VALLARSA
Ci sono giorni un po' così, che non c'ho voglia nemmeno di andare in moto: pare impossibile, ma ci sono! In realtà avevo in progetto un giro super, che mi avrebbe impegnato fisicamente molto, per molte ore, per cui la sveglia era programmata alle 5!
Ma ero troppo stanco dal recente “Slovenija Tour One Day” e, quando la sveglia ha gracidato il suo lugubre rintocco, l'ho cacciata sotto al letto, ed ho dormito fino alle 7 ed oltre; un lusso, per certi aspetti.
Ma che fare? Non più certo il maxi giro programmato; una endurata con l'XR? Troppa fatica... una trialata col Fantic? Troppo scomodo .. e allora monto in sella al 750, già pronto, e punto a caso verso le montagne, qualcosa combinerò.
Non ho nemmeno tanta voglia di fuoristrada, indi per cui risalgo la mia vallata, la Valleogra, per la ex SS.46, valico al Pian delle Fugazze il confine trentino e scendo in Vallarsa, verso Rovereto, portandomi in sinistra valle.

Alta Vallarsa in un mattino di mezza estate.
Continuo a pensare senza decidermi che fare: puntare verso i laghi? O verso il Trentino? Meglio tornare nel vicentino passando per gli Altipiani? Nel frattempo arrivo sulla antica linea difensiva dell'Impero, dove, su 2 dossi gemelli ma separati dalla profonda incisione della valle, sorgevano le fortezze Austroungariche di Valmorbia (o Pozzacchio) e di Matassone.
Del forte Valmorbia avevo già parlato qui:
http://www.xr-italia.com/forumxr/index. ... ic=12586.0

Le nere orbite del Werk Valmorbia da 100 anni sorvegliano la valle.
Gli italiani lo chiamavano Pozzacchio dal nome del paese alle spalle, gli austriaci Valmorbia dal nome del paese sottostante; sfruttando le caratteristiche del luogo i genieri austro-ungarici iniziarono ad edificare la fortezza, annegata all’interno del torrione roccioso, ed in più rinforzata da barriere in cemento armato. Il forte avrebbe dovuto essere armato con 2 cupole in acciaio girevoli, dotate di obici da 100 mm, ma non riuscirono ad ultimarlo in tempo; nel 1915 gli italiani lo conquistarono, ma nel maggio 1916, durante la famosa Strafe-Expedition, il forte fu rioccupato dagli imperiali e lo tennero fino alla fine del conflitto, mentre i fanti italiani si macellavano cercando di espugnarlo.
Ma del suo gemello sull'altro lato della valle non avevo mai visitato il sito; sapevo che non era mai stato completato, i lavori appena abbozzati interrotto dallo scoppio della guerra, e ciò che rimaneva era stato distrutto e dimenticato nel corso dei decenni. Ma recentemente il sito è stato pulito e recuperato, e allora vado a curiosare.
Incombente alle sue spalle, il cocuzzolo erboso domina il piccolo abitato di Matassone; un sentiero segnalato da tabelle e recinzioni sale al colle; subito si fanno incontro resti di trincea, ricoveri sotterranei scavati nella roccia e rinforzarti di cemento, ma sono recintati, non si può accedere, non si può curiosare, e il cartello lo ribadisce: “SEGUIRE IL PERCORSO”, “NON CALPESTARE I PRATI” come detesto tutto ciò, seguire il tracciato, ascoltare la guida, pagare il biglietto, rispettare l'orario. Complimenti e grazie al meticoloso recupero dell'opera, ma alla perdita della piccola emozione della scoperta, nessuno ci pensa?

