L'Uomo che sussurava ai caprioli IV°
THE DARK SIDE OF … MONTE CENGIO
Il sole è alto ma io guido ancora al buio.
Il format è sempre il solito: studio della documentazione cartografica, raggiungimento della zona di operazioni con auto, moto carrellata ed attrezzatura, stabilimento del campo base sotto una montagna apparentemente inacessibile, e finalmente parte la solitaria sfida tra me e la montagna, o meglio tra me e me stesso, per vedere dove riuscirò a portare la mia 2 ruote.
Stavolta si tratta di un ritorno al Cengio, SuperHank più che mai!, dove avevo toccato alte vette dell'estremo sugli arcigni pinnaocli di roccia del versante sud ovest; nonostante sia inverno, provo la risalita dal lato in ombra, a nord-ovest, conscio che la neve sarà mia nemica.
La partenza è una torre nota a molti … l'antica torre scaligera, forse anche più remota, che sbarrava l'accesso della vallata dell'Astico.
Esaurita la mulattiera enduristica, il sentiero fa subito capire di pasta è fatto: brecciame smosso, gradini di mezzo metro, rampone ripide e tornanti stretti si fanno sotto senza tregua, e la Sherco salta e balla, mentre il pilota, nonostante i pochi gradi sopra lo zero suda già copiosamente.
Non è decisamente una partenza “soft” …
Vuote orbite si aprono nella roccia … postazioni italiane del 15-18.
Casematte di artiglieria sorvegliano le provenienze dalla terra germana: medioevo o 1900, le vallate sono sempre state le vie attraverso cui i barbari nordici cercavano di invadere la dolce Italia, in queste caverne i “nostri” fermarono gli invasori giusto 95 anni fa.
L'ambiente è quanto mai aspro e difficile
Un ostacolo …
Ad un punto dell'ascesa mi si para davanti un anfiteatro di roccia di almeno 20 metri, una scarpata invalicabile: possibile che il sentiero la superi? Se non avessi studiato il percorso giurerei di no, ma effettivamente la traccia (perchè parliamo di una traccia larga come le ruote del trial) si inerpica attorno ad un dosso roccioso, superando la muraglia rocciosa ed inaspettamente spianando in una minuscola radura, occupata da un baito abbandonato ma in buone condizioni.
Campo Base 1: antico baito; nella povera economia montana, anche queste insignificanti radure avevano un valore economico: sfalcio del fieno, magro pascolo, legname.
Riparto, inoltrandomi nella valle, tale solo di nome, perchè in realtà è un vajo che precipita a valle fra pareti pressochè verticali. La mia progressione ora è facile, con lieve rampe guadagno quota, ma la guida accennava ad un tratto di sentiero franato … e tosto ci arrivo!
La spaccatura della valle entra profondamente nel corpo della montagna, ed il sentiero corre su di una terrazza sospesa 3-4 metri sopra l'impluvio, dove in occasione di grandi piogge si scarica l'acqua … solo che per un lungo tratto la terrazza è crollata, ed il sentiero si è adagiato, o meglio confuso, col letto del torrente: non ce la farò mai, è il primo pensiero!
Scendo dalla terrazza e provo a salire seguendo la traccia, ma inesorabilmente le ruote della Sherco sprofondano fra i sassi grossi come pugni, e mi ritrovo piantato, a pochissimi metri dall'uscita.
Non ce la farò mai a ripartire, ne sono convinto; passare al centro del torrente? C'è una teoria di macigni grandi come frigoriferi, dovrei chiamarmi Dougie Lampkin per passare 20 metri di tali “forche caudine”. Ritenta e sarai più fortunato … senza troppa convinzione riprovo, provando a stare il più possibile a ridosso del monte, dove il terreno è più compatto; non so come ma riesco a trovare quel minimo di trazione ed ottenere quel po' di inerzia da far avanzare la moto; pedate, sfrizionate, con l'ultima pistonata mi tiro fuori dalla trappola, ce l'ho fatta!
E qui son lacrime e sangue …
Visto dall'altra parte sembra una passeggiata ...
La salita ora si fa divertente e facile, lunghi traversi nel bosco di faggi, tanti tornanti mai impegnativi, il dislivello cresce senza rendermene conto; arrivo ad un altro baito, restaurato ed inequivocabilmente tuttoggi utilizzato, non nelle sue funzioni originali, ma come luogo di svago; solo la passione e l'amore per la propria terra può spingere qualcuno al titanico lavoro di mantenere questo immobile: non ci sono strade, solo un sentiero da capre, o da trial! Possibile che portino tutto il necessario a spalla? Forse c'è un teleferica, ma non l'ho vista.
Campo base II.
Almeno l'acqua “corrente” c'è … mi accorgo che dalla stanchezza non riesco più a scattare nitidamente, mi tremano impercettibilmente le mani.
Salgo ancora, fino ad una radura ormai inselvatichita, dove proseguendo dritti si sale verso il ciglio dell'altipiano, tenendo la destra si circumnaviga tutto il monte mantendo una quota costante, una traccia definita “labile ed incerta” anche per gli escursionisti a piedi … scelgo la prima.
