del motore che papà suggeriva per affrontare la salita tosta (woo, woo, woo!). C’è tensione nell’aria. Miki non sa cosa l’aspetta e, per la verità, neanch’io. Non passo di qui da oltre due mesi e sono un po’ preoccupato per le possibili trasformazioni che il manto stradale può aver subito nei vari passaggi che i nostri “Cavalieri di San Giorgio” hanno fatto in quest’ultimo periodo. Senza contare gli imprevisti di tronchi sulla carreggiata o frane. Speriamo bene! Procediamo con cautela.

Tutto avrei potuto immaginare, alberi e rocce a bloccare il passaggio, ma mai che una semplice pietraia avrebbe potuto mettere in difficoltà il motore di una Husvarna. Si che la pendenza non era da poco, ma sono o no moto da fuoristrada queste WRE? Se la coppia in alto non aiuta a partire e il motore strozzato per il Codice Stradale è un ulteriore handicap, anche l’inesperienza ha fatto la sua parte. Ragion per cui ecco che interviene il babbo. Sbloccata la leva del cambio, sussurra qualcosa ai CV (è Lui l’uomo che sussurrava ai cavalli, ma erano cavalli-motore!) dell’Huski e si prepara alla scalata.

Non invidio il pilota in queste condizioni: temperatura glutei vicina allo squagliamento con rischio emorroidi. Con tanta grinta ma soprattutto con la voglia di non far cattiva figura agli occhi del bimbo (che pende dalle sue labbra), ecco il paparino inforcare la moto e partire sfrizionando a razzo verso la cima del monte dove ci accorgeremo dello “squagliamento” del radiatore: spia rossa accesa e fumo intenso (è meglio o no il raffreddamento ad aria?).

Finalmente in cima ci lecchiamo le ferite. Sostiamo a lungo per raffreddare il 125 e permettere di abbassare la tensione che inevitabilmente si viene a creare in queste situazioni. Il babbo s’arrabbia (non si sa bene se con la ditta di Varese o col ragazzo di Varese), il ragazzo è sfatto di fatica (causa il dosaggio non ottimale dello sforzo fisico), noi cerchiamo di scherzarci su è il tutto finisce in una gran bevuta d’acqua, quella poca rimasta!).


Si sale, si sale! La temperature si abbassa leggermente, mai quanto desidereremmo! Ripenso a quando ho accettato di partire a tarda ora sotto il sole caliente. Avanti c’è sempre Al seguito a debita distanza da me, chiudono la fila Miki e Gino che fa da scopa per dare le opportune correzioni all’impostazione di guida del figlio. E’ un grande momento. Non penso che 35 anni fa saremmo riusciti a concepire una giornata come questa: è così magica! Prima di tutto perché non avremmo mai creduto possibile che saremmo andati in moto fuoristrada a quest’età (io, addirittura ho cominciato soltanto 5 anni fa!) e poi, pensare di farlo con un figlio: accidenti, è proprio bello!


Gli enduristi trovano pane per i loro denti. Affilano le armi e partono alla carica. Ecco Al che impenna velocemente su un dosso che sembra essere stato messo lì apposta. Al va! Ammiro molto la sua tecnica: fluido e aggressivo quando serve. Sta imparando a conoscere “le mie strade”. E’ un piacere, per me, lasciargliele in eredità. E quando fra… 30 anni non sarò più in grado di guidare i gruppi per questi sterrati… beh, ci sarà lui. Tecnica, prestanza fisica e capacità di valutare il rischio sono le sue migliori doti che esprime sinergicamente ottimizzando lo sforzo e la pressione. Ha proprio della stoffa il ragazzo!

In questa foto sotto, i due adolescenti, esausti, sembrano chiedersi: “ma se è così una gita piacevole, come saranno i momenti duri della vita?” A parte gli scherzi, ho l’impressione che questo, come tanti altri sport, sia una importante palestra di vita per mettere alla prova tutta una serie di competenze estremamente utili per la maturazione di un ragazzo. Al di là di qualsiasi atteggiamento pedagogico, non c’è dubbio che girare in moto fuoristrada ponga sotto verifica la forza di volontà, la perseveranza, la capacità di valutare il pericolo, l’abilità a dosare lo sforzo e tante altre doti che sono certamente importanti ad affrontare la dura vita degli adulti.