Sempre così: regole, norme, divieti … e la poesia?
Il mitico William Least Heat-Moon, scrittore americano “on the road”, autore del libro “Strade Blu, così fa parlare una guardia forestale a proposito di un parco ricavato in una vecchia città abbandonata, Ninety Six, e il suo forte dei pionieri, lo Star Fort:
Che ne è stato delle capanne di legno?
Le abbiamo spostate all’interno per farne un centro destinato ai turisti che si trattengono in visita per qualche tempo. La vecchia Ninety Six è il più recente acquisto del Servizio Forestale…
Un anno e mezzo fa la Contea ha ceduto questa zona al Servizio Forestale…da allora il governo ha fatto costruire un parcheggio, ha messo la ghiaia sui sentieri, e ha dato il via ad alcune ricerche geologiche sullo Star Fort …
La gente crede ancora che sia terra della contea: vengono qui a cacciare, a bere, a spassarsela … Adesso è vietato, naturalmente.
Per ora i visitatori vengono quasi sempre per qualche motivo: non sono semplici turisti. Ma quando il governo avrà attrezzato la zona, cambierà musica. Le comitive che girano i parchi nazionali a godersi il panorama arriveranno a frotte …
Il Servizio Forestale ha in progetto un centro turistico, alcune strade e un complesso di bar-ristorante. Le copie dei cannoni sono già nel forte. Dipendesse da me, lascerei tutto come 200 anni fa. Al massimo ripulirei i sentieri …
Questo posto mi piace troppo per volerlo cambiare. Eppure un giorno ci sarà la strada d’asfalto, e le signore con i tacchi a spillo e i loro mariti obesi potranno salire con poco sforzo quei pochi gradini che portano allo Star Fort per ammirare cose a loro indifferenti, scattarsi una foto e scappare di corsa. Senza una fitta vegetazione e l’isolamento, il mistero è perduto.
Ninety Six dovrà essere unificata agli altri posti: non si potrà più uscire dai percorsi tracciati.
E con ciò non ho più nulla da dire.

Trincee italiane.

Relitti della copertura in calcestruzzo.

Postazione d'artiglieria.

Ecco, nella parte sotterranea non si può andare!

Trincee austro-ungariche.

Postazione d'artiglieria.
Ma a Matassone non c'è solo la Storia con la S MAIUSCOLA, aulica e sapiente; ci sono anche le storielle da bar. Ancora ai tempi del liceo, sentivo parlare di un locale favoloso (da favola, ossia novella di fantasia con un fondo di verità), dove il maschietto trovava di che dar sfogo ai suoi ormoni in eccesso; a dire il vero non ho mai conosciuto nessuno che ci sia stato ad abbia ammesso di esserci stato, e nessuno sapeva descrivere con precisione che cosa vi avvenisse dentro: balli, spettacoli, massaggi particolari... insomma era night, discoteca o bordello?
La sua ubicazione, 45 km di montagne aspre, con strade tortuose e strette, assolutamente buie di notte, lo rendeva ancora più esotico e misterioso, non sarebbe stata la stessa cosa se si fosse trovato in un qualsiasi capannone di una qualsiasi zona industriale di periferia!
Aveva anche un nome, non esplicito come il “Porcky's” della omonima serie di film americana, ma comunque un evocativo “New Life”!!! Ma per i veneti l'inglese, e a volte anche l'italiano, è troppa cosa, per cui veniva chiamato col nome del paese, per la gioia degli abitanti della contrada che si vedevano assimilati ad un bordello; ma siccome i veneti perdono la consonante finale, il locale era per tutti Matasson. MATASSON! Quante sere, nei fumi dell'alcol, il grezzo della compagnia diceva “n'demo su a Matasson! Mai andati.
Ed ora, decenni dopo, visitando un forte della prima guerra mondiale, scopro che il night esisteva veramente, e vi si accedeva proprio dal sentiero che va al forte!
Guerra e puttane, binomio indissolubile.

Il mitico “Matasson”!
ASSALTO AL TREMALZO
Suggestionato da Matassone ( il forte, non il pub), pondero la scelta di girare verso gli Altipiani e andarmi a visitare altre fortezze. Ma le ho viste tante volte, proviamo qualcosa di meno scontato.
Scendo al Lago di Garda, sempre suggestivo arrivare a Torbole e vedere la stretta lingua d'acqua serrata tra le montagne; assai meno piacevole il traffico che affligge Riva e Torbole, meglio puntare sul più tranquillo lago di Ledro.

