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Chevauchée de S.A.D.E.
- SVDiesel
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Chevauchée de S.A.D.E.
“Sono le 22.39 [del 9 ottobre 1963 ndr]. Un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d’acqua. Questa si alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull’abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra. A monte della diga un’altra ondata impazzisce violenta da un lato all’altro della valle, risucchiando dentro il lago i villaggi di San Martino e Spesse. La storia del «grande Vajont», durata vent’anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l’olocausto di duemila vittime.”
Da “Sulla pelle viva” di Tina Merlin p. 120
Da questo libro, splendido e terribile, nasce l’idea di un viaggio sui luoghi del disastro del Vajont, luoghi che tra l’altro conosco abbastanza bene, visto che quand’ero all’università ci ho girato un mediometraggio, sempre inerente al disastro.
L’idea iniziale di itinerario passa per Belluno, Longarone, Diga del Vajont, Casso, Loc. Pineda, Loc. Prada, Loc. San Martino, Erto, per poi proseguire lungo la Valcellina (verificando la possibilità di percorrere la strada vecchia a strapiombo sul torrente), fino a Montereale Valcellina, Maniago, Vajont e rientro.
Purtroppo non è stato possibile chiudere l’anello per motivi di tempo, ma ci tenevo a postare il resoconto ugualmente. Ne seguità un altro più approfondito appena avrò la possibilità di fare tutto il giro.
Partenza morbida, facce brutte... Il vino della sera prima appesantisce la palpebra. La situazione non è poi così tragica, certo non sufficiente a mancare alla parola data a mio cugino di portarlo a fare un giro memorabile a dorso di mula.
Canonici dieci minuti di ritardo, sennò non sarei io...
Già dopo tre km di strada il primo fastidio: l’interfono dei caschi con le batterie scariche. Beh poco male, partiti da Chiuppano, siamo solo sulla strada di Camisino. Fare un salto a casa a prendere il caricabatterie non è cosa lunga. Tra l’altro si rivela una simpatica scusa per fare una sterratina che da Lugo esce in cima alle Bregonze in località Ca’ Vecia. Peccato non sia neanche un km...
Le lancette corrono, noi meno. Poco di memorabile da raccontare del tratto Chiuppano – Bassano, ma, imboccata la “Destra Brenta”, strada che da Bassano corre parallela alla SS 47 Valsugana fino a Cismon del Grappa, il paesaggio comincia a farsi interessante. Il Brenta è in piena come raramente mi è capitato di vedere. A Valstagna una colonna di gommoni discende il fiume, teoria di punti giallo-rossi nel tumulto delle rapide, uno spettacolo. Tra l’altro la giornata ce la sta mettendo tutta per farsi ben volere: cielo limpido e caldo estivo, nessuna pericolosa nuvola all’orizzonte.
Proseguiamo fino al Cornale su questa stradina che, abbandonata Valstagna, diventa poco più che una pista ciclabile. L’idea è di salire le “Scale di Primolano” evitando il tunnel di Arsiè, ormai venuto a noia. Qua ci tocca il secondo pacco. Arrivati a Primolano troviamo la strada delle scale chiusa al traffico. Interroghiamo un passante che non ci sa dare lumi, quindi ripieghiamo per lo stramaledettissimo tunnel di cui sopra.
Oltrepassiamo Feltre e ci fermiamo a mangiare una pizza in centro a Belluno, anche per ricaricare l’interfono. Viaggiare in compagnia e potersi parlare, commentare il paesaggio eccetera è tutt’altra cosa!
Vabbeh, lo ammetto, ad un certo punto mi sono quasi perso. Ma alla fine riusciamo ad intercettare la SS Allemagna ed arrivare in vista di Longarone. Diamo da bere alla zia Peggy e ci appropinquiamo alla salita.
La prima foto di me e la zia Peggy insieme! Sullo sfondo la valle del Vajont
La strada che porta alla diga è semplicemente infestata di gente che va di fretta: “ciucciamanubri” ci sfrecciano da ogni parte infastiditi dalla mia andatura assolutamente turistica. Perfino un demente in macchina azzarda una manovra da manuale dell’aspirante suicida
Un paio di gallerie e qualche tornante e ci troviamo al cospetto del più mastodontico monumento all’idiozia umana.