Pochi tornanti sopra cado, praticamente da fermo, in una curvetta scema, della serie “scalo l'Everest e non mi faccio nulla e crepo al parco giochi facendo jogging”: mi ritrovo con una gamba arrotolata fra ruota anteriore e motore e l'altra tra forcellone e terreno, il busto oppresso dalla moto, non mi sono fatto assolutamente male ma non riesco a liberarmi … non riesco a tirarmi fuori da sotto una moto da 70 kg!!!!! Non ci credo!!!!!
Poi con calma mi libero, ancora incredulo.
La meta è vicina, il forte Corbin indorato dal sole mi aspetta.
Ma la forte non ci arriverò mai; così, da un metro all'altro, compare la neve: nelle montagne attorno è sparita da settimane, ma questo pendio, a giudicare dalla posizione, riceve luce solare pochissime ore al dì, o forse non la riceve del tutto; fatto stà che la neve copre il sentiero.
Neve e trial non vanno molto d'accordo …
Finchè il sentiero si mantiene ragionevolmente largo, poco pendente e contenuto sul lato del burrone da una sottospecie di muretto avanzo, anche se a fatica, perchè le gomme da trial proprio non reggono i fondi molli ed inconsitenti come sabbia o neve; ho anche paura di rovinare la moto di mio fratello, perchè sempre mi raccomandava di non usarla con troppa neve che la cassa filtro la aspira, e poi, tramutatasi in H2O, entra ne carburatore ed il motore si spegne … non mi va di fare una revisione al Dell'Orto incrodato in parete! E quando il sentiero diventa traccia esposta sull'abisso, una virgola di terra tra i sassi, ma coperta dalla neve, capisco che è ora di girare il manubrio.
L'ascensione termina qui, a poche centnaia di metri dal culmine.
Peccato …
Ma non finisce mica qui!
Tornato all'ultima radura, perchè non tentare la traccia definita “labile ed incerta” ed aggirare tutto il monte, e scendere dallo spigolo sud? Inizialmente, non riesco nemmeno ad individuarlo il sentiero, nonostante i segnavia bianco rossi del CAI; poi lo trovo, e l'autore della guida non peccava certo di esagerazione; è un traccia poco battuta ed appena visibile sul terreno, fortunatamente la stagione invernale azzerà il già poco consistente sottobosco della faggetta, perchè altrimenti sarebbe arduo riconoscere sul terreno il sentiero, nel rigoglio vegetale estivo.
Si parte per la nuova avventura.
Sulla mappa, ed ovviamente sul terreno, il sentiero si mantiene a mezza costa, ma ovviamente non è una autostrada; ci sono brevi salite ed altrettante discese, pochi metri, al massimo 10-15, che però potrebbero rivelarsi insuperabili in caso di ritirata , come una doppia serie di tornantini che scendono uno sperone roccioso e che faccio con la moto al fianco, puntandomi con le gambe al terreno per frenare la discesa.
E poi passaggi di pochi cm a filo di alberi e rocce, scalini e difficoltà tecniche, piccoli smottamenti ed alberi caduti: ogni decina di metri c'è qualcosa, ogni centinaio di metri percorso uan conquista.
Quiz: trova il sentiero!
E posso solo andare avanti, e forse indietro; questo versante del monte, partendo dalle cime, presenta una successione di glabre pareti verticali, alpinistiche; poi una fascia mediana più inclinata dove è riuscito ad attecchire il bosco, che sto percorrendo; sotto di essa, di nuovo verticali pareti dolomitiche impercorribili se non da alpinisti: non ho la possibilità di ritirata, per quanto estrema, di buttare la moto giù da un vajo e “rotolare” a valle, mi troverei sull'orlo dell'abisso … avanti sempre, quindi!
Smottamenti.
Strascinamenti … non è una strada per l'enduro.
Scollinamenti.
È uno stillicidio di tensione e fatica, ogni metro è sudato e sofferto, col dubbio pulsante che dietro la prossima roccia, sul fondo del prossimo vallone ci sarà l'ostacolo finale che mi fermerà … ed invece esco finalmente dal cono d'ombra, è fatta! Un vicino traliccio dell'alta tensione mi fa ben sperare che il sentiero per la discesa sarà agevole, e difatti è così.
La smorfia della vittoria.
Ma se non era per lei …addio fedelo Sherco, è stato bello guidarti!
Lontane montagne.
Una infinta teoria di tornanti, regolari come la tram di un tessuto, o l'impianto di una scacchiera, mi porta lentamente a valle, i polsi fanno male da quanto caricati causa inclinazione della discesa. Guardando le solenni cattedrali di pietra alle mie spalle, mi sembra impossibile di essere riuscito a percorrerle con una moto: una mia nuova personal frontiera è stata raggiunta.
La discesa è ancora lunga.
Trincee della battaglia del 1916.
Ero su quel traliccio.
Il fiume segna l'inizio e la fine.
Ciao
Alves