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IL MURO

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alp
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IL MURO

Messaggio da alp » sab 22 nov, 2008 8:29 pm

IL MURO


Se la media aritmetica è quella misura statistica della tendenza centrale per cui la somma degli scarti dei valori ad essa inferiori è uguale alla somma degli scarti dei valori che la superano allora diciamo che in questa uscita l’età media è di 34 anni. Solo che il “campo di variazione è di ben 35 anni. Si, avete capito bene: 35 anni di differenza fra il più anziano e il più giovane. Insomma, stamattina abbiamo fatto un’improvvisata con Al. Lui, 17 anni, col suo TM 125 superspinto, io, appena cinquantunenne con la mia caffettiera gialla superspompata.

Sin dall’inizio è stato chiaro che avremmo preso brutte strade, forse entrambi ci eravamo svegliati un po’ nervosetti e così ci incamminiamo verso le “zone” che avevo individuato essere “altamente interessanti dal punto di vista motoalpinistico”. Cosa voglia dire questa frase non lo so bene: possiamo pensare al paesaggio o alla difficoltà del percorso o, perché no, a entrambi. Sta di fatto che saliamo velocemente in quota e puntiamo decisi su una carreggiabile ampia da cui poi decido di affrontare un salitone hard, già fatto qualche anno prima e di cui ricordo vagamente gli incroci. L’ultima volta che avevamo provato a farlo, con Cesare e Tino, siamo dovuti tornare indietro per una frana che ostruiva il passaggio.

Avanziamo non troppo convinti. Riconosco alcuni punti nevralgici anche se a qualche bivio mi trovo in imbarazzo sulla scelta da compiere, un po’ come una casalinga al supermarket di fronti a diversi prodotti. Il giovanotto va, io arranco, ma oggi mi sa che mi prenderò una bella rivincita! Se riusciremo a superare la frana, la ripida salita che ci aspetta non è certo il terreno ideale per la superpotente TM, vedremo.

Accenno ad Al delle difficoltà che incontreremo ma il suo orgoglio giovanile gli permette di snobbare l’ansia che comincia a prendermi: e se gli capitasse qualcosa che direi ai suoi genitori? In queste situazioni mi sento un incosciente: portare un figlio altrui a faticare su un salitone da paura col rischio di ribaltamento o che ti vada a rotolare nel burrone sottostante. Beh, meglio non pensarci!

Ci avviciniamo al punto X, riconosco il guado, fra poco prenderemo il curvone (da affrontare a tutto gas altrimenti non riesci a prendere la rincorsa che ti serve ad arrivare in cima). Specie col due tempi e la coppia agli alti regimi che si ritrova, se dovesse fermarsi sono guai: riuscirebbe a ripartire? Ne dubito! Seguo una traccia ripida ma gli consiglio di prendere la via più ampia per arrivare alla base del nostro “muro”. Ci fermiamo per studiare cosa fare.

In effetti ricordavo che il salitone era ben oltre. Sono piuttosto perplesso di fronte a questa improvvisa U del terreno. La base centrale è piena di foglie e l’aderenza è minima. I margini sono verticali e una volta che ti infili nella buca centrale non ne esci di sicuro con facilità. Rimanere sul bordo non è possibile: dal lato esposto sarebbe troppo pericoloso (il rischio è di precipitare nel burrone), quello riparato ha una base troppo stretta e in contropendenza: si scivola inesorabilmente verso il centro perdendo il controllo del mezzo. Che fare?

Dopo aver ben studiato la faccenda parto. Senza lanciare troppo la prima inserisco la seconda e vado verso il margine sinistro. Sembra tutto bene sennonché, a un certo momento, quando la salita si impenna improvvisamente, sento la necessità di scalare in prima: errore imperdonabile! Sento la ruota posteriore perdere aderenza e derapare verso il centro. Eccomi nella fossa con la moto al centro e le ginocchia ad altezza gola. “Bene” – gli urlo a valle – “non dovresti avere problemi a toccare coi piedi”. Inserisco la prima e con un filo d’acceleratore riparto tranquillo tentando di guadagnare il lato destro, stavolta. Ma non ho fatto i conti col bisogno di aderenza e mi ritrovo a cercare il “grip” piegando la moto verso sinistra, proprio sopra la fossa centrale. Vado a poggiare il piede sinistro per terra, non tocco e in pochi secondi, inesorabilmente, mi ritrovo con la moto che piano piano poggia a terra ed io al suo fianco. Uff! Con non poca fatica la rialzo (mano sinistra alla manopola sinistra, mano destra al portapacchi). Aspetto per riprendere fiato e rimetto in moto. “Pot pot pot”: parte al primo colpo! Metto la marcia e mi faccio portare su come se fossi in ascensore (essendo al centro della carreggiata mi sono arrampicato verso il margine, quasi in verticale!). Ma ormai è fatta. Guadagno la cima del crinale, metto il cavalletto e scendo a piedi per dare una mano ad Al che aspetta un mio segnale per partire.