Alta 264,6 metri, all’epoca della costruzione (iniziata nel 1957 e terminata nel 1959) era la più alta diga a doppio arco del mondo. Costruita dalla Società Adriatica Di Elettricità, la S.A.D.E. (da cui il titolo...), successivamente ceduta all’ENEL nell’ambito della nazionalizzazione degli enti di produzione elettrica in atto nel periodo immediatamente precedente il disastro.
Il colpo d’occhio è semplicemente mozzafiato. Da dove siamo non riusciamo a vedere il piede della diga. Al di là il paesaggio si fa quasi lunare. Più imponente del manufatto è l’accumulo della frana, che forma una vera e propria montagna dove prima c’era una gola profonda quasi trecento metri.
Alzando la testa è chiaramente visibile l’ampia ferita sul fianco del monte Toc, la cosiddetta “M” di Muller, dal nome del geologo austriaco che aveva individuato la possibile frana. Si sviluppa per un fronte di circa due km e c’è una strada che passa alla sua base.
Proseguiamo alla volta dell’abitato di Casso. Il paese è abbarbicato sul pendio del monte Salta, quasi in corrispondenza della diga. Qui il tempo sembra essersi fermato, c’è pure un’auto d’epoca parcheggiata nella piazzetta del paese, unico posto raggiungibile dai mezzi motorizzati. Casso è stato solamente lambito dall’onda, data la sua posizione elevata, e conserva tutto il facino dell’antico borgo di montagna.
io non posso entrare...
Da Casso proseguiamo in nostro periplo di quel che resta del lago del Vajont. Adesso l’obiettivo è la strada che passa sulle pendici del Toc, sotto il punto da cui si è staccata la frana e che probabilmente riproduce il tracciato della strada che la S.A.D.E. aveva fatto costruire attorno al lago e che passa per le frazioni di San Martino Prada e Pineda, borghi completamente cancellati dalla furia dell’acqua. Transitiamo attraverso il centro storico di Erto, ovvero la parte che si è salvata e successivamente restaurata. Devono aver fatto degli interventi negli ultimi anni, non me la ricordavo messa così bene...
Finalmente arriviamo dall’altra parte della valle. La strada che cavalca il monte Toc si rivela una splendida sorpresa! In parte sterrata, disseminata di gallerie dai soffitti perennemente gocciolanti, si snoda lungo il pendio regalandoci viste incredibili della valle sottostante. Le gallerie sono talmente infiltrate d’acqua che all’interno pare sia in atto un acquazzone, il fondo cosparso di buche e pozzanghere.
La strada prosegue attraversando piccoli grumi di case costruite sicuramente successivamente al disastro, inframezzate da boschi di conifere. La zia Peggy morde allegramente la ghiaia, finalmente si va in giostra! In realtà i tratti sterrati sono pochi e brevi, anche se si fatica a distinguerli dall’asfalto frantumato e smangiato dall’acqua. Arriviamo al punto da cui inizia la fatidica “M”. La spaccatura nella montagna è ancora evidente, così come la cascata di ghiaia che precipita nella valle. Quella notte nel bacino ne son caduti 270 milioni di metri cubi, alla velocità di 30 m/s. Ma la diga ha retto. Pur con una sollecitazione pari a sette volte quella per cui era stata costruita. Bravi tutti. NESSUNO PAGA!
Fa un effetto strano guardare la valle da qui. Ci si rende conto delle dimensioni. Leggendo la storia di carta, non si riesce davvero a concepire l’enormità “fisica” degli elementi in gioco.
Da qui la strada chiude l’anello sfociando sulla statale poco sopra il parcheggio sovrastante la diga. È ormai troppo tardi per proseguire per la Val Cellina. Torniamo verso Longarone e da lì a casa.
PS. portate pazienza per la qualità delle foto, sono fatte col cellulare, dato che mia madre si è portata la macchina fotografica in Egitto...
Da “Sulla pelle viva” di Tina Merlin p. 120
Da questo libro, splendido e terribile, nasce l’idea di un viaggio sui luoghi del disastro del Vajont, luoghi che tra l’altro conosco abbastanza bene, visto che quand’ero all’università ci ho girato un mediometraggio, sempre inerente al disastro.