Ma non dilunghiamoci troppo in elucubrazioni filosofiche perché i nostri ragazzi pare che siano cotti quasi a puntino. Noi anziani non siamo certo da meno ma guardate un po’ come sono riuscito a fermare un’espressione “distrutta” del nostro Al: la dice più lunga di qualsiasi descrizione letteraria. Meglio che la nostra fisiatra (la mamma di Al!) non la veda altrimenti… mi sa che non me lo manda più a fare le “gitarelle” in moto.

Un goccio d’acqua, una caramella o ancora meglio una barretta ipercalorica e ci si riprende subito. Non so bene se ci siamo fermati più per recuperare energie o per facilitare il raffreddamento del radiatore del WRE. Fatto sta che, dopo un quarto d’ora di riposo siamo freschi quanto basta e pronti a continuare il nostro giro.

Io, finalmente, sto facendo motoalpinismo come non lo facevo da tanti mesi a questa parte: da quando, cioè mi sono accompagnato al gruppo dei “Cavalieri di San Giorgio”, motociclisti di chiara impronta enduristica. Oggi mi sono divertito a passeggiare, a guardarmi intorno, a trotterellare con l’Alpetta senza fretta. E’ questo il modo migliore per passare una giornata in montagna, senza l’ansia di dover raggiungere il gruppo che, guarda caso, è sempre oltre la curva (ma non sai quale).

Padre e figlio procedono in cordata. Quando mi fermo, ogni tanto, a rifocillarmi d’acqua, li vedo arrivare vicinissimi l’uno all’altro. Sembra quasi che fra di loro ci sia ancora un cordone ombelicale che prima o poi si staccherà. Miki corre avanti in cerca della Sua Libertà, Gino gli stà dietro, cercando di dargli gli ultimi consigli prima del distacco. Metafora della vita questa uscita in fuoristrada: storia di un padre che vorrebbe insegnare al figlio tutti i suoi segreti per proteggerlo dai mali della vita o dai rischi dell’enduro. Una storia uguale in tutti i luoghi del mondo e in ogni tempo. Metafore di situazioni che sono state già vissute dai nostri nonni e che i nostri nipoti continueranno a viversi coi loro figli. Il ciclo della vita continua e noi, geneticamente segnati dal patrimonio che abbiamo inconsapevolmente ereditato, continuiamo a eseguire gesti e comportamenti ritualizzati a perpetuare una vicenda umana plurimillenaria. In fondo l’uomo meccanelettronico del III millennio non è poi molto diverso da quello del IV secolo a. C., quando Platone cominciava ad occuparsi di come sarebbe stato importante tramandare le migliori tradizioni culturali alle generazioni successive.

Scolliniamo dopo aver percorso la lunga salita e riusciamo a raggiungere il lungo crinale montuoso che ci permette di viaggiare sotto l’ombra di alti larici. Qui, finalmente, la temperatura si abbassa a livelli decenti. Il piccolo motore del WRE pare essere il primo ad accorgersi del cambiamento e fila via liscio lungo la carreggiabile semipianeggiante che ci permette di raggiungere il paese dove ci fermiamo a fare colazione e rifornimento, prima di proseguire la nostra avventura.
Una recente colica renale mi impedisce di affondare i miei denti su capicollo, salame o insaccati piccanti: devo accontentarmi di un asettico pan carré con prosciutto crudo di San Daniele. Di vino o alcolici neanche a parlarne. Son finiti i tempi della bisboccia, quando ci si fermava alla trattoria di Mimmo per sbafare pasta e fagioli innaffiati con buon vino di Cirò? (clicca su http://motoalpinismo.forumup.it/viewtop ... oalpinismo per leggere il report dettagliato). La verità è che mancando il più verace dei motoalpinisti aspromontani, il nostro Pino, viene a mancare il trascinatore di folle verso la trattoria del buon Bacco con annessi e connessi.
Debitamente rifocillati si parte per l’avventura vera e propria. Prima tiriamo le somme sui consumi: € 1.50 per la Alp, € 2.00 per il DR, € 2.50 per il WRE e il WRF di Al. Accettabile! Si decide di percorrere uno sterrato ”facile”, ma visti i precedenti c’é da aspettarsi di tutto. E infatti, l’incognita è in agguato! Mai sopravvalutare i rischi di un tracciato, specialmente quando si è in compagnia di un “new entry”.