“Vai Al!”. Alcuni secondi e il rombo elettrico del 2T si fa sentire squillante. Ingrana una marcia dietro l’altra tirandole tutte a puntino. E’ lanciatissimo e se viene su così c’è solo da sperare che non prenda improvvisamente una pietra che lo faccia impennare in verticale. A mano a mano che lo sento avvicinare comincia a scalare le marce fino a ritrovarmelo a vista in fondo alla base della ripida salita che imposta la curva in seconda e si appresta ad affrontare il “muro”.

La tensione è al massimo. Sento che la situazione è pericolosa: va troppo forte! Capisco, d’altra parte, che se non la lancia, la sua non è moto che ce la possa fare a ripartire da ferma con questa pendenza. Il trascorrere dei secondi si associa al progressivo ridursi del regime del motore. Le marce alte non bastano più. Si sente il motore soffrire ad un numero di giri che va certamente oltre i 10.000 al minuto. Immagino per un attimo il pistone con la biella e penso che potrebbe, improvvisamente, scoppiargli addosso come una bomba.

Scala, scala e scala, si ritrova in seconda, quindi mette la prima e stop per mancanza di “grip” al posteriore. Il suo è stato un tentativo analogo al mio. Ha provato ad aderire dal lato monte per paura di uscire di pista. Troppa potenza improvvisa, poca progressione! Riprendere il controllo della moto in queste condizioni è impossibile! L’altezza della moto non l’aiuta neppure a puntare i piedi per terra e cercare di spingere con forza. E’ fermo e capisco che è arrivato il momento di scendere per aiutarlo a venire su. Riesce, da solo, a fare alcuni metri ma, inesorabilmente, si ritrova nella canaletta centrale, proprio come me.

“Fermati” (ci mancherebbe pure!) “che vengo giù a darti una mano!” – urlo da monte, faccio per scendere e, improvvisamente, prendo coscienza della forte pendenza dello sterrato in cui ci siamo infilati. Mi aggrappo ad un albero e urlo: “MAMMA!!!!”

…superata la prima paura e presa coscienza dell’incoscienza che ci ritroviamo (o meglio che mi ritrovo a 51 anni), riesco ad avvicinarmi lentamente e con qualche scivolone alla moto del mio compagno e, insieme, ci diamo da fare a spingere il TM nel tentativo di farla uscire dall’impasse delle foglie nella canaletta centrale della carreggiata. Che fatica! Ci guardiamo in faccia, sudati e mi viene in mente una situazione perfettamente speculare che ci siamo vissuti quest’inverno, quando a non volerne sapere di arrampicarsi era l’alpetta, che ci ha costretto a tornare indietro. Stavolta è tutta un’altra storia. Ce l’ho fatto io e perché non dovrebbe farcela Al?

Tanta pazienza e altrettanta fatica ci aiutano a guadagnare qualche metro ma ancora ce ne vogliono tanti per raggiungere la cima del crinale. In momenti come questi, fino a un paio d’anni fa mi balenano in mente molte domande, la prima fra tutte era “PERCHE’?” ma non riuscendo mai a rispondere, ormai faccio finta di niente e vado avanti (per la mia strada!).

Quando, finalmente, riusciamo ad arrivare in cima al tratto di strada sento, d’improvviso, un calo di tensione, come se avessi fatto tutto ciò che c’era da fare e non avendo più bisogno di energie ora potessi rilassarmi e dormire. Ma ce ne sarà ancora di strada! Ci sdraiamo un po’ per terra e spilucchiamo la nostra sana colazione a base di salame locale, preparato con attenzione prima della partenza (l’attenzione è stata dedicata in maniera particolare a qualche funghetto sott’olio e a un pizzico di peperoncino leggermente piccante).