Garda Lake.

Studio della rotta.
Sopra di me incombe il passo Tremalzo, mitico percorso dell’alto Garda, non posso resistere alla sua suggestione. Ma, tanto per cambiare, il percorso è vietato, ma di un divieto tanto ingiusto quanto ipocrita: le rotabili in quota sono liberamente accessibili alle auto, ma le moto possono solo se di proprietà dei residenti o di turisti in soggiorno almeno 2 notti nel comune di Tremosine. Altro che protezione dell'ambiente, qui si tratta solo di lucrare denaro sulla passione dei motociclisti.
Ma se ci fosse un biglietto da pagare sarei il primo a staccarlo, 10, 15 euro li merita una salita così, ma perché devo dormire 2 notti fuori casa quando il Tremalzo è a 2 ore di strada da casa mia?
Indi per cui me ne frego, e assalto il Tremalzo dal versante trentino, sperando di passare inosservato.

Verso il Tremalzo.

Il nemico ci osserva ...
Non incontro nessuno, la salita è solitaria che di più non si può; da una curva scorgo, mimetizzata fra la vegetazione, una altana per l'osservazione degli animali: grazie allo zoom vedo che è vuota, è andata!
Il lago ogni tanto ricompare fra le pieghe della montagna, sempre più piccolo, laggiù in fondo.
Quando raggiungo il rifugio al passo Nota c'è movimento, parecchie auto di turisti, ma la maggior parte si fermano nei dintorni del rifugio, magari solo per mangiare; nel resto della salita, dura e difficilmente praticabile da auto normali, incontrerò solo un paio di ciclisti M-B solitari.

è bello ogni tanto ritornare a vedere il lago.
La velocità che tengo è ridotta, la rotabile corre continuamente a fianco di vertiginosi precipizi, e il fondo, a tratti di ghiaino sottile, a tratti di brecciame grossolano, non assicura nessuna aderenza in caso di guida veloce. E poi è troppo bella questa strada, non la ricordavo così bella, nel suo continuo dipanarsi sul crinale della montagna, attraverso gallerie, curve e tornanti, non ci saranno 50 metri di rettilineo in fila in tutta la salita; e poi il paesaggio, guglie di roccia affioranti nude e scabre dalla bassa vegetazione d'alta quota, pini mughi e cespugli, come preistorici Menhir celtici, od esotici Moai dell'Isola di Pasqua. E, ciliegina sulla torta, le ultime lingue di neve che non si rassegnano a morire al caldo estivo, ritmano la salita alle quote più elevate.

La strada.

Pinnacoli di roccia.

Una salita sul filo delle rocce.

Lingue di neve a giugno, non male.

Splendida teoria di tornanti.

Fondo smosso.
La galleria della Bocca di Val Marza perfora l'ultimo crinale roccioso e mi introduce nell'acrocoro del passo; scendo velocemente al rifugio, dove birra e panino mi ritemprano delle fatiche del viaggiare.

La porta della luce.

La galleria di Val Marza.

Il Tremalzo.
CIMA PRIEMP E PASSO D'ERE
Scendo per la valle di S. Michele, anch'essa con l'assurdo divieto.
È più racchiusa, più mite, meno spettacolare della salita, ci sono anche dei pascoli con malghe, ma non è meno bella. Il fondo è migliore, ma non mancano alcuni strappi in cui, ricordo, i nostri 125 salivano bollendo l'acqua.

Malghe in quota.

Cascata.

In marcia!

Tornante a cavatappi.

Fatta!
Dal paese di Tignale, dove mi fermo a fare rifornimento, salgo verso cima Priemp; ci ero già stato, ma imbocco la strada sbagliata e mi ritrovo a salire su un sentiero mulattiera largo meno di 2 metri, in mezzo alla pineta e a parecchi camminatori incazzati! Quando mi si para davanti un gradone di un metro capisco che non avevo fatto questa strada nel passato, ma che sono finito in qualche sentiero del Cai con l'Elefant.
Giro le ruote, torno in paese, trovo la strada giusta, e raggiungo il rifugio Cima Priemp, dove speravo di farmi un caffè, ma trattasi di ricovero sempre aperto privo di personale, niente di commestibile.

