
Per chi non fosse calabrese, nella pronuncia del titolo bisogna aspirare la “h” con un suono che è un mix fra l’inglese “she” e “he”, un misto quindi fra ella ed egli nella lingua britannica. La Fiumara del Butramo è uno dei corsi d’acqua più importanti della costa jonica. Sfocia a Bovalino e attraversa la zona del Santuario di Polsi. E’ stata questa la destinazione del nostro giro: 180 km fra asfalto, carrarecce in cemento, sterrate carreggiabili, tràzzere e risalite libere lungo fiumare. Non sono mancati i tratti “hard” che, a parere di tutti, sono stati i più interessanti.
Nella foto ad apertura del nostro report, piccoli piccoli, si intravedono gli indiscussi protagonisti di questa meravigliosa avventura in off-road: Sono i grandi Cavalieri di San Giorgio. Mi hanno seguito nell’itinerario che ho tracciato per loro per questo tour fuori strada che ci ha visti in sella sulle nostre moto per undici ore di fila dalle 8:30 di mattina alle 19:30 di sera. Come, alla fine, diceva Tino: sotto il sedere c’ho la scritta KTM!
Invito perciò i cari amici che hanno partecipato con me a questa magnifica escursione in moto off-road a scrivere un resoconto della giornata e un commento alle foto (ragazzi: aggiungete anche le vostre, mi raccomando!)
Visto che i miei "amici di cordata" non si sono fatti vivi, eccomi, ancora una volta, a raccontare delle nostre motocavalcate. Mi sa che il ruolo del menestrello cantastorie me lo devo attribuire anch'io (senza nulla togliere al Grande Maestro Alves)
Aggiungi un posto a tavola!
In un classico musical si cantava “aggiungi un posto a tavola… che c’è un’amico in più!”: questa è la volta di Pino e del suo KTM 450 nuovo fiammante. “Mi manda Picone” era una frase tipica di qualche anno fa, nel suo caso: “mi manda Antonello” (il nostro “acasile”). La sua presentazione, al di là dell’ottima referenza, è tutto un programma: “La mia mamma ha preparato il caffè per tutti in un termos caldo. Lo berremo su in montagna, quando ci fermeremo per una sosta”. Fantastico, la pausa-caffè con termos appresso non l’avevamo mai provata e, devo dire, è da ripetere!
Ma andiamo per ordine: prima di arrivare a Nord-Est del Vallone Pagano abbiamo fatto un incontro interessante, di quelli che ricorderai con simpatia durante le fredde e piovose domeniche invernali in cui non puoi uscire in moto perché non hai la muta da 5mm (Tino, come sub professionista, è escluso!).
Al solito, agli appuntamenti si arriva in ritardo e si parte con calma: ci mancherebbe pure lo stress-orario proprio nel giorno in cui vuoi staccare da lavoro e famiglia!!! Abbiamo un preciso itinerario, proprio in occasione di una settimana più calda su a 1800m non dovremmo incontrare la neve (considerato che siamo in primavera inoltrata) e il passaggio per la carreggiabile che vogliamo percorrere sarà praticabile.
L’incontro col pastorendurista (foto 1)

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Partiamo dal lungomare e ci infiliamo lungo una fiumara che sale dolcemente in quota. Fra i canneti che si susseguono costringendoci a una continua gimcana tutt’a un tratto, girata una curva, troviamo a bloccarci il passaggio una mandria di pecore e il pastore che “n’d ss’cuta!!!” (non c’è una traduzione italiana: è una tipica frase nell’idioma reggino che sta a significare che il signore avrebbe voluto cacciarci di lì in malo modo e mandarci … a quel paese). Ci fermiamo, spegniamo i motori e cominciamo a chiacchierare. Il tempo di prendere la macchina fotografica e i miei compagni riprendono il loro cammino. Ci fermiamo a chiacchierare col pastore e… pensate un po’: aveva un vecchio KTM, sempre guasto e poco maneggevole per la sua altezza. Avvicinandosi alla mia Alpetta ho capito che la conosceva bene (deve essere un assiduo lettore di riviste specialistiche) in quanto ha cominciato ad elencarmi tutte le caratteristiche della moto chiedendomi dove l’avevo acquistata. Strano il mondo: i pastori apprezzano l’Alp e, contrariamente a quanto si dice in giro, “prendendo in giro” Umberto Borile e la sua “Multiuso”, questo genere di mezzo trova plauso in un pubblico di gente semplice, che apprezza l’economia di gestione e la semplicità di manutenzione (a proposito: Umberto si è iscritto al forum e spero che ci aggiorni presto sulle novità della sua ultima creatura). Per concludere su questo nostro incontro, il pastore ha voluto montare a cavallo della mia moto per constatare di persona se ce l’avrebbe fatta a toccare coi piedi per terra: obbiettivo raggiunto!! Ci si saluta con una gran pacca sulla spalla e si riparte cercando di raggiungere gli altri che già chissà dove saranno arrivati (mi salvo che ancora mi aspettano perché non ricordano completamente i bivi).
Il caffé della mamma di Pino (foto 2)