Si dà un’occhiata alla cartina per individuare i prossimi passaggi. Ora ci aspetta un bel po’ di strada “tranquilla” prima di raggiungere l’altra “zona” (in senso trialistico!). La prima tappa è piaciuta molto al mio compagno: che abbia serendipità nelle vene, ormai, non ne avevo dubbio, ma che fosse anche masochista non lo immaginavo. Nei miei ricordi, quel pezzo di “muro” che ci ha costretti a fermarci non c’era. Qualche anno prima eravamo passati lisci di lì, forse per la mancanza di profondità della canaletta o per l’assenza di fogliame al suo interno. Fatto sta che non ho nessuna intenzione di ritornarci a breve. Lascerò che l’oblio faccia il suo lavoro nel tempo.

Seguo a mente il percorso tracciato la sera prima sul monitor del mio PC, scannerizzando i tratti-chiave per memorizzarli meglio. Adesso siamo in fase di trasferimento. Procediamo lisci. I muscoli recuperano la giusta contrazione (quell’esagerato rilassamento dopo la fatica in salita cominciava a preoccuparmi). La temperatura è ottimale. Un leggero venticello sfiora i nostri caschi piacevolmente.

Rallento decisamente e piego con fare deciso: ricomincia il ballo! Ci lanciamo giù per il pendìo esposto a “tarchia” (come dicono da queste parti): dobbiamo raggiungere una sella e risalire dall’altro versante della montagna (a “mancuso”).

Guadiamo un torrentello senza pretese. L’unica difficoltà, adesso è recuperare il tratturo dall’altro lato. Ci riusciamo con una certa fatica. Adesso manca poco a collegarci alla strada che, in breve, ci permetterà di raggiungere il percorso in mezzo alle rocche con cui completeremo il giro di oggi.

La stanchezza mi ha ormai assalito. Consapevole che la fatica mi porta a commettere errori che potrei pagare a caro prezzo, rinuncio al completamento del giro hard per puntare invece su una meta panoramica, raggiungibile dopo aver attraversato un pezzo roccioso. Riconosco il bivio in cui dobbiamo recuperare la “rock-way” e, trovato il punto panoramico, ci fermiamo a lungo ad ammirare il vuoto sotto di noi. Ai nostri piedi c’è il Mar Tirreno e in fondo, anche se c’è foschia, si riesce a intravedere l’isola di Stromboli. Anche questo è motoalpinismo.
A presto e...
Buon motortrip,

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Messaggio da max37 » dom 23 nov, 2008 3:52 am

stavolta niente foto?
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La cosa più deliziosa non è non avere nulla da fare. E' avere qualcosa da fare e non farla.

Oggi non faccio niente perchè ieri non ho fatto niente ma non avevo finito.

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Messaggio da alp » dom 23 nov, 2008 10:52 pm

max37 ha scritto:stavolta niente foto?
Mi è capitata una cosa strana.
Computer rotto. Lo porto a riparare e quando lo riaccendo mi accorgo che manca la cartella che contiene tutte le foto di moto del 2008 (fra cui quelle relative a questo giro). Cosa sarà mai successo?
A presto e...
Buon motortrip,

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Messaggio da max37 » lun 24 nov, 2008 1:04 am

scaricati un programma per recuperare i files persi, vedrai che le ritrovi
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Messaggio da betaflo » lun 24 nov, 2008 2:11 pm

Leggendo il tuo racconto, mi è sembrato di essere lì con voi;
Ecco perchè aspetto con ansia le foto!
Il mondo è un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina

alp
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Messaggio da alp » mar 25 nov, 2008 12:45 am

max37 ha scritto:scaricati un programma per recuperare i files persi, vedrai che le ritrovi
Come si fa?
A presto e...
Buon motortrip,

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Messaggio da max37 » mar 25 nov, 2008 2:31 am

scaricati questo programma
http://www.download3k.com/Install-PC-In ... overy.html

è molto intuitivo.
il risultato è abbastanza confusionario ma almeno ti permette di recuperare i dati persi

salva tutto in una cartella separata altrimenti ti riempie il computer di dati cartelle ed immagini
Max37

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