Finché si tratta di superare grossi ostacoli facilmente visibili lungo la nostra carreggiabile, Miki lascia la moto a papà che, con noncuranza, by-passa il tutto. La cosa strana avviene quando ci troviamo al bordo di una ripida discesa. Probabilmente, questa situazione richiama una brutta esperienza vissuta recentemente da Miki: una catastrofica caduta con lo skate-board! E così, non si capisce bene come, il giovane cavaliere si ritrova ad adagiare la moto per terra, per fortuna senza grossi danni.



Ma gli imprevisti non si presentano solo ai novizi della dura arte del motoalpinismo. Anche un endurista ormai d’esperienza come Al si ritrova ad esplorare “la fossa delle Marianne”. Caso strano, in quel tratto di pista ero io avanti. Vedendo il fango nella buca procedo lungo i margini e fermo la moto per scattare alcune foto. In velocità ecco che arriva Al che, forse non accorgendosi dell’acqua nella fossa, si infila dentro riuscendo, per fortuna o per manetta, ad uscirne incolume. Godetevi la scena:





Sarebbe stato più facile restarci dentro che venirne fuori, come è riuscito a fare il nostro Al. Continuiamo, quindi lungo la nostra carreggiabile priva di grossi ostacoli. Ogni tanto guardo indietro padre e figlio e me la rido fra me e me. E mi viene in mente l’altra sera, a cena a casa di Francesco e Al (Father & Son): caschi dappertutto e di tutti i tipi: integrali, coppole, jet, moto parcheggiate in giardino (Transalp, Honda XR125, Aprilia 125 da strada), apro una porta e mi ritrovo in garage: di fronte a me il WR 250 F e il TM 125. A casa mia, invece, è facile aprire un armadio e che ti cadano addosso decine di borsette o gonnelline. Mi sa che adotterò un bambino!

Riprendiamo il racconto, via! Ecco, sopra, Al che fila liscio lungo la strada bianca nel bosco fra i faggi: sono, sicuramente gli alberi che preferisco per il senso di frescura che ti danno. A parte la defaillance di Miki (comprensibilissima data la sua brutta esperienza precedente) e l’immersione di Al nient’altro da segnalare fin qui. Una tranquilla uscita didattica, appunto. Con una certa frequenza il gruppo si ricompatta e si verifica che tutto proceda bene. Agli incroci propongo sempre un paio di alternative suggerendo automaticamente la via più facile.

A un certo punto, mi ricordo che procedendo lungo una carrareccia si taglia la larga strada sterrata e si arriva ad uno spiazzo ampio dove troviamo un deposito di legna, che i boscaioli locali utilizzano per il momento, in attesa di trasportarla a valle coi mezzi pesanti. La cosa strana è che per portarla giù si avvalgono di grossi camion con rimorchio: una cosa impensabile. Si che si tratta di larghe carreggiabili ma pensare che ad una curva veloce ti ritrovi di fronte un TIR c’è da farsi venire la diarrea.

Beh, a questo punto del racconto non può mancare una bella foto dei due compari, felici della bella giornata trascorsa assieme. Le uscite con Gino hanno sempre un sapore particolare per me. Il nostro comune passato e la lunga amicizia che ci lega da quasi 40 anni fanno si che, a ripensarci, mi rendo conto di quanto siano veramente unici questi momenti. A quando il prossimo giro, Ginazzo?