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Direi proprio di aggiungere fra ciò che è indispensabile da portarsi dietro, oltre agli attrezzi e alla solita candela, alla bomboletta ripara gomme e al coltellino svizzero, anche un bel termos (da 10 porzioni è meglio!) di caffé bollente (se fatto dalla mamma di Pino è ancora meglio!).
Come accennato nella premessa, quella del caffé è stata una delle novità più piacevoli di oggi. Della serie: la motocavalcate è un piacere, se non è un piacere che piacere è? Fermarsi dopo una lunga e ripida salita, dopo aver sofferto per la polvere e la fatica degli scossoni di una “bella” pietraia e avvicinarsi a Pino mentre apre il suo termos e ne fuoriesce l’aroma del caffé della sua mamma è una di quelle esperienze che, a mio parere, di più si avvicina al misticismo del gran Maestro Eckhart che nella Turingia del XIII secolo vedeva Dio in tutte le creature dell’universo (una specie di San Francesco teutonico).
Frana e marcia indietro lungo la Costa del Ladro.
Finito il caffé (ce lo siamo scolato tutto!) abbiamo ripreso la nostra escursione risalendo ancora di quota con l’obiettivo di arrivare ai Piani di Lirdo, un altipiano a oltre 1000m slm. Avevo già preventivato un tratto hard su una pietraia veramente tosta ma, fatti i primi 200m, una grossa frana ci impedisce di continuare. Poco male! C’era già pronta l’alternativa soft sulla solita carrareccia scassata ma praticabile.
Prima di fare marcia indietro, guardo in alto, verso Sud-Est e vengo colpito dalla montagna sul versante destro della fiumara. Il colore è intenso e il bordo del cielo crea un preciso confine con il limite netto del monte che finisce proprio al Piano Canale della Corte, oltre 1000m di quota (foto 3). Il rosso della Honda in primo piano spicca proprio bene sullo sfondo verde/celeste. Non posso trattenermi dallo scattare una foto.

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Raggiungiamo il distributore di benzina. I consumi: 40 km con 2.50 euro, il doppio per l’XR400. In assoluto poco per entrambi! Bisogna sempre considerare il delicato equilibrio che esiste fra costi e benefici: le prestazioni delle due moto non si possono confrontare! Accontentiamo ci di quello che abbiamo e speriamo solo che duri (così come la nostra salute!).
Centottanta km in una giornata di fuoristrada non sono pochi. Metà sono stati fatti su sterrate, almeno una decina in tratti che potremmo definire anche hard! Sarebbe bello riuscire a identificare una scala di difficoltà per il fuoristrada, mi pare che quella proposta di recente su FUORI possa andare più che bene. La ripropongo qui di seguito per chi si fosse distratto nella lettura della rivista (Maggio 2008).
Una ruota: sterrato largo e pianeggiante percorribile con grosse bicilindriche anche con passeggero e gomme non tecniche.
Due ruote: sempre fattibili con bicilindriche ma è necessaria una grande esperienza del pilota che non può portare con sé il passeggero perché le pendenze cominciano a farsi sentire e l’ampiezza degli sterrati non è enorme.
Tre ruote: l’enduro vero comincia da qui! Guadi profondi, salite veramente ripide, gradini, pietraie, contropendenze e fango. Il tutto non esasperato all’estremo.
Quattro ruote: diventa necessario aiutarsi reciprocamente per superare tratti veramente difficili.
Cinque ruote: la maggior parte del tracciato è del livello di difficoltà precedente ma dura per quasi tutto il tragitto.
Il percorso di oggi possiamo considerarlo un tre ruote anche se oltre ¾ può essere percorso da grosse bicilindriche con un buon manico.
Sosta al Casello di Vocale (foto 4-8)
Menù del giorno: pizzette e speck, capicollo, culatello, formaggio pecorino, pane di grano di Santo Stefano e di San Luca, torroncini ricoperti di cioccolato e crema di bergamotto, barrette di cereali e frutti di bosco, acqua di sorgente a perdere. Mancava il vino ma, vista la lunghezza del percorso e la ciliegina finale del percorso hard (che ho tenuto nascosto fino alla fine, non mi sembrava il caso di abusare.
Nella foto 4 abbiamo un autoscatto con una panoramica del gruppo sullo sfondo della tavolata. Da sinistra a destra: Antonio, “Maiolino”, Pino, Tino, Nino ed io. Nella foto 5 ci sono i due Kapponi a riposo, all’ombra degli splendidi abeti. La foto 6 è decisamente più motoalpinistica: il gruppo a tavola e, di lato, l’Alp e l’XL. Nella foto 7: luci e ombre della nostra sosta-pranzo. Nella foto 8, in primo piano il comizio di Tino sulla bontà del suo capicollo trova “Maiolino” entusiasta. In fondo, Antonio ai servizi igienici del Casello.