L’idea iniziale di itinerario passa per Belluno, Longarone, Diga del Vajont, Casso, Loc. Pineda, Loc. Prada, Loc. San Martino, Erto, per poi proseguire lungo la Valcellina (verificando la possibilità di percorrere la strada vecchia a strapiombo sul torrente), fino a Montereale Valcellina, Maniago, Vajont e rientro.
Purtroppo non è stato possibile chiudere l’anello per motivi di tempo, ma ci tenevo a postare il resoconto ugualmente. Ne seguità un altro più approfondito appena avrò la possibilità di fare tutto il giro.
Partenza morbida, facce brutte... Il vino della sera prima appesantisce la palpebra. La situazione non è poi così tragica, certo non sufficiente a mancare alla parola data a mio cugino di portarlo a fare un giro memorabile a dorso di mula.
Canonici dieci minuti di ritardo, sennò non sarei io...
Già dopo tre km di strada il primo fastidio: l’interfono dei caschi con le batterie scariche. Beh poco male, partiti da Chiuppano, siamo solo sulla strada di Camisino. Fare un salto a casa a prendere il caricabatterie non è cosa lunga. Tra l’altro si rivela una simpatica scusa per fare una sterratina che da Lugo esce in cima alle Bregonze in località Ca’ Vecia. Peccato non sia neanche un km...
Le lancette corrono, noi meno. Poco di memorabile da raccontare del tratto Chiuppano – Bassano, ma, imboccata la “Destra Brenta”, strada che da Bassano corre parallela alla SS 47 Valsugana fino a Cismon del Grappa, il paesaggio comincia a farsi interessante. Il Brenta è in piena come raramente mi è capitato di vedere. A Valstagna una colonna di gommoni discende il fiume, teoria di punti giallo-rossi nel tumulto delle rapide, uno spettacolo. Tra l’altro la giornata ce la sta mettendo tutta per farsi ben volere: cielo limpido e caldo estivo, nessuna pericolosa nuvola all’orizzonte.
Proseguiamo fino al Cornale su questa stradina che, abbandonata Valstagna, diventa poco più che una pista ciclabile. L’idea è di salire le “Scale di Primolano” evitando il tunnel di Arsiè, ormai venuto a noia. Qua ci tocca il secondo pacco. Arrivati a Primolano troviamo la strada delle scale chiusa al traffico. Interroghiamo un passante che non ci sa dare lumi, quindi ripieghiamo per lo stramaledettissimo tunnel di cui sopra.
Oltrepassiamo Feltre e ci fermiamo a mangiare una pizza in centro a Belluno, anche per ricaricare l’interfono. Viaggiare in compagnia e potersi parlare, commentare il paesaggio eccetera è tutt’altra cosa!
Vabbeh, lo ammetto, ad un certo punto mi sono quasi perso. Ma alla fine riusciamo ad intercettare la SS Allemagna ed arrivare in vista di Longarone. Diamo da bere alla zia Peggy e ci appropinquiamo alla salita.
La prima foto di me e la zia Peggy insieme! Sullo sfondo la valle del Vajont
La strada che porta alla diga è semplicemente infestata di gente che va di fretta: “ciucciamanubri” ci sfrecciano da ogni parte infastiditi dalla mia andatura assolutamente turistica. Perfino un demente in macchina azzarda una manovra da manuale dell’aspirante suicida
Un paio di gallerie e qualche tornante e ci troviamo al cospetto del più mastodontico monumento all’idiozia umana.
Alta 264,6 metri, all’epoca della costruzione (iniziata nel 1957 e terminata nel 1959) era la più alta diga a doppio arco del mondo. Costruita dalla Società Adriatica Di Elettricità, la S.A.D.E. (da cui il titolo...), successivamente ceduta all’ENEL nell’ambito della nazionalizzazione degli enti di produzione elettrica in atto nel periodo immediatamente precedente il disastro.
Il colpo d’occhio è semplicemente mozzafiato. Da dove siamo non riusciamo a vedere il piede della diga. Al di là il paesaggio si fa quasi lunare. Più imponente del manufatto è l’accumulo della frana, che forma una vera e propria montagna dove prima c’era una gola profonda quasi trecento metri.
