
Un capolavoro.
Non so se l’autore ha mai usato una moto, ma io vorrei viaggiare, con qualsiasi mezzo, con lo spirito di Chatwin, raccontare i miei viaggi (etti) con la sua penna.
L’autore viaggia per mesi nella Patagonia, a piedi e con mezzi di fortuna, e il libro è una diario di viaggio.
Perché va in Patagonia?
Perché da ragazzino, terrorizzato dalla guerra atomica che avrebbe finito il mondo, lui e i suoi amici credevano che solo in quell’angolo remoto di mondo avrebbero potuto salvarsi.
Perché un suo avo marinaio trovo in una caverna della Patagonia un pezzo di pelle di un animale preistorico, il Milodonte, pezzo di pelle che il bambino Chatwin vide e toccò a casa della zia; il giovane Chatwin va alla ricerca e riscoperta del milodonte e del percorso del suo avo.
Motivazioni esili, quasi una scusa per vagare nelle pampas.
Ma queste motivazioni lo portano ad incontrare persone legate alle stesse, come uno scienziato locale.
Poi gli incontri bizzarri si succedono: gallesi ed inglesi che vivono la da generazioni; indigeni; incontri che avvengono anche con la storia: il fantasma di Butch Cassidy e Sundance Kid, pistoleros gringos; fantomatici Re autoproclamatesi degli indigeni, e molti altri.
La Patagonia esce così dalla pura dimensione geografica e diventa un luogo dell’immaginario, un pretesto per cercare storie e per raccontarle.
Alves