Questo è il seguito di una giornata di motoalpinismo raccontata, nella sua prima parte, nel report intitolato “FAVAZZINA”.

Dopo aver fatto il pieno, Antonio ed io ci allontaniamo dal paese per alcuni chilometri anzi, più che alcuni, TROPPI (come ha avuto modo di commentare, con l’amaro in bocca, il mio compagno di viaggio che, strada facendo, piangeva lacrime amare rimpiangendo di avere appena montato i copertoni nuovi). Poi, finalmente arriva una deviazione sulla sinistra che, ricordo, porta ad una carrareccia che s’impenna violentemente. Entrambi la conosciamo bene e il mio compagno parte alla carica con un’ottima rincorsa. Troppo sicuro della mia coppia ai bassi regimi, mi appresto ad affrontare il salitone molto tranquillamente e, al momento di arrivare sulla cima, proprio nel momento in cui serviva più spinta, scalo in prima ed eccomi sfollare clamorosamente. Niente male. L’Alpetta permette questo e altri errori: piedi per terra, ingrano la prima e via, come se niente fosse, fra lo sgardo stupefatto del mio amico “endurista/crossista”. “Che tiro ai bassi!!!” - mi fa. “E già!” - gli rispondo tranquillo (facendo finta di nulla), con la sua supermotona non ci sarebbe certo riuscito a partire da fermo con una pendenza così elevata ed una aderenza così limitata.
Prendiamo una dorsale che fiancheggia un ripido dirupo che strapiomba verso Calamaci. Decine e decine di tornanti, uno dietro l’altro, non finiscono mai. Finalmente raggiungiamo il letto della fiumara e constatiamo i danni della recente piena: un paio di grandi briglie completamente distrutte dalla forza dell’acqua.

Ci fermiamo a riposare un po’. Sta per cominciare a piovere, siamo circondati da nuvole. C’è solo da sperare che non butti giù un diluvio come quello della settimana scorsa. Personalmente non amo viaggiare su sterrati col brutto tempo: ho visto troppi alberi folgorati dai fulmini! Temo anche il forte vento: c’è il rischio che butti improvvisamente giù rami o che ti faccia sbandare. Preferisco il sole, che ci volete fare, sono meridionale!

Qui dalle nostre parti, gli animali vengono trattati proprio bene. I protezionisti non possono certo lamentarsi. Guardate un po’ cosa ha preparato il nostro allevatore di turno per le sue mucche? Vasche idromassaggio Jacuzzi! … ed è solo l’abbeveratoio!

Continuiamo lungo una dorsale che ci spinge sempre più verso il Mar Jonio. Qui le sterrate sono le uniche vie che ti portano da un paese all’altro e a percorrerle non ci vedi certo passare i grossi 4X4, macché, sempre e comunque le solite vecchie Panda (non 4X4 e con le gomme lisce), qualche Ape con il cassone pieno di legna o con le pecore da riportare all’ovile, in ogni caso l’immancabile Vespa 50 Special 4 marce, modello anni ’70, e non perché faccia trendy… è semplicemente quello che rimane dopo una vita di stenti…

Incrociamo il solito trattore. A bordo un giovane ed un anziano. Rallentiamo, ci fermiamo, salutiamo e scambiamo quattro chiacchiere sul raccolto di quest’anno, i funghi che non vogliono ancora uscire e le castagne che per la poca acqua sono buone solo per darle come cibo ai porci, quanto son piccole. Ci guardano. Il giovane, 30 anni, non di più. La pelle cotta dal sole e dall’aria aperta, guarda il Suzuki e si vede che se ne intende. Chiede quanti CV ha. L’Alpetta non viene neanche degnata di uno sguardo. L’anziano continua a fissare le nuvole all’orizzonte e sembra presagire un temporale. “Jamunindi sannunca n’di pigghia na friscanzana!” (andiamocene altrimenti ci prenderà il freddo!). In effetti sono entrambi in canottiera, tutti accaldati dopo una mattinata di fatica. Se non rientrano a casa immediatamente si ammaleranno di sicuro. Ci salutiamo e proseguiamo, ciascuno per la propria strada.

Nonostante la sua altezza, Antonio riesce a gestire bene l’alto Suzuki. Le difficoltà però le incontra nelle manovre da fermo: ha rischiato di cadere un paio di volte e quando assisto a queste manovre difficili mi viene l’agitazione. E’ più forte di me: dopo la brutta esperienza col BMW che mi ha spezzato malleolo, tibia, perone e clavicola preferisco … stare coi piedi per terra, ben piantati tutti e due! Forse è per questo che non riesco a trovare una valida alternativa all’Alp: avviamento elettrico, sella bassa, leggera, maneggevole. Cosa voglio di più dalla via? Soltanto pensare di arrampicarmi su un alto enduro mi fa entrare in ansia, e ogni volta che ne provo uno sono preoccupato per quando dovrò scendere.