Ho notato che quando i padri portano i loro pargoli a passeggiare in moto nei boschi assumono tutti un atteggiamento rassicurante, mai preoccupato (che il bimbo non si faccia male!) né arrabbiato (ma perché non fa come gli dico io?!). Effettivamente, a ripensarci, è proprio giusto fare così. Forse da parte loro c’è una forma di rispetto e sana considerazione di quello che sarà il futuro dei loro ruoli familiari: il papà diventerà un vecchio rimbambito e il piccolo, in men che non si dica, tirerà fuori forza, grinta e coraggio.
Qualche volta assistiamo a strani tradimenti: lasciare l’enduro per uno scooter (vero Tonino?)! Ma la passione rimane nel sangue, lo vedi quando gli passi vicino con la moto e sai che prima o poi lui ci ritornerà in fuoristrada, prima o poi. E’ questione di tempo, io credo. Penso proprio che l’esperienza delle ruote sporche lasci una traccia indelebile nel DNA di una persona, sia in positivo che in negativo. Non c’è dubbio che accompagnarsi a gruppi di “delinquenti del fango” non aiuta i neofiti a proseguire il loro viaggio nell’avventuroso mondo del tassello. C’è sempre lo stupido che per mettersi in mostra o per trovare il capro espiatorio della giornata mette a dura prova le scarse capacità dei poveri neofiti che hanno la sfortuna di averlo come amico. D’altra parte, un buon inizio, con una guida esperta dei luoghi ma, soprattutto, esperta in “psicologia dello sport” ti permette di prendere quanto c’è di meglio dalle motoescursioni in montagna, facendo la dovuta attenzione ad evitare situazioni eccessivamente stressanti o, addirittura, shockanti (discese troppo ripide o terreni eccessivamente impervi).

Il nostro giro s’inceppa in un difficile passaggio roccioso. Il pesante DR di Gino non ne vuole sapere di arrampicarsi sui roccioni. Meglio non rischiare! E così, da buon padre di famiglia che si rispetti, onde evitare rischi inutili, ecco il nostro papà che scende dall’alta giraffona e la spinge lentamente cercando di evitare di cadere e farsela cadere addosso (così a pieno carico avrà il suo quintale e mezzo). Ci capita spesso di percorrere le carreggiabili di montagna che, nel tempo, dopo la brutta stagione, diventano impraticabili per i mezzi a quattro ruote: frane, alberi divelti, smottamenti del terreno determinano, di fatto, un isolamento di intere zone con conseguente invasione di sterpi e arbusti. Col tempo, però, l’attraversamento di tali carrarecce da parte di noi motociclisti riapre varchi via via sempre più ampi, ridando così alla vecchia carreggiabile interrotta una riconquistata viabilità. Di questo ne sono consapevoli i “Signori” della montagna, le Autorità che dovrebbero tutelare il patrimonio naturale, culturale ed economico delle misere zone appenniniche? (a voi la risposta… e l’ardua sentenza!)


E non finiscono qui le fatiche del nostro paparino: passata una, torna indietro a prendersi l’Husqvarna. Troppo semplice la vita? “Hai voluto la bici?...Pedala!” Ma le zone hard non finiscono qui. Eccoci arrivati ad un pietraia che avevamo attraversato non più di un paio di mesi fa, completamente appiattita dal passaggio di grossi mezzi pesanti: con nostra grande sorpresa la ritroviamo con grossi ciottoli (grandi quanto delle belle mele), non proprio facili da superare per il nostro Miki. Ma la sua altezza gli permette di allungare bene le gambe per terra e di poggiare i piedi stabilmente. Così andiamo oltre.