Alzando la testa è chiaramente visibile l’ampia ferita sul fianco del monte Toc, la cosiddetta “M” di Muller, dal nome del geologo austriaco che aveva individuato la possibile frana. Si sviluppa per un fronte di circa due km e c’è una strada che passa alla sua base.
Proseguiamo alla volta dell’abitato di Casso. Il paese è abbarbicato sul pendio del monte Salta, quasi in corrispondenza della diga. Qui il tempo sembra essersi fermato, c’è pure un’auto d’epoca parcheggiata nella piazzetta del paese, unico posto raggiungibile dai mezzi motorizzati. Casso è stato solamente lambito dall’onda, data la sua posizione elevata, e conserva tutto il facino dell’antico borgo di montagna.
io non posso entrare...
Da Casso proseguiamo in nostro periplo di quel che resta del lago del Vajont. Adesso l’obiettivo è la strada che passa sulle pendici del Toc, sotto il punto da cui si è staccata la frana e che probabilmente riproduce il tracciato della strada che la S.A.D.E. aveva fatto costruire attorno al lago e che passa per le frazioni di San Martino Prada e Pineda, borghi completamente cancellati dalla furia dell’acqua. Transitiamo attraverso il centro storico di Erto, ovvero la parte che si è salvata e successivamente restaurata. Devono aver fatto degli interventi negli ultimi anni, non me la ricordavo messa così bene...
Finalmente arriviamo dall’altra parte della valle. La strada che cavalca il monte Toc si rivela una splendida sorpresa! In parte sterrata, disseminata di gallerie dai soffitti perennemente gocciolanti, si snoda lungo il pendio regalandoci viste incredibili della valle sottostante. Le gallerie sono talmente infiltrate d’acqua che all’interno pare sia in atto un acquazzone, il fondo cosparso di buche e pozzanghere.
La strada prosegue attraversando piccoli grumi di case costruite sicuramente successivamente al disastro, inframezzate da boschi di conifere. La zia Peggy morde allegramente la ghiaia, finalmente si va in giostra! In realtà i tratti sterrati sono pochi e brevi, anche se si fatica a distinguerli dall’asfalto frantumato e smangiato dall’acqua. Arriviamo al punto da cui inizia la fatidica “M”. La spaccatura nella montagna è ancora evidente, così come la cascata di ghiaia che precipita nella valle. Quella notte nel bacino ne son caduti 270 milioni di metri cubi, alla velocità di 30 m/s. Ma la diga ha retto. Pur con una sollecitazione pari a sette volte quella per cui era stata costruita. Bravi tutti. NESSUNO PAGA!
Fa un effetto strano guardare la valle da qui. Ci si rende conto delle dimensioni. Leggendo la storia di carta, non si riesce davvero a concepire l’enormità “fisica” degli elementi in gioco.
Da qui la strada chiude l’anello sfociando sulla statale poco sopra il parcheggio sovrastante la diga. È ormai troppo tardi per proseguire per la Val Cellina. Torniamo verso Longarone e da lì a casa.
PS. portate pazienza per la qualità delle foto, sono fatte col cellulare, dato che mia madre si è portata la macchina fotografica in Egitto...
I vostri etilometri non spegneranno la nostra sete!!
Re: Chevauchée de S.A.D.E.
e se non e' cosi', come da consolidata tradizione italica, paga PantaloneSVDiesel ha scritto:Bravi tutti. NESSUNO PAGA!
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Quartu S.Elena, CA - Pianeta Terra
Honda CRF 230 F Easy Trail '04
I buoni vanno in paradiso, i cattivi vanno fuoristrada
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Chevauchée de S.A.D.E.
Complimenti Alessandro, un report veramente interessante. Ho apprezzato molto la storia, che conoscevo appena, e i luoghi (anche se le foto col cell non sono il massimo).
Aspettiamo di poter leggere anche... la chiusura del cerchio (si, insomma, speriamo che riuscirai presto a completare il giro che ti eri proposto di fare).
