di Ernesto Che Guevara

Sono qui per seppellire un libro, non a tesserne l'elogio.
Ovvero vorrei perlarvi di un libro, Latinoamericana, che sconsiglio di leggere, per quanto possa suonare attraente. Si tratta infatti, come dice un pò ammiccante il sottotitolo, di "Un diario per un vaggio in motocicletta", scritto nientepopodimeno che dal giovane Ernesto Che Guevara.
Parla del viaggio compiuto nel 1951 da Guevara, all'epoca ancora inquieto studente di medicina a Buenos Aires, e il suo amico Alberto Granado, risalendo l'America Latina fin in Venenzuela. Ne è anche stato tratto un film dal titolo ancora più ammiccante, "I diari della motocicletta", che non ho visto e non conto di vedere, e che non mi pare avvia avuto vasta eco.
Tornando al libro lo sconsiglio a chi, come me, lo prendesse immaginando di trovarvi un racconto un po' epico, un testo "on the road" magari po' romantico, una specie romanzo di formazione per quello che sarebbe presto diventato uno dei personaggi mitici del XX secolo, anzi il mito per eccellenza.
Potrebbe invece essere un testo molto interessante proprio per chi fosse interessato a scoprire aspetti meno noti proprio del mito del "Che", consapevole che conoscere l'uomo che c'è dietro può essere alquanto smitizzante.
Cosa non mi è piaciuto del libro? Innanzitutto l'accento editoriale sull'aspetto di viaggio motociclistico è alquanto fuorviante. La scalcinata "Poderosa II", la moto che porta faticosamente a spasso nella prima parte del viaggio i due protagonisti, tira le cuoia definitivamente a pag.43, stroncata dall'usura, dalle continue cadute, dalle riparazioni approssimative. Stroncata soprattutto, mi verrebbe da dire, dalla superficialità e dell'indifferenza del narratore.
Va be' direte, mica per tutti la manutenzione è arte: si parla del "Che", mica di un Pirsig qualsiasi.
Il guaio vero del libro è che questa indifferenza sembra coprire tutto, dai luoghi alle situazioni, dagli animali fino ai popoli oppressi in cui si imbatte il protagonista, e che ci si aspetterebbe dovrebbero almeno loro si, se non una biella, toccare l'animo di un futuro rivouzionario.
Un indizio ce lo da proprio il "Che" all'inizio della narrazione, dicendo "Non è questo ... semplicemente 'un racconto un po' cinico'; per lo meno, non vuole esserlo". E' proprio il caso di dire "excusatio non petita..."!
In verità l'autore ci tiene a dire di non essere più la stessa persona che ha iniziato il viaggio. Ci vogliamo credere? Il fatto è che non spiega in cosa consista il cambiamento, nè tantomento sembra prendere le distanze da quella apparente indifferenza che lo fa sembrare più un ragazzotto della borghesia argentina postbellica, un po' annoiato ed in cerca di emozioni da raccontare al ritorno nei circoli universitari, piuttosto che l'eroico rivoluzionario romantico ed utopista dell'iconografia ufficiale.
E infine da uno che si chiama Ernesto, che se ne va in giro in motocicletta per la Cordigliera delle Ande, un atteggiamento un po' più motoalpinistico, e uno straccio di documentazione fotografica, era lecito aspettarsela, o no!? (l'immagine sotto, ahime', viene dal film...)