Ormai abbiamo superato il caldo afoso della prima parte della nostra giornata, quando non eravamo ancora in quota e sudavamo sette camicie per arrancare fra curvoni tortuosi e tornanti assolati. Sotto una fresca pineta troviamo una buona scusa per fermarci. Già, perché l’orgoglio, talvolta, ci impedisce di riconoscere che “siamo stanchi ed è meglio fermarsi.” Meglio recuperare un motivo plausibile come la necessità di raffreddare il motore o di fare il punto sulla cartina topografica. A parte gli scherzi, un pizzico di irriducibile narcisismo, qualche volta ci impedisce di riconoscere davanti agli altri il nostro limite, soprattutto se questo è ad un livello inferiore rispetto a loro. Dunque: trovata la buona scusa (la mia è sempre quella: fermiamoci per una foto!) eccoci a commentare a caldo l’andamento della giornata, e qui l’attenzione è rivolta tutta al nostro Miki.

Fa piacere notare che in lui sentimenti di stanchezza fisica si mescolano a sensazioni esaltanti sul piano emozionale. Ormai è dei nostri. Ha superato degnamente una serie di ostacoli che non avrei mai pensato di presentare ad un neofita ma che, volente o nolente, si è ritrovato davanti lungo il suo cammino. Ormai il più è fatto! Abbiamo oltrepassato la metà del percorso e ci avviamo a chiudere l’anello per rientrare alla base prima che Mamma Cetty si preoccupi per il maritino e il pargoletto.

Selezioniamo attentamente il percorso scegliendo sempre la via più facile anche se non è la più breve. Siamo stanchi e Miki lo è ancora di più visto che sulla moto non va ancora sciolto come chi ha esperienza. Nei suoi movimenti si nota una certa contrazione (sia dei muscoli agonisti che, contemporaneamente, degli antagonisti) e questo gli costa, ovviamente, il triplo della fatica che facciamo noi.

Neanche a dirlo, in due mesi dall’ultimo passaggio nella zona di Iennàcoli, le sterpi hanno ostruito il passaggio e così ci ritroviamo ad affrontare i rovi. In questi casi i paramani del DR danno un’ottima protezione contro l’incastro delle piante nelle leve sul manubrio. Anche un casco con la visiera aiuta. Ma più si va avanti e più la situazione si fa “aggrovigliata”. Arrivati ad un certo punto comincio ad avere la strana sensazione che se mi fermo i rovi cresceranno immediatamente intorno alla moto impedendomi di proseguire (incubi da motoalpinista!) e quelli del Soccorso Alpino mi ritroveranno avvinghiato dai rami delle piante (la vendetta della natura contro i motociclisti inquinatori!). Come si vede qui sotto, Miki comincia anche lui (oltre me) ad avere serie difficoltà con gli arbusti fra la pista.

Finalmente quando ne veniamo fuori tutti insieme sembriamo percepire un’unica emozione: abbiamo concluso un bel giro. Dopo quest’ultima difficoltà c’è in noi la consapevolezza che abbiamo acquisito un nuovo appassionato al motoalpinismo: BENVENUTO MIKI!!!!!

Scendiamo lentamente verso valle. Il sole è sempre meno caldo e tende ad abbassarsi all’orizzonte. In fila indiana procediamo seguendo l’ampia carreggiabile che ci porterà sulla Provinciale per Schindilifà, ameno paesino pedaspromontano. Dovremo aggirare ancora almeno quattro passi fra la catena di monti che si dirige a perpendicolo verso il Mar Tirreno.

Questa è l’ora più bella per me. I muscoli sono sciolti al punto giusto, c’è quel po’ di stanchezza che ti permette di non irrigidirti inutilmente ma ti fa modellare lo sforzo muscolare in maniera ottimale. La luce del sole all’orizzonte crea ombre lunghe, irriconoscibili. Da valle sale lieve la brezza marina, fresca, col suo dolce profumo di mare. Fra un po’ so che ricomincerò ad avere caldo e mi godo appieno questi ultimi attimi di leggera frescura.
Concludiamo questo nostro report sulla ”epopea del motoalpinismo familiare” con l’ultima foto di Gino col suo DR400S, il Grande Papà che oggi, più che mai, ha dato prova delle sue ottime doti di motoalpinista, di pedagogo e di amico. Alla prossima, Grande Ginazzo.