Aspettiamo di poter leggere anche... la chiusura del cerchio (si, insomma, speriamo che riuscirai presto a completare il giro che ti eri proposto di fare).
A presto e...
Buon motortrip,
alp
Buon motortrip,
alp
Chevauchée de S.A.D.E.
Mamma che brutto!La prima foto di me e la zia Peggy insieme!
Sto scherzando!
Che dire, complimentoni per il giro e il racconto, sempre interessante la tragedia del vajont.
Nella zona sono ambientati moltissimi, se non tutti, i racconti di Mauro Corona (dovrebbe essere di Erto), grande scrittore.
è un peccato che tu non sia riuscito a finire il giro: se scendevi in Val cellina potevi fare 2 valli laterali sterrate ... è un giro che devo ancora fare.
Ciao
Alves
- max37
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Chevauchée de S.A.D.E.
ci sono stato anch'io un paio di volte ma in moto mai.
peccato per le foto
peccato per le foto
Max37
http://www.tecnicamotori.it/
La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.
Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
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Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.
- SVDiesel
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Chevauchée de S.A.D.E.
per carlo
cmq hai perfettamente ragione! sembra essere una condanna italiana, più sporca la fai, meno la paghi.
un detto delle mie parti recita "chi roba poco va in gheba, chi roba tanto in comune..." (te pòi majinarte chi che xe in parlamento... aggiungo io)
trad. chi ruba poco va in galera, chi ruba tanto in comune, puoi immaginare chi sta in parlamento...
per SuperHank
per max37
secondo me si potrebbe organizzarlo un bel giretto da quelle parti!!
Sempre se portate pazienza...
in questo caso il danno l'ha fatto Pantalone (maschera veneziana come la SADE).e se non e' cosi', come da consolidata tradizione italica, paga Pantalone
cmq hai perfettamente ragione! sembra essere una condanna italiana, più sporca la fai, meno la paghi.
un detto delle mie parti recita "chi roba poco va in gheba, chi roba tanto in comune..." (te pòi majinarte chi che xe in parlamento... aggiungo io)
trad. chi ruba poco va in galera, chi ruba tanto in comune, puoi immaginare chi sta in parlamento...
per SuperHank
non posso che darti ragione! però c'è lei che è tanto bella e compensaMamma che brutto! Shocked
sì, in effetti lui abita ad Erto ed ha il suo laboratorio nel centro nuovo. mi è capitato di incrociarlo anni fa quando giravo un filmato da quelle parti.Nella zona sono ambientati moltissimi, se non tutti, i racconti di Mauro Corona (dovrebbe essere di Erto), grande scrittore.
beh la domanda sorge spontanea: quando si va?è un peccato che tu non sia riuscito a finire il giro: se scendevi in Val cellina potevi fare 2 valli laterali sterrate ... è un giro che devo ancora fare.
per max37
è una zona che sembra fatta apposta per girarla in moto!!ci sono stato anch'io un paio di volte ma in moto mai
secondo me si potrebbe organizzarlo un bel giretto da quelle parti!!
Sempre se portate pazienza...
I vostri etilometri non spegneranno la nostra sete!!
Chevauchée de S.A.D.E.
Bravi bravi! Gran giro, interessante poi la soria di cui sinceramente non sapevo quasi nulla...
chi va piano,
va sano e...
ammira il paesaggio.
(E magari vede le fate nei boschi!!)
va sano e...
ammira il paesaggio.
(E magari vede le fate nei boschi!!)
Chevauchée de S.A.D.E.
Bel giro, SVDiesel, e bel racconto: mostra un certo talento da narratore!
Anche le foto non sono poi cosi male. Anzi, quelle di Casso mi piacciono molto, specialmente quella del vecchio imbronciato: come con le moto più che il mezzo conta il manico...!
Il Vajont è un ricordo vago e cupo nella mia infanzia, che non ha mai smesso di emanare un fascino sinistro. Ho due libri di Mauro Corona: mio figlio per qualche motivo ne è affascinato e ogni tanto mi chiede di leggergli un racconto. Una buona alternativa alla televisione, no?
Anche le foto non sono poi cosi male. Anzi, quelle di Casso mi piacciono molto, specialmente quella del vecchio imbronciato: come con le moto più che il mezzo conta il manico...!