E di nuovo sul lago.

Rifugio cima Priemp.

Passo Ca d'Ere.

Alto Garda.
Dal rifugio inizia lo sterrato fino al passo D'Ere, caratterizzato da numerose gobbe simili a whoops, che lo rendono molto divertente da percorrere; il passo in se non è nulla di speciale, solo un incrocio di sterrate, oltre il quale si scende verso il paesino di Costa, in montagne disabitate: non pare vero di essere a pochi km dall'affollato litorale lacustre.
Oramai è ora di pensare al ritorno, e per accelerare la cosa prendo il traghetto per Torri del Benaco: anche se è un banale attraversamento del Lago di Garda ha sempre il suo fascino caricare la moto nelle viscere della nave, sedersi sul ponte ad osservare la riva che si avvicina, con le sue nuove strade da percorrere in moto.

Si torna a casa.

Sponda veneta.

Sponda bresciana.
KAMERA KAPUTT
Dalle rive del Garda attraverso velocemente le colline moreniche sulla destra Adige e risalgo quest'ultima fino a Peri, da dove salgo nell'altipiano della Lessinia, con l'idea di percorrerne il bordo settentrionale in direzione est, verso il vicentino.
È bellissimo calcare i facili sterrati di questo altipiano mentre il sole va calando, e i caldi toni di un pomeriggio estivo accendono i colori delle montagne, il verdi dei pascoli, il grigiore del calcare,
il biancheggiare della neve degli ultimi nevai in Carega.
Ho quasi raggiunto la località di San Giorgio quando avverto un botto e la moto inizia a serpeggiare con mia grande preoccupazione: mi fermo e la risposta è lampante, ho forato la ruota posteriore! Ma che sfiga! Non ho il fast, che comunque 9 volte su 10 quando l'ho usato o visto usare non ha mai funzionato; sono dotato invece di tutto l'occorrente per la riparazione: leve, camere d'aria, perfino un piccolo compressore portatile da attaccare alla presa di corrente auto costruita che ho installato sul Cagiva. Mi porto quindi a San Giorgio, non tanto per cercare aiuto, quanto per lavorare in una zona raggiungibile dalla strada asfaltata e non in mezzo ai pascoli.
San Giorgio, per chi non lo conosce, non è un paese, ma una stazione sciistica fatta di orridi condomini e casette a schiera, con galleria commerciale atta ad ospitare negozi e bar ristoranti; è un complesso edilizio completamente avulso dal contesto naturale circostante, composto di praterie d'alta quota e radi edifici in pietra, stalle, malghe, rifugi. Lo trovo orrendo ed in più è trasandato, rovinato, maltenuto, quasi completamente chiuso, sia gli appartamenti, sia gli esercizi commerciali, e si che siamo a giugno.
Ma è ovvio; chi è che ha voglia di venire in questo nulla a passare le serate? I paesi più vicini dove c'è un minimo di vita sono a decina di km; e il complesso sciistico è piccolo non regge il confronto con i maxi-caroselli delle Dolomiti o del Trentino Alto Adige: se dovessi proprio comprare casa per sciare lo farei dove c'è il meglio, tanto uno di pianura come me, per sciare nelle Prealpi, lo può sempre fare in giornata.

In Lessinia.

