L’idea che mi ha spinto inesorabilmente a farlo, è stata quella di portare l’Alp 250 da Ulissi, il concessionario Beta della mia zona, per cambiare i raschiaolio della forcella ed approfittare per far tarare il mono per il mio peso e cambiare l’olio motore.
Siccome non volevo correre il rischio di fare brutti incontri con le forze dell’ordine, ho interpretato sulla cartina un percorso alternativo, che mi avrebbe portato a San Severino Marche, senza mai toccare la via principale.
Mi sono bardato di tutto punto, così avrei anche “sentito” l’effetto sul mio corpo di tutte le protezioni, ho messo nello zainetto una capiente borsa di tela che, una volta giunto a destinazione, mi sarebbe servita per stivare tutti gli accessori, così da permettermi di indossare un cambio leggerissimo, per poter così tornare alla normalità ed essere in grado di prendere i trasporti pubblici che mi avrebbero ricondotto a Polverina, vestito da comune mortale.
La messa in moto è avvenuta al secondo colpo, mentre il rilascio della frizione è avvenuto dopo ben quattro tentativi, finiti sempre in un piccolo balzo, dal momento che era da tre settimane che non accendevo la moto ed i dischi della frizione evidentemente si erano incollati più del solito.
Poi in terza giù per il viale di casa e via sull’asfalto fino al bivio che mi avrebbe condotto all’inizio dello sterrato.
Ovviamente, non conoscendo il percorso, ho avuto diversi rallentamenti, dovuti all’esame della cartina in presenza di bivi ma, questo primo tratto di asfalto, su per la montagna, mi è sicuramente servito a riprendere confidenza col mezzo e, alla fine, sono riuscito a raggiungere il primo obbiettivo.
Mi trovavo di fronte ad una salitona che si inerpicava sulla vetta del Monte d’Aria, sui cui 956 metri svettavano enormi antenne ripetitrici.
Tutto intorno spazi infiniti, con colline morbide e gialle, in un’atmosfera purissima e totalmente priva di presenze umane.
Con mia grande sorpresa, visto che erano millenni che non guidavo una moto fuoristrada, sono arrivato sulla vetta senza problemi, in piedi sulle pedane, per scoprire purtroppo che lì finiva la strada!
Sono allora tornato indietro, fino al primo bivio, da cui partiva un sentiero segnalato da una freccia del CAI, che scendeva chissà dove.
Si trattava di una mulattiera sassosa, piuttosto impegnativa, che mi ha visto alla prova di scelta di marcia, freno, frizione, per negoziare l’ardua discesa e che, grazie alla prima ed unica scivolata, dove sorprendentemente sono riuscito a stare in piedi, con la moto per terra tra le gambe, mi ha insegnato ad evitare tassativamente di usare la prima (per quello la moto si era spenta, provocando la caduta!) e cercare invece di non intimorirsi o, peggio, di lasciarsi prendere dalla paura, situazioni entrambe foriere di potenziali errori!
Mi sono accorto che la pista aggirava la montagna e, teoricamente, si dirigeva verso dove supponevo si trovasse l’agognata destinazione, ma non ne ero per niente sicuro.
Per di più, senza sapere quanti chilometri avevo fatto e quanti ancora dovevo percorrere, la possibilità di finire la benzina, nel mezzo del nulla, si stava insinuando, con un brivido, proprio dentro lo stomaco.
Dopo alcuni corti tratti pianeggianti, bagnati e con un po’ di fango, ho visto in lontananza un gregge di pecore.
Dove ci sono pecore, solitamente c’è un pastore e magari anche un cane che odia le moto ed infatti il pastore c’era, fortunatamente senza cane.
Devo dire che si è sorpreso più lui nel vedermi e, quando gli ho chiesto se mi trovavo nella giusta direzione, mi ha risposto in una lingua incomprensibile dell’Est, indicandomi con la mano proprio la rotta che stavo seguendo ma, qualcosa mi ha fatto pensare che, sicuramente, non sapeva nemmeno lui dov’era.
Ho così continuato imperterrito, un po’ a naso, sempre tra le pietre, con molta discesa e qualche bestemmia, ma sono giunto finalmente nei pressi del campo da Motocross di San Severino, da dove ho raggiunto facilmente l’officina.
Ovviamente mi sono stancato molto, anche perchè con allenamento zero ed anni di inattività moto alpinistica, forse mi stavo chiedendo troppo.
Ma, felice di aver raggiunto la meta, mentre mi cambiavo e bevevo tutta l’acqua che mi ero portato, ho sentito che, in fondo, non mi ero stancato nemmeno tanto.
O era l’adrenalina del “trionfo”?
Ho riprovato di colpo le stesse, meravigliose sensazioni che avevo provato 35 anni fa quando, dopo inenarrabili fatiche, raggiungevamo la polenta, le salsicce ed il vino che ci attendevano in quel o quell’altro rifugio, nel mezzo di un nulla straordinario ed impensabile, dove il calore del camino trasformava ogni cosa in trionfo.
Ho riscoperto l’essenza di questa passione, da troppo tempo assopita: è quell’essere da soli, alla conquista di luoghi meravigliosi, tra spazi di grande respiro, dove la totale concentrazione sul mezzo e sul come superare le varie difficoltà del percorso, non ti permette assolutamente di pensare a nient’altro.
Gli avvocati, i medici, le tribolazioni terrene, la politica, i disastri, la fame nel mondo, svaniscono nel nulla: resti solo tu, la tuo moto e la natura che ti accoglie e, come per magia, ritrovi il tuo essere, quell’essere di cui ti eri completamente scordato.
Si tratta di qualcosa di incredibilmente terapeutico che, sia solo per poche ore, ti allontana e ti astrae magicamente da tutta la negatività con cui la società ci obbliga quotidianamente a convivere: una specie di droga benefica che ti rende immediatamente dipendente.
Non vedo l’ora di uscire di nuovo.
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