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Proprio mentre assaporavamo le delizie della tavola, sarà stato per il profumino, si è avvicinato a noi un piccolo scoiattolo, tutto nero, con la coda lunga e grossa e il petto bianco: una colorazione tipicamente aspromontana. Abbiamo lasciato per lui ed i suoi piccoli amici (cip & ciop) i resti del nostro ricco banchetto e abbiamo ripreso il nostro cammino …
Verso il Santuario della Madonna della Montagna
Da Vocale (1400m slm) cominciamo la lunga discesa attraverso le Sambuchette (foto 9-11) che ci porterà fino al Santuario della Madonna della Montagna. E’ un lungo sterrato piuttosto rovinato dalle frane invernali. La pavimentazione è spesso piena di grossi ciottoli di pietra che possono dare qualche problema all’ingresso o in uscita dei tornanti se non si scarica a sufficienza l’avantreno.

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Per qualcuno dei nostri Cavalieri di San Giorgio era la prima volta che si trovava in questa zona. Per tale ragione decidiamo di allungare un po’ il nostro percorso e fare una visita al Santuario. Per arrivare dobbiamo guadare la profonda Fiumara del Bonamico con una corrente d’acqua piuttosto veloce ed una portata non indifferente. Prima di entrare in acqua hai l’adrenalina a 1000, specie se sei il primo! E quando arrivi a metà la tensione raddoppia per finire quando è finita l’acqua. Anche questo è motoalpinismo!

Arriviamo al Santuario e le uniche persone che incontriamo sono i tre ragazzini che vedete nella foto 12. Tino chiede loro: “pi’ttìa qua’è a’mégghiu?” (secondo te, quale è la migliore?), indicando a confronto la rossa Honda e l’aranciona KTM (la piccola alpetta era fuori concorso, ovviamente!), “una mégghi’llàutra!” (una meglio dell’altra!). Io, intanto, stavo vicino alla “mia piccola” e le battevo due pacche sul serbatoio con fare rassicurante. Che ci volete fare, gli enduristi sono così!

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Il Santuario, in stile barocco, ha lontane origini (1100 a. D.) e sorge ad un’altitudine di 865m slm.. E’ stato restaurato nella prima metà del sec. XVIII°. E’ chiamato anche “Santuario della Madre del Divin Pastore", dal titolo sotto il quale qui la Vergine è venerata. Storia e leggenda si intrecciano sull’origine di questo antico luogo di culto mariano. Sono Siciliani, e più particolarmente Messinesi, che nel sec. III°, durante l’imperversare delle persecuzioni contro i Cristiani, lasciano la loro terra e vengono in esilio in una delle più profonde e sperdute valli dell’Aspromonte. Qui erigono una prima chiesetta, sormontata da una croce greca. Poi nel 313, anno dell’Editto di Costantino che concede libertà di culto, gli esuli fanno ritorno alla loro terra d’origine e la "colonia" di Polsi viene abbandonata.