Stratificazioni carsiche.
Ma torniamo al Cagiva a terra.
Il primo problema è smontare la ruota con il cavalletto laterale: mi serve qualcosa su cui appoggiare la moto. Mi guardo in giro e vedo dei blocchi rettangolari di cemento a sostegno di palo alzabandiera; peseranno 25 kg l'uno, ma con un po' di fatica riesco a metterne 2 sotto alla moto e farla salire sopra, a rischio ernia.
In un attimo tolgo la ruota e qui iniziano i guai; dovete sapere che sul 750 ho montato i ferma-copertoni, accessorio che si usa sulle moto da enduro che viaggiano con i pneumatici a bassa pressione, da 1 atm in giù, con lo scopo di non far girare la gomma sul cerchio e strappare la valvola della camera d'aria. Ma su una bicilindrica non posso scendere a simili pressioni, bucherei subito; avevo messo lo stesso il ferma-copertone perchè, speravo, in caso di foratura, che mi aiutasse ad avanzare a gomma sgonfia, impedendo lo stallonamento del pneumatico, cosa che era già successa.
Il mio palliativo non aveva avuto l'esito sperato: dato il peso della moto, con la gomma a terra è impossibile marciare. Ma i ferma copertoni non li avevo ancora tolti.
Ebbene, quando arriva il momento di toglierlo, non ho la chiave da 13 per farlo! Nel preparare il marsupio per le uscite fra le varie moto che uso, devo averla dimenticata!!!!!!
Quel maledetto dado è serrato durissimo, con la pinza non riesco a girarlo di un mm; allora provo a stallonare il pneumatico senza togliere il ferma-copertone; è una fatica massacrante, la gomma è durissima, punto il cerchio su di un palo, e alla fine ci riesco, ed estraggo la camera d'aria.

Sfiga!

Hai voglia ad usare il Fast!
Nel frattempo si ferma un BMWista su GS 1200 gentilmente sta con me per aiutarmi ma non ha la chiave da 13 nella dotazione della sua moto. Inserisco la nuova camera d'aria, ma ritallonare la gomma si rivela impossibile, arrivo a piegare a banana la leva al cromo vanadio, mai successo!!! Il mio gommista di fiducia mi spiegherà il perchè: sull'Elefant ho provato qausi tutte le tassellate per maxi enduro, Pirelli MT21, Michelin T63, Metzeler Karoo, per arrivare alle Continental TKC80, le migliori in termini di resa chilometrica e utilizzo on-off (e le più costose). Ma per ottenere questo risultato sono quelle con la carcassa più dura, ed anche al gommista è capitato di piegare le leve!
Intanto che mi ammazzo sulle leve, il BMWista va in cerca di aiuto e trova l'unico bar aperto di San Giorgio; il gestore arriva con la chiave da 13, ciò mi da una mano a ritallonare la gomma, ma l'ultimo scampolo di labbro del pneumatico non vuole saperne di entrare; da vedere, il BMWista che abbraccia la ruota per tenerla ferma, io che mi punto con le gambe sul cerchio e tiro le leve allo spasimo, il barista che fa il tifo; il sole sta calando, mi vedo già dormire all'addiaccio nella deserta San Giorgio. Finalmente quel maledetto filo d'acciaio entra nel suo canale, è fatta! Inizio il gonfiaggio con il mio mini compressore, ci vorrà una vita, e poi ho il terrore, in tutto quel tirare, di aver pizzicato la gomma; per fortuna il barista ha le chiavi di una specie di magazzino della scuola sci locale, e in mezzo trova un compressore bello grosso; lo trasciniamo fino alla moto, e in men che non si dica la gomma si gonfia e tiene!
Sono le 21.30 ormai, vorrei offrire una birra ai miei soccorritori, ma il gestore ha fretta di andarsene, mentre mi aiutava la moglie ha chiuso il locale, e se ne vanno, ora San Giorgio è proprio vuota.
Io e BMW ce ne andiamo, e l'amico mi scorta fino a Velo Veronese, dove le nostre strade si dividono. Mi attendono 4 valli da attraversare in senso trasversale prima di arrivare a casa, in mezzo a montagne deserte e nere come l'inchiostro: mentre le attraverso continuo a dirmi che se mi succede qualcos'altro qui non mi trova nessuno!

Di nuovo in strada, verso casa, con una BMW come apripista!
E sapete qual'è la prima cosa che ho fatto il giorno dopo?
Ordinare a Ricky Cross un cavalletto centrale per la mia moto!
Ciao
Alves