Comincia lieve una leggera pioggerellina. Avevo appena finito di proporre al mio compagno di viaggio un passaggio hard che ci avrebbe portato verso Sud. Senza dire nulla, visto che il tempo continua a peggiorare, prendo una deviazione per Maddo, un piccolo borgo dove vive una mia ex allieva che percorre questi sterrati con una vecchia enduro Honda 125 2T del padre. Più di una volta mi ha fornito suggerimenti sui percorsi migliori. Quando la incontro mi dice sempre di fermarmi a pranzo quando passo da casa sua. Ma si sa, se ti fermi ospite da qualcuno, da queste parti non è facile riprendere la moto per tornare a casa, tanto ti rimpinzano di prelibatezze.

Quatti quatti svicoliamo lungo una sterrata agevole nella sua pendenza e ampiezza. Ci si rilassa quando davanti si hanno decine di metri di facile carreggiabile: puoi guardarti intorno, concentrarti sul paesaggio e fare mente locale sulla tappa successiva. So che Antonio preferisce strade nuove, mai fatte prima, e così lo porto verso la zona del Torrente Camatore dove, certamente si divertirà.

E così è, infatti: è felice come una Pasqua! Sulle moto si ritorna bambini: basta poco per stupirti e riempirti di gioia, una discesona, un ampio panorama, una contropendenza. L’importante è riuscire a mantenere quel giusto rapporto di equilibrio fra ciò che puoi fare (perché rientra nelle tue personali capacità) e ciò che, invece, è impossibile (o troppo azzardato).
Cerchiamo spiragli di luce fra le nuvole basse, come fossero la nostra stella cometa che ci porta in salvo, verso casa. Ma qualche volta capita che, per evitare di tornare a casa fradici d’acqua, è preferibile percorrere la via più lunga. E così è per noi. Allarghiamo la rotta di un bel po’, invertendo addirittura la direzione che stavamo seguendo: ho già subito per un’intera settimana l’abbattimento dell’influenza e sto viaggiando ancora sotto copertura antibiotica, ci mancherebbe solo che ricominciasse l’influenza!

Presa alla larga, la vallata del Torrente San Pietro non fa tanta paura, come invece succede quando la si affronta di petto, seguendo l’impervia mulattiera che si arrampica lungo il versante esposto “a mancuso”. Decidiamo di tagliare da una mulattiera tosta, nella speranza di falciare in due il largo giro che invece ci toccherebbe fare se dovessimo seguire la più tranquilla carraia. Per qualche centinaio di metri riusciamo a superare ostacoli di varia natura: grossi massi frantumati, rami secchi di traverso, frasche ad altezza d’uomo e quant’altro di meglio un endurista tutto d’un pezzo possa sperare di trovare nella sua uscita domenicale.
Piuttosto in difficoltà proseguo puntellando continuamente i piedi per terra e preoccupandomi non poco per la sorte del mio compagno. La sua altissima Suzuki è una specie di giraffona indomabile quando si tratta di superare quegli ostacoli che ti lasciano a mezz’aria, con la ruota anteriore sul masso e l’altra per terra… e le due gambe penzoloni in cerca di un disperato appoggio. Quelle tipiche situazioni in cui desideri disperatamente un trial (e, ovviamente, non ci pensi proprio a fare foto tanto sei preso dal cercare di stare in piedi sulla moto)!
Poi la fine… (della mulattiera): si torna indietro. Un muro insuperabile fatto di dura roccia verticale ci sbarra qualsiasi possibilità di proseguire. E qui ti accorgi della bellezza del percorrere le mule. Fatte in senso contrario sono completamente diverse e, in questo caso, per fortuna, quelle che erano state grosse difficoltà diventano piacevolissimi passaggi (comunque abbastanza impegnativi).

Siamo, perciò, costretti a prendere la tranquilla carraia. E’ rilassante tornare su larghi sterrati. Dopo la fatica i muscoli possono, finalmente, distendersi e un senso di pacatezza si diffonde in tutto il tuo corpo. Viaggiamo ad andatura turistica. La stanchezza si fa sentire. Antonio continua a guardarsi intorno: non riconosce nessuno dei luoghi che attraversa di solito. Siamo FUORI dalle sue solite rotte e questo lo apprezza. Lunghe fermate a bere un sorso d’acqua o sgranocchiare un dolcino. Altro che enduro! Così ci si gode la vita!

Prima che le basse nuvole plumbee che stanno per arrivare ci scarichino addosso tutta la loro massa d’acqua guadagniamo la pianeggiante sterrata che fra brecciolino e sabbia ci riporta verso la città. Antonio è stanco ed io più di lui. Anche se più giovane di me c’è da dire che tira come un matto e questo, naturalmente, viene pagato in termini di fatica. La continua tensione psicofisica, protratta per più ore crea certamente uno stato di elettrizzazione che, al momento in cui si percepisce la possibilità di poter “mollare” determina il “crollo”.


Riusciamo ad arrivare in città prima che faccia buio e senza aver beccato la pioggia forte: una bella fortuna ma anche la plasticità di modificare la traiettoria del percorso sulla base delle condizioni meteo. A questo punto, visto che domattina dovrò usare la moto per i miei soliti giretti in città (lavoro, figlie da accompagnare in giro e spesa) mi viene l’idea di lavare la moto. E quindi, a conclusione del servizio fotografico, ecco la piccola che fa il bagnetto, tutta insaponata. Carina eh?