Bisognerà attendere l’anno 1144 perché un pastore si spinga fin quassù, alla ricerca di un giovenco che si è perduto: lo trova inginocchiato davanti ad una Croce di ferro che l’animale ha scoperto, scavando con le zampe. Il reperto più misterioso e, per certi versi inquietante, è la strana piccola Croce di ferro, dalla cui asta centrale si sviluppano due braccia dalle volute irregolari e singolari, non riscontrabili in nessun altro tipo di Croce. In quel medesimo istante, al pastore di nome Italiano che sosta in preghiera appare la Vergine Madre che indica il punto dove si dovrà costruire una Chiesa. [Un’altra tradizione colloca al posto del pastore il Conte Ruggiero, spintosi fin qua durante una battuta di caccia]. Ma sono i Monaci Basiliani a coltivare e a propagare la devozione alla Santa Croce ed alla Madonna [sotto il titolo di "Madre del Divin Pastore"], comunemente detta "Madonna della Montagna" di Polsi. Sono essi, infatti, a dare inizio alla costruzione del Santuario, con annesso Cenobio. Nella seconda metà del sec. XV° il rito greco si estingue in Calabria e i monaci Basiliani di residenza a Polsi si ritirano a Grottaferrata, portando con sé rari e preziosi documenti. Nel 1784 la Cassa Sacra, istituita per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni colpite dal terribile terremoto del 1783, fece requisire al Santuario tutti gli arredi preziosi e le suppellettili sacre. L'ufficiale che eseguì la requisizione mise insieme più di un quintale tra oro e argento. Nel 1881 è avvenuta l'incoronazione della Vergine: rito che si è ripetuto nel Cinquantenario del 1931 e, con ancora maggiore solennità, il 2 Settembre 1981, nel Centenario della prima incoronazione.

La festa più animata della Calabria
Corrado Alvaro, il più grande scrittore calabrese dei tempi moderni, è nato a San Luca. Nel 1931 ha concluso la sua interessante monografia "Calabria" con la descrizione della festa al Santuario di Polsi: la festa più animata della Calabria, che si celebra per tre giorni, all’inizio di Settembre.
Scrive Alvaro: "Ognuno fa quello che può per fare onore alla Regina della festa: la gente ricca può portare, essendo scampata da un male, un cero grande quanto la persona di chi ha avuto la grazia, o una coppia di buoi, o pecore, o un carico di formaggio, di vino, di olio, di grano; ci sono tanti modi per disobbligarsi con “la Vergine delicata”, come la chiamano le donne. Uno, denudato il petto e le gambe, si porta addosso una campana di spine che lo copre dalla testa ai piedi, spine lunghe e dure come crescono nel nostro spinoso paese, e che ad ogni passo pungono chi ci sta in mezzo. Una femminella fa un tratto di strada sulle ginocchia; e così le ragazze fanno la strada ballando, e balleranno giorno e notte per le ore che hanno fatto il voto, fino a che si ritrovano buttate in terra o appoggiate al muro, che muovono ancora i piedi. E i cacciatori, poi, che fanno voto di sparare alcuni chili di polvere; in quei giorni non si parla di porto d’armi, e i Carabinieri lo sanno. Gli armati si dispongono nei boschi intorno al Santuario e sparano notte e giorno […]. Si vedono le mille facce delle Calabrie. Le donne intorno dicono le parole più lusinghiere alla Madonna, perché si commuova. […] Sul banco coperto di un lino, le donne buttano gli orecchini e i braccialetti; gli uomini tornati da una fortunata migrazione le carte da cento e da più: è una montagna d’oro e di denaro che per la prima volta nessuno guarda con occhi cupidi. La Vergine guarda sopra tutti, e i gioielli degli anni passati la coprono come un fulgido ricamo […]. Al terzo giorno di Settembre si fa la processione e si tira fuori il simulacro portatile […] tra lo sparo dei fucili che formano non si sa che silenzio fragoroso, non si sente altro che il battito di migliaia di pugni su migliaia di petti, un rombo di umanità viva tra cui l’uomo più sgannato trema come davanti a un’armonia più alta della mente umana. Le semplici donne che non si sanno spiegare nulla, si stracciano il viso e non riescono neppure a piangere […]".

Nella foto 13, Nino, “Maiolino” ed io lungo la fiancata del Santuario. Beviamo a lungo, riempiamo le nostre bottiglie e ripartiamo alla volta si San Luca dopo aver riattraversato con minor ansia di prima l’ormai collaudata Fiumara del Bonamico.

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...continua...