Il Vajont è un ricordo vago e cupo nella mia infanzia, che non ha mai smesso di emanare un fascino sinistro. Ho due libri di Mauro Corona: mio figlio per qualche motivo ne è affascinato e ogni tanto mi chiede di leggergli un racconto. Una buona alternativa alla televisione, no?
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Chevauchée de S.A.D.E.
decisamente meglio della tv (anche se perderei il lavoro se tutti la pensassero così... )
Col bimbo continua così! specialmente con la telemonnezza che ci propinano tutto il giorno!!
Ti ringrazio molto per i complimenti!
Sembra un controsenso, ma appena rimetto in strada la moto, ricomincio a scrivere! Anche perchè ho scoperto che mi piace QUASI come viaggiare!!
Col bimbo continua così! specialmente con la telemonnezza che ci propinano tutto il giorno!!
Ti ringrazio molto per i complimenti!
Sembra un controsenso, ma appena rimetto in strada la moto, ricomincio a scrivere! Anche perchè ho scoperto che mi piace QUASI come viaggiare!!
I vostri etilometri non spegneranno la nostra sete!!
Chevauchée de S.A.D.E.
Ritorno su questo bel resoconto perche' sono riuscito finalmente a vedere il monologo di Marco Paolini sul Vajont. Ecco in 2 parti, su Google Video lo spettacolo (o per dirla con l'autore, l'orazione civile, la diretta sulla memoria) allestito qualche anno fa sui luoghi del disastro e trasmesso dalla RAI:
Prima parte: http://video.google.com/videoplay?docid ... 0960378650
Seconda parte: http://video.google.com/videoplay?docid ... 0239977598
Probabilmente la maggior parte di voi lo conosce gia', ma a chi non lo avesse ancora visto consiglio caldamente di farlo.
A parte l'aspetto teatrale, ed il notevole talento da cantastorie di Paolini, ne esce un ritratto dell'Italia eterno e purtroppo attualissimo, con pochi splendori (l'ingegno tecnico e la capacita' realizzativa) e tante miserie (la fame di energia, gli interessi privati che travolgono quelli pubblici gia' dal ventennio, l'egoismo miope, il cinismo, il pressappochismo, il fatalismo interessato, lo scaricabarile, l'omerta', il depistaggio, i poteri occulti...).
Si capisce bene come nessuno abbia preso misure precauzionali preventive dopo le prime scosse forti a L'Aquila, prima della catastrofe: siamo lo stesso paese dove 46 anni prima si continuavano a rassicurare le popolazioni mentre si costruiva la galleria di by-pass che avrebbe dovuto mantenere la funzionalita' dell'invaso dopo la frana annunciata, e non si e' avvertito nessuno neanche quando la frana si e' messa, dapprima lentamente ma irreversibilmente, in moto.
C'e' di che meditare...
Prima parte: http://video.google.com/videoplay?docid ... 0960378650
Seconda parte: http://video.google.com/videoplay?docid ... 0239977598
Probabilmente la maggior parte di voi lo conosce gia', ma a chi non lo avesse ancora visto consiglio caldamente di farlo.
A parte l'aspetto teatrale, ed il notevole talento da cantastorie di Paolini, ne esce un ritratto dell'Italia eterno e purtroppo attualissimo, con pochi splendori (l'ingegno tecnico e la capacita' realizzativa) e tante miserie (la fame di energia, gli interessi privati che travolgono quelli pubblici gia' dal ventennio, l'egoismo miope, il cinismo, il pressappochismo, il fatalismo interessato, lo scaricabarile, l'omerta', il depistaggio, i poteri occulti...).
Si capisce bene come nessuno abbia preso misure precauzionali preventive dopo le prime scosse forti a L'Aquila, prima della catastrofe: siamo lo stesso paese dove 46 anni prima si continuavano a rassicurare le popolazioni mentre si costruiva la galleria di by-pass che avrebbe dovuto mantenere la funzionalita' dell'invaso dopo la frana annunciata, e non si e' avvertito nessuno neanche quando la frana si e' messa, dapprima lentamente ma irreversibilmente, in moto.
C'e' di che